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 2012  dicembre 21 Venerdì calendario

Notizie tratte da: Roberto Einaudi, Radici montane. Viaggio nella Val Maira del primo Risorgimento, Aragno Torino 2012

Notizie tratte da: Roberto Einaudi, Radici montane. Viaggio nella Val Maira del primo Risorgimento, Aragno Torino 2012.

«Qui molti montanari hanno preso l’abitudine di scendere al mare e scambiare i loro prodotti con le acciughe. Per conservarle, le mettono nel sale, e poi le rivendono in giro per il mondo» (26)

«In quei tempi era considerato un misfatto sposare fuori del proprio comune e andare ad abitare nel paese della sposa. Voleva dire rubare le ricchezze del tuo paese d’origine per portarli in un altro luogo» (San Damiano in Val Maira, anno 1800) (41)

«Ricordati di non parlare mai del sale in presenza di estranei. Noi andiamo dall’acciugaio solo per comperare acciughe. Il sale lo può vendere legalmente solo chi ci governa. Lo Stato lo fa pagare molto di più di quanto costa. È una cosa iniqua perché colpisce i più poveri, quelli che devono vivere del bestiame. Il sale è la vita delle bestie. E le bestie sono la nostra vita. Senza il sale non possiamo fare il formaggio. Chi ha molte bestie non riesce a ricavare abbastanza da vivere se deve pagare un prezzo esorbitante per il sale. Nei mesi freddi, i nostri pastori vanno in Liguria a vendere la tela grezza tessuta dalle loro donne. In cambio ricevono acciughe dai marinai. Insieme alle acciughe trasportano di nascosto il sale, e così evitano le tasse ingiuste» (San Damiano in Val Maira, anno 1800) (48-49).

«Il consumo minimo di sale cui si è obbligati a comperare dallo Stato è definito per legge: otto libbre per ogni persona oltre i cinque anni, quattro libbre per ogni bovino, una libbra per ogni bestia caprina o lanuta. Un poveraccio con molti figli e bestie può pagare anche dieci volte quanto una persona benestante senza figli e bestiame. È un’ingiustizia enorme. È evidente che nascono i contrabbandieri del sale. Per combatterli lo Stato assume guardie e soldati. Questi gravano su chi paga le tasse, le quali di conseguenza aumentano ancora di più. Chi cercava di aggirare il monopolio del sale era considerato nemico dello Stato. «La gabella del sale era la più odiata dai popoli per la sua gravezza» (Einaudi). Le pene imposte dai Savoia erano ferocissime. Per chiunque introducesse e trasportasse o facesse transitare da tre a cinque rubbi di sale forestiero la legge prevedeva la confisca dei beni e la galera perpetua. Chiunque contrabbandasse sale per più di cinque rubbi, subiva la pena di morte, oltre la confisca dei beni. E le pene erano applicabili anche ai ricettatori, ai commercianti e ai compratori. Le guardie e le spie avevano difficoltà a individuar i contrabbandieri che erano protetti dalla gente» (San Damiano in Val Maira, anno 1800) (55).

«Per la mentalità contadina, la mucca è più importante di un bambino. Se muore la mucca è una tragedia, si rischia di rimanere senza cibo, di morire di stenti. La mucca dà il vitellino, il latte, il formaggio, il calore d’inverno, produce beni da utilizzare o da scambiare o da vendere per acquisirne altri. Se muore un bambino, se ne fa un altro» (San Damiano in Val Maira, anno 1800) (60)

«La scuola inizia ora perché sono finiti i lavori importanti in campagna» (San Damiano in Val Maira, anno 1810) (72)

«Mi attraeva il nuovo calendario francese. Avevo recuperato una copia e la conservavo con cura. Era basato su un sistema decimale. Per chi non era abituato al vecchio sistema, era facile a seguire. Il giorno era diviso in dieci ore, le ore in decimi e i decimi in centesimi. La settimana era di dieci giorni, c’erano tre settimane nel mese. Ogni giorno era definito dai prodotti e dagli strumenti della terra anziché dai Santi. Mi divertivo a confondere la gente dicendo: “Ci vediamo la prossima settimana, di nonidì, il nove Brumaio alle ore cinque e un decimo”. Mi guardavano di traverso, come se fossi un giacobino acceso. Spiegavo che ero solo affascinato dai numeri, che l’appuntamento era per venerdì , 31 ottobre a mezzogiorno e un quarto» (San Damiano in Val Maira, anno 1810) (73).

Il pane di pura segala, col buco al centro, conservato sui bastoni appesi al soffitto e che durava tutto l’anno. Per mangiarlo, bisognava immergere ogni ciambella nell’acqua (San Damiano in Val Maira, anno 1810) (77)

«Al mercato comparvero dei strani tuberi. Venivano dall’America. Dicevano che avrebbero risolto per sempre il problema della fame. Si chiamavano patate. Se le avessime avute prima avremmo sofferto meno la carestia. Erano già arrivate da diversi anni in altre parte d’Europa, ma qui eravamo fuori dal mondo civile. Partivamo coscritti per combattere la guerra in tutti i luoghi della terra, ma le patate, non le avevamo mai viste» (San Damiano in Val Maira, anno 1810) (78-79).

Altezza minima per essere arruolati da Napoleone: m. 1,54 (91)

A Napoleone. «Non tutti gli uomini hanno condiviso le tue battaglie: hai causato milioni di morti. Molti si sono ribellati all’idea di andare incontro alla morte per seguire la tua causa. Si sono dati alla macchia. Per vivere sono diventati briganti. Abbiamo avuto in questi paraggi il Rus, il Ragadin, il Galliano, il Dragòn, il Ghè, per nominarne solo alcuni. Ci assalgono lungo le strade a qualunque ora del giorno o della notte per derubarci. Uccidono chi resiste. Tu stesso li hai combattuti, ma non sei riuscito a debellarli. Ce li hai lasciati in eredità» (98).

«D’inverno la veglia nelle stalle era il momento migliore per incontrare persone e fare amicizia. Si era sempre bene accolti nelle veglie dove c’erano ragazze da sposare. «È meglio lasciare il formaggio da fare che la figlia da sposare […] C’erano veglie particolari, come quella dell’Epifania, quando si elencavano i nomi di tutti i presenti ancora da sposare, anche i giovanissimi e gli anziani. Si tirava a sorte per creare accoppiamenti tra uomini e donne. Più le coppie erano bizzarre e più facevano divertire» (San Damiano in Val Maira, anno 1810) (99)

Come si lavorano la seta e i bachi da seta in 128-130

Il bisnonno di Roberto Einaudi, e padre di Luigi, collettore di tasse a Carrù (133).

«Acquisire il diritto di servire il Sovrano, come Santarosa o come il marchese Caraglio, comporta precisi doveri oltre ai benefici. L’investitura è concessa solo dopo il giuramento di completa fedeltà al Re. Guardi questa pergamena firmata da Carlo Emanuele: “il marchese con la dovuta riverenza inginocchiato davanti Noi, tenendo le mani sovra li Sacri Evangeli, ci ha giurato eterna fedeltà senza riserva alcuna in perpetuo che mai farà né trarrà cosa che sia contro la vita, l’onore Nostro dei Nostri successori…» (138).

«Un documento dei Savoia sui danni di guerra subiti in Piemonte durante la successione spagnola all’inizio del Settecento convalidava i dati sulle mattanze del 1593, 1601-1603, 1656-57, 1706 e 1741-44. Il confronto dei danneggiamenti causati dalle truppe dei Savoia e alleati rispetto a quelli arrecati da quelle “nemiche”, confermava l’animosità esistente tra le vallate nella provincia di Cuneo e i Savoia. Mentre nelle restanti parti del Piemonte i danni provocati dai “nemici” erano quattro volte superiori a quelli causati dagli “amici”, la situazione si rovesciava nella provincia di Cuneo, dove i danneggiamenti causati dai Savoia e i loro alleati erano cinque volte quelli causati dai cosiddetti nemici. Gli “amici” avevano asportato mobili e vettovaglie, tagliato alberi fruttiferi, rubato bestiame, incendiato case. Ogni razzia era documentata e quantificata. Bisognava riconoscere la pignoleria della contabilità sabauda, e la loro imparzialità nel riconoscere i propri difetti» (145)

«Nel “Libro delle Anime” del 1612 a San Damiano, non c’era un singolo Eynaudi registrato, ma nel 1658 gli Eynaudi residenti nella parrocchia rappresentavano quasi il 4 per cento della popolazione; oggi (1830) sono il 10 per cento. Da dove erano arrivati? […] Ogni comune ha la sua famiglia dominante. Non parlo di potere, che era in mano ai feudatari, ma del numero dei componenti. Elva è il regno degli Dau, Stroppo degli Abello, Celle dei Mattalia e degli Aimar, Prazzo degli Allemanni, Cartignano dei Ghio, Albaretto dei Mucchietti, Marmora degli Ellena, Dronero dei Chiapello, Preit dei Massimo, San Damiano degli Eynaudi. Nel 1658 e nel 1673 il cognome più frequente a San Damiano era “del Peasco”, successivamento trasformatosi in Prasco e poi in Piasco. È probabile sia lo stesso cognome indicato nel documento del 1286 di Cartignano come “d’Alpeasco”. Anche il nome Einaudi si trasformava nei secoli, Gli Aynaudi di Celle nel 1600, divennero Ainaudi, Aynaudo, Einaudo, Ejnaudus, Eijnaudus, Eijnauda, poi Inaudi, Inaudo, Inauda, Inaudus, e infine Eijnaudi, Eyanudi e Einaudi» (147-148).

San Damiano in Val Maira, talmente isolata che il Comune assunse un pedone per svolgere il servizio postale una volta alla settimana (1836) (161).

«La nostra piccola comunità, senza traffico, senza commercio, con l’infelicità delle strade e la povertà delle famiglie» (164).

«Chi viaggiava per mestiere lo faceva a piedi» (167)

«Celle era famosa per i venditori ambulanti di acciughe; Elva, per i caviè che raccoglievano i capelli in tutta Italia e li trasformavano in parrucche, vendute anche in Inghilterra; Albaretto per i sibré, fabbricanti delle botti di legno per il vino; Marmora per i bastai che facevano le selle per muli e cavalli; Stroppo per i plombier; Roccabruna per i carbonai; Pratavecchia per i ferraioli; Pagliero per i margnin, che riparavano e facevano oggetti in rame» (167)

«Il pensiero prevalente dei nostri concittadini, oltre a quello di avere abbastanza da mangiare, era di essere vestiti in modo adeguato, e di avere un buon paio di scarpe» (168).

«Mestieri di carattere pubblico di un certo prestigio: maestro di scuola, commissario per le dogane, medico chirurgo, giudice, notaio, preposto delle gabelle, parroco, guardia forestale» (168).

«Osserviamo i baratti più incredibili: uova scambiate con chiodi, riso con sale. I contadini pagano raramente in moneta. La bilancia è sempre a portata di mano, con i suoi pesi d’ottone lucidato» (1850) (186).

«Come si chiamano tutti questi strumenti? “Sono coltelli, accette, seghetti, raspe, limagorbi, compassi, succhielli, caprugginatoi, cocchiumatoi, muiette, martelli. I recipienti laggiù sono zangole e arbi, barili e barilotti, tini e tinelli, secchielli e fiselle, bartèt e curnue. Quegli altri costruiscono una sella. Usano l’asciola, battipeli, girabecchi, vernantini, un paio di forbicioni, grandi aghi, dello spago, per modellare, tagliare e fissare l’imbottitura, la tela grezza, e il pelame di finitura» (188-189).

«Sul carro del ciarlatano, adorno a festa, … il cavadenti, assistito dal servitorello, iniziava l’operazione, magnificando i frutti dei rimedi suoi particolari, che dispensava copiosi, con l’afflusso di grossi soldoni di rame; sinché conchiuso l’imbonimento, il sacrificio si compieva al cospetto di donne paurose e di bambini urlanti; e il dente afferrato con la grossa tenaglia era rammostrato agli astant, mentre il paziente si allontanava dolorante e sanguinante e, incoraggiati, altri salivano sul palco, parati al danno» (Luigi Einaudi( (189).

«Io sostenevo che avrei lasciato presto la valle, ritornando a Torino per continuare i miei studi in scuole migliori, dove le classi sono divise per ogni anno, non come qui a San Damiano dove gli allievi di tre anni diversi sono in un’unica stanza» (196)

«Ottima è l’imposta la quale non diminuisce ma cresce l’ammontare del reddito in confronti di quello che sarebbe stato senza di esso» (Luigi Einaudi) (197)