Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 21/12/2012, 21 dicembre 2012
KAPÒ, LA PAROLA SBAGLIATA DI UN BRUTTO DUELLO VERBALE
Caro Romano, l’attuale presidente del Parlamento europeo Martin Schulz
ha definito il possibile ritorno politico di Silvio Berlusconi una minaccia per la stabilità in Italia ed in Europa.
Come sappiamo tra i due soggetti c’è «ruggine» dai tempi in cui Berlusconi diede a Schulz del «kapò» durante una discussione all’europarlamento.
Ma quale fu il motivo per cui l’allora presidente del Consiglio italiano si lasciò scappare questo termine? E, soprattutto, chi era un «kapò» nei lager nazional-socialisti?
Glielo chiedo perché ho sempre avuto l’impressione che né l’offensivo Berlusconi né l’offeso Schulz, e neanche molti dei commentatori che intervennero all’epoca, lo sapessero veramente!
Mario Taliani, Noceto
Caro Taliani, l’incidente ebbe luogo nell’aula del Parlamento europeo di Strasburgo in occasione del «discorso d’insediamento» che Silvio Berlusconi pronunciò il 2 luglio 2003 quando l’Italia divenne, per il semestre appena iniziato, presidente di turno dell’Unione. Il testo era stato preparato con cura e toccò, secondo la tradizione, tutti i grandi temi del momento, dai rapporti con gli Stati Uniti dopo le polemiche sulla guerra irachena al problema della pace in Palestina, dalle reti infrastrutturali dell’Ue all’immigrazione clandestina e soprattutto alla Costituzione europea. Berlusconi voleva apparire europeo, sobrio, costruttivo e si guardò bene dall’indossare i panni dell’euroscettico, come era accaduto in altre circostanze. Vi erano state contestazioni all’inizio della seduta, fra cui un cartello innalzato da sette deputati Verdi con la scritta «tutti sono eguali di fronte alla legge» (un chiaro riferimento alle vicende giudiziarie del presidente del Consiglio). E vi furono interventi, dopo il discorso, contro il suo conflitto d’interessi e il suo monopolio dell’informazione televisiva. Ma il presidente del Consiglio italiano sembrava deciso a evitare trabocchetti. I suoi nervi saltarono quando il social-democratico tedesco Martin Schulz riprese gli stessi argomenti con un tono aspro e duro che a me sembrò in quella circostanza fuori luogo.
Berlusconi avrebbe potuto rispondere che era venuto a Strasburgo per esporre una linea politica, che desiderava parlare di quella e che avrebbe risposto a Schulz soltanto in altre occasioni e circostanze. Ma cedette al suo istinto cabarettistico e pronunciò una frase che è ormai passata alla storia delle gaffe politiche italiane: «Signor Schulz, conosco un produttore che sta montando un film sui campi di concentramento nazisti. La suggerirò per il ruolo di kapò».
Nei giorni seguenti è stato scritto che Berlusconi aveva paragonato Schulz a un funzionario nazista. Ma il kapò, nei lager del Terzo Reich, era il prigioniero a cui veniva delegato il compito d’imporre in una baracca tutte le brutali regole disciplinari emanate dai comandanti del campo. Veniva scelto, in generale, fra i criminali incalliti e godeva, rispetto ai suoi compagni di prigionia, di alcuni privilegi, soprattutto alimentari.
Ma vi fu anche, soprattutto verso la fine della guerra, qualche kapò ebreo. Era ebrea la giovane Edith, impersonata da Susan Strasberg, in «Kapò», il film realizzato da Gillo Pontecorvo nel 1959. Non è facile capire, quindi, perché l’intervento polemico di Schulz abbia evocato nella mente di Berlusconi l’immagine del guardiano di un campo di concentramento. Oltre che irriguardosa e insolente, la sua battuta era incomprensibile.
Sergio Romano