Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 21/12/2012, 21 dicembre 2012
PRONTO A PARLARE IL CASSIERE DEI BOSS —
Ufficialmente ha due nomi. Uno italiano e molto siciliano, Vito Roberto Palazzolo; l’altro straniero e dal tono marziale, Roberto von Palace Kolbatschenko. Ha sposato prima una tedesca e poi un’israeliana, ha avuto incarichi paradiplomatici, per quanto fittizi. Ha fatto il banchiere in Svizzera, dove l’hanno arrestato e condannato, è scappato dal carcere di Lugano, s’è rifugiato in Sudafrica dove ha ospitato latitanti, continuato a fare affari ed è stato nominato ambasciatore plenipotenziario dell’inesistente Stato del Ciskey. Ha trafficato con le banche e in diamanti, armamenti e allevamenti. Falcone e Borsellino lo cercavano dal 1985, per associazione mafiosa e traffico di droga nell’indagine sulla «Pizza connection», ma è sempre sfuggito ai loro mandati di cattura. Alla fine, in Italia, è stato condannato a nove anni di galera con una sentenza divenuta definitiva nel 2009. L’hanno arrestato a marzo scorso in Thailandia, ieri è arrivato l’ordine di estradizione in Italia. E adesso molti si chiedono che farà e che cosa dirà Palazzolo, giunto a 65 anni d’età e con la prospettiva del «41 bis».
«Il riciclatore della mafia», quello che per il pentito Nino Giuffrè fu «il punto di riferimento principale di natura economica dei Corleonesi, in modo particolare Totò Riina e Bernardo Provenzano», potrebbe tentare di sfuggire ai rigori del «carcere duro» collaborando coi magistrati. «Non ci opporremo all’estradizione — annuncia il suo avvocato Baldassare Lauria — e il discorso già avviato con i pubblici ministeri di Palermo e i poliziotti del Servizio centrale operativo potrebbe arrivare a compimento». Parole apparentemente chiare, anche se poi l’avvocato aggiunge: «Palazzolo nega di aver avuto a che fare con Cosa nostra, però sostiene di poter spiegare i segreti del riciclaggio mondiale. Potrebbe fare luce su molti misteri e sui suoi rapporti con istituzioni ed esponenti di vari enti italiani. È stato titolare di una banca legata al Credit Suisse, che ha avuto tra i suoi clienti la Cdu tedesca del presidente Helmut Kohl, conosce i meccanismi del sistema bancario internazionale come pochi. Certamente non è un santo, ma ridurlo a cassiere di Riina è un po’ bizzarro».
Sembra di capire che il ruolo di investitore dei Corleonesi gli vada stretto. Quasi fosse una diminutio, per uno che è stato socio del conte Agusta (quello che produceva elicotteri) e aveva diversificato i propri investimenti dalla vendita di acque minerali alla gestione di un night club, dalle estrazioni minerarie al settore immobiliare, spaziando con le sue società dal Liechtenstein a Montecarlo, da Hong Kong a Singapore. Forse anche per questo Provenzano lo stimava al punto di dire a Giuffrè che quel che Palazzolo toccava «si trasformava in oro». Sulla mafiosità dell’imprenditore nato a Terrasini pesa un verdetto definitivo, sebbene lui si ostini a contraddire pentiti e testimoni, e il suo difensore stia provando la revisione del processo e il ricorso alla Corte europea di Strasburgo.
Il pm di Palermo Gaetano Paci è già stato in Thailandia per interrogarlo nei mesi scorsi, ed è possibile che ci torni nei prossimi giorni, prima ancora che l’estradizione decisa ieri diventi esecutiva. A lui e agli investigatori dello Sco Palazzolo aveva fatto capire che qualora il Paese asiatico l’avesse consegnato all’Italia, avrebbe cambiato atteggiamento. Alla Procura i meccanismi del riciclaggio interessano, certo, ma i pm vorranno sentirsi dire qualcosa di più incisivo rispetto a quanto l’uomo d’affari ricercato da Falcone ha finora negato. Non solo i rapporti con Riina e Provenzano. Gli chiederanno, ad esempio, delle sue relazioni con il senatore Marcello Dell’Utri, dal quale nel 2003 attendeva aiuti per risolvere i suoi problemi con la giustizia. Nelle intercettazioni tra Palazzolo e sua sorella Sara, il latitante raccomandava alla donna di dettagliare le richieste al senatore: «Ha esperienza personale... è una vita che lui combatte con queste cose... Non devi convertirlo, è già convertito». E un’altra donna avvicinata da Sara Palazzolo per arrivare a Dell’Utri, con il quale poi effettivamente parlò, spiegava che «il contatto» doveva servire a risolvere «i problemi di Roberto (Palazzolo, ndr). Che sono anche quelli di Marcello (Dell’Utri, ndr), processi, cose o non so che cosa...».
C’è poi il filone degli affari di Finmeccanica, apertosi quando un testimone ha raccontato di aver visto il nome e il numero di telefono di Palazzolo scritti sul biglietto da visita di un manager della Selex, finito nelle mani di un dirigente di un’altra azienda della stessa galassia attiva nel settore degli armamenti. Tutto questo sarebbe avvenuto durante un vertice internazionale in Angola, al quale partecipò anche un ignaro viceministro italiano. Il testimone, che all’epoca era responsabile di Finmeccanica per l’Africa meridionale, disse di aver messo in allarme i capi del suo gruppo, ma agli inquirenti palermitani Palazzolo ha negato di aver preso parte a quella riunione internazionale. Per apparire credibile ai pm, c’è da ritenere che il neoestradato dovrà essere un po’ più convincente di quanto sia stato finora. «Ora comincia una nuova partita — spiega il suo difensore —. Mi auguro solo che non faccia la fine di Michele Sindona». Ma perché dovrebbe morire in cella con un caffè avvelenato? Che messaggi lancia l’avvocato? «In passato il mio assistito ha svolto ruoli di grande rilievo, la sua presenza in Italia potrebbe alimentare strane idee».
Giovanni Bianconi