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 2012  dicembre 21 Venerdì calendario

DIECI LUNGHI MESI DI PRIGIONE E GINNASTICA DALLA STAZIONE DI POLIZIA ALL’ALBERGO TRIDENT


Il carcere statale di Trivandrum, la capitale del Kerala, è perso su un’altura, nella periferia della città. Cento acri di terra, una specie di rada boscaglia, una continua processione di detenuti che entrano ed escono dal portone principale, in base a ritmi precisi e sempre eguali. I familiari che li aspettano o li assistono, le stuoie dei mercanti posate sulla terra rossa, con i frutti in vendita per poche rupie. Nella notte tra il 6 e il 7 marzo, il momento più teso, quando il maresciallo Massimiliano Latorre e il sergente Salvatore Girone, si ritrovarono, impeccabili nella divisa dei fucilieri del San Marco, immobili sull’attenti, impegnati a «resistere» agli ordini del direttore dell’istituto che avrebbe voluto farli accompagnare dai poliziotti in una cella comune, su ordine del giudice.

Il viceministro degli Esteri, Staffan De Mistura, aveva perso il suo tradizionale aplomb per urlare alle autorità locali che i nostri marò avrebbero obbedito solo alle autorità italiane. Passarono ore, in un drammatico braccio di ferro. De Mistura spiegava che le disposizioni dei giudici di Kollam, cui competeva la giurisdizione, prevedevano una serie di misure per tutelare la sicurezza dei militari. In piena notte, con un drappello di armati pronti a intervenire per trascinare di peso i fucilieri all’interno del carcere, il direttore finalmente cedette. E così Latorre e Girone finirono ospiti dell’ex infermeria, che aveva ospitato in passato alcuni ministri accusati di corruzione.

Come vicino di cella, un ufficiale di un reparto anti-terrorismo, ritenuto responsabile di una serie di uccisioni illegali. Giornate lunghissime. Ginnastica, letture, musica. Ogni giorno 24 bottiglie di acqua minerale per bere e lavarsi; il cibo cucinato in un ristorante italiano del centro; le visite dei diplomatici e dei militari della task force della Farnesina. Superate le diffidenze, tra i poliziotti e i marò era nato quasi un clima di amicizia, scandita da reciproci sorrisi, qualche piccolo favore, scambi di idee o ricordi della patria lontana.

L’arresto era avvenuto sul ponte della «Enrica Lexie», pochi giorni dopo l’incidente costato la vita ai due pescatori. I diplomatici italiani si scontrarono duramente con i poliziotti indiani e gli ufficiali della Coast Guard. Loro avevano un mandato d’arresto firmato dal giudice di Kollam, le autorità italiane cercarono di opporsi sino all’ultimo millesimo di secondo, rischiando anche lo scontro fisico con i poliziotti. Alla fine i marò scesero sulla motovedetta che li sbarcò, sotto una scorta imponente, su una banchina del porto di Kochi. Da qui al Police Club, nella Penisola di Willngdom. La palazzina del Police Club è stata la loro prima «prigione». All’esterno, le distese di container confusi con alberi e prateria, tra branchi di cani randagi e il rombo continuo dei camion colorati e vecchissimi.

Poi un altro Police Club, quello di Kollam. Una casa bianca, confinante con il quartiere dei pescatori. Settimane immersi nel clima umido, il cielo perennemente nascosto da una foschia biancogrigia. Con i giornalisti locali appostati davanti ai cancelli per strappare una frase o una foto agli «italiani». Ogni udienza, lo stesso rito. La divisa del San Marco, la scorta armata, talvolta una folla ostile ad accoglierli. Infine la detenzione nel silenzioso hotel Trident, a Willingdom. Fuori dalle finestre, oltre i muri, decine di «Tuc Tuc», i taxi Ape-Piaggio, in attesa di clienti, le navi all’orizzonte, l’immensa foresta scossa dalle brezze marine. Qui ritorneranno i marò del San Marco.