Maria Laura Rodotà, Corriere della Sera 21/12/2012, 21 dicembre 2012
L’«ENIGMA» NANCY LANZA. VITTIMA O VERO CARNEFICE?
Non bisogna aver paura di Adam Lanza, ma della mamma di Adam Lanza che è in noi? A leggere i siti di notizie, commenti, approfondimenti, riflessioni e deliri più apprezzati degli Stati Uniti, a volte sembra di sì. Nancy Lanza, la prima a venire uccisa a Newtown, con una delle sue molte armi, da suo figlio, forse mentre dormiva, è oggetto di damnatio memoriae ufficiale: la città di Newtown non la conta tra le vittime; il president Barack Obama non l’ha menzionata; solo alcuni membri della sua «bar family» al My Place di Newtown ammettono ai giornalisti di essere stati suoi amici (dopo un paio di drink, par di capire). Ma su riviste online molto lette come The Atlantic e Slate, su Nancy Lanza nata Champion si discute parecchio: era una madre affettuosa ma fuori di testa che cercava di distrarsi dalla cura del figlio minore complicato, o il caso limite che mostra come la passione americana per le armi possa obnubilare la capacità di giudizio, o un termine di paragone terribile, perché è inevitabile condannarla e facilissimo identificarsi? Di tutto un po’, pare.
Perché: la sciagurata che teneva in casa un arsenale e portava i figli, anche il minore complicatissimo, a sparare, per il resto era un personaggio da serie tv (Cougar Town, o altri). Un’americana tipica ma — anche grazie alle serie tv — universale: cinquantenne mamma divorziata dei sobborghi, bionda, snella, appassionata di «birre artigianali, jazz e giardinaggio». Lo scrive il New York Times, è un’espressione da annuncio matrimoniale o da profilo di social network. Ma la signora teneva in casa legalmente cinque armi, tra cui un fucile semiautomatico Bushmaster .223 «formidabile macchina per uccidere, simile alle armi usate dai nostri soldati in Afghanistan». Il tutto in una cittadina che sembra la gemella tragica della fittizia Stars Hollow di «Una mamma per amica», che è una serie proprio su una mamma singola del Connecticut, solo disarmata.
Ma non dissimile. Nancy Lanza non è un caso estremo: il 43 per cento delle americane (mai così tante) ha un’arma. In dieci anni è raddoppiato il numero di donne nei poligoni di tiro. Tra loro, ci sono tante mamme e qualche scrittrice. Come Porochista Khakpour, che su Slate ha abiurato la sua passione per le armi. Che la faceva sentire «badass», tosta e cattiva, come una Lara Croft ignara di non essere in un videogioco. E racconta: «Quando ho letto che Nancy Lanza si vantava del suo arsenale con gli uomini nei bar, ho capito. Questa donna, divorziata, sola, in un mondo di uomini, si sentiva bene grazie a questo. La faceva sentire protetta, quasi invincibile, grande e forte. Come un uomo». La retorica sul diritto di portare armi ha fatto il resto.
E il resto è tragedia. L’hobby di Nancy Lanza e la mancanza di restrizioni «hanno dato al suo figlio disturbato l’opportunità di massacrare una prima elementare. Ma tutti noi abbiamo reso possibile questa passione per le armi da fuoco. L’abbiamo coltivata e protetta, pagando un costo terribile». Lo scrive Andrew Cohen sull’Atlantic; aggiungendo che, però, forse, stavolta, la lobby delle armi dovrà fare i conti con il «potere politico dei genitori in America». Anche se, per il momento, si devono fare i conti col dolore, l’aggressività, le esternazioni disperate e inopportune. La mamma di uno degli omicidi-suicidi di Columbine sulla rivista di Oprah Winfrey, la blogger Liza Long autrice del post «sono la mamma di Adam Lanza» in cui racconta la vita con un figlio disturbato e le pulsioni anti-figlio, i successivi dibattiti. Segnali di disagio collettivo tanto quanto l’attaccamento alle armi da fuoco, a pensarci, si teme.
Maria Laura Rodotà