Virginia Piccolillo, Corriere della Sera 21/12/2012, 21 dicembre 2012
NON SOLO LA RUSSA. TUTTI QUELLI CHE AMBISCONO ALL’ESENZIONE —
NON SOLO LA RUSSA. TUTTI QUELLI CHE AMBISCONO ALL’ESENZIONE — Crocicchi. Sussurri. Occhiate spaurite. L’emendamento sul maxisconto della raccolta firme in Aula traballa. E in Transatlantico si diffonde l’agitazione. Non è solo Ignazio La Russa a trepidare per la norma che esonera dall’obbligo di raccogliere firme dei sostenitori chi in Parlamento ha già un movimento costituito. O almeno, come lui, lo ha costituito in fretta e furia ieri.
Ma molti, anche di partiti più popolosi, amerebbero saltare il passaggio delle firme dati i tempi stretti che ci dividono dalle consultazioni. Ecco perché ieri, nel grande corridoio dei passi perduti, si rivedevano a braccetto finiani e berlusconiani in transito verso La Russa, in un’unità di intenti che arrivava fino ai radicali. Un’anomala geometria di «parenti serpenti», costretti ad unire le forze per riuscire a far passare la norma contro cui si è scagliato il Pd. In quanto partito esistente già da inizio legislatura è esonerato dalla raccolta, come Lega, Pdl e Idv. Anche l’Udc beneficerebbe del decreto: ha un gruppo autonomo solo alla Camera e non anche al Senato. Idem Fli: è nata a legislatura in corso. Gli ex dipietristi Massimo Donadi e Nello Formisano hanno fondato da poco Diritti e Libertà. E poi c’è Popolo e territorio, Noi sud, Pri e Lib-dem. Per non parlare dei bossiani di Rosi Mauro, che al Senato ha fondato Siamo gente comune.
Tutti ieri facevano calcoli. Quante firme occorrono. Quanti voterebbero la norma pur essendo di un partito contrario. E i larussiani raccoglievano aderenti per arrivare ai 20 necessari a fondare il gruppo a Montecitorio. «Il problema non è la raccolta delle firme. Ciò che cambia è che chi deve raccogliere le firme ha molto meno tempo a disposizione per la presentazione delle liste di candidatura», spiegava intanto al Senato Ignazio La Russa. Convinto ad ottenere l’esenzione per i suoi di Centrodestra nazionale, oppure a far saltare tutto. Se non si trova una «mediazione», spiegava l’ex ministro della Difesa, «e si finisce con un testo che favorisce solo alcuni, allora il governo deve ritirare il decreto perché c’è, tra l’altro, il rischio che non venga convertito con conseguenti problemi di irregolarità del voto. Noi in quel caso sicuramente non lo votiamo».
Ma l’ostruzionismo del Pd, contrario alla concessione dello sconto delle firme, cominciava a far intravedere il peggio. «Il decreto è saltato, ormai non c’è più tempo», dicevano i meno informati. «Si troverà» sorridevano i finiani.
Poi, d’improvviso, il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, appare con falcata determinata. Accanto a lei il presidente della Camera, Gianfranco Fini. Dietro il ministro per i Rapporti col Parlamento, Piero Giarda, e un lungo codazzo. I deputati a rischio raccolta firme la guardano stupiti e cominciano a sperare. «Pare che voglia trovare una mediazione» dicono dandosi di gomito.
Dopo la Capigruppo le indiscrezioni si fanno ancora più rassicuranti. Al sorriso bonario del ministro che si sottrae ai cronisti (dicendo solo «non vi posso ancora dire nulla. Stiamo lavorando. E’ inutile che vi dico di una cosa che è in divenire), si contrappone la sicurezza incrollabile del ministro Giarda: «C’è la certezza di convertire il decreto».
La tensione si stempera. I larussiani smettono di cercare aderenti a Centrodestra nazionale, che nel frattempo si è gemellato con il movimento di Giorgia Meloni e Guido Crosetto, fondendosi nel partito «Fratelli d’Italia». «Avevamo già pronti 24 deputati pronti a passare con il nostro gruppo», spiega Paola Frassinetti. «Ma ormai non servono più. Il governo sta trattando e sembra che anche chi ha un gruppo già formato debba ugualmente raccogliere le firme. Quindi è inutile andare avanti nella costituzione del gruppo, che era nato solo per questo. E comunque raccogliere firme non ci spaventa affatto».
Virginia Piccolillo