Carlotta Zavattiero, Sette 21/12/2012, 21 dicembre 2012
BACCO, TABACCO E SLOT IL FLOP DEI VIZI DI STATO
[Macchinette, casinò, alcol e fumo sembrano un grande affare per l’Erario, ma se si scava nei conti si scopre che è un’attività in rosso, che impoverisce le famiglie, distrugge il risparmio e ingrassa solo le mafie] –
Un business malato, in perdita, foriero di costi sociali altissimi ed esposto a infiltrazioni mafiose. È l’insieme dei “vizi di Stato”, i settori nei quali il pubblico ha pesanti poteri di intervento e normativi: slot machines, gratta e vinci, superenalotto, ma anche fumo, alcol, casinò.
Abbiamo scavato tra numeri, storie, cifre e testimonianze. E il quadro che appare è sconvolgente: a prescindere dal giudizio morale che si può dare su uno Stato che incentiva comportamenti censurabili, emerge con forza che la gestione di queste attività non produce introiti reali ma solo perdite.
Facciamo due conti. A fine 2012 il volume d’affari legato al gioco è stimato in 88 miliardi di euro (+10% sul 2011). Ma tolte le vincite, le quote ai gestori e i costi, è di soli 8 miliardi l’incasso effettivo per lo Stato. Una bella cifra, si dirà, ma bisogna considerare che il costo sociale del gioco, in termini di danni alle famiglie e al risparmio, è stimato in 6 miliardi l’anno. I 2 che restano sono ampiamente bruciati dal volume di gioco illegale che sfugge a ogni controllo, 15 miliardi l’anno. E siamo già a -13, senza contare il costo dell’usura legata al gioco e l’attivismo dei clan mafiosi che operano nel settore, ben 49 secondo Libera.
Andrebbe poi valutato il costo del gioco in termini di distruzione del risparmio, tenuto conto che la quota di gioco pro-capite di ogni italiano sopra i 18 anni è pari a 1.890 euro l’anno. Né va sottovalutato l’enorme impatto dovuto alla recente introduzione dei giochi via telefonino.
Non migliore la situazione per un altro grande settore gestito dai Monopoli di Stato (cioè l’Aams), il fumo: nel 2011 la cifra incamerata dallo Stato tra accise e Iva è di 14,1 miliardi (10,9 da accise e 3,1 da Iva). Ma il settore dei tabacchi vive un allontanamento dei Monopoli dalla originaria mission, anche sociale. Oggi in Italia il monopolio del tabacco è infatti in mano alla British American Tobacco, la Bat. Nel 2003 la potentissima multinazionale anglo-americana si è infatti aggiudicata le fabbriche italiane di sigarette offrendo 2,35 miliardi di euro nella fase di privatizzazione dell’Eti, l’Ente tabacchi italiani.
La Bat, da quando ha acquisito l’industria manifatturiera italiana, ha solo venduto, tagliato e chiuso, giustificando una simile politica per l’eccesso di produzione di sigarette nel mondo e perché lavorare in Italia costa troppo (l’1 gennaio 2011 ha chiuso i battenti lo stabilimento di Lecce, dove era allocata l’ultima manifattura italiana del tabacco). Oggi la Bat, nonostante il suo fatturato globale superi i 16 miliardi di euro, non produce in Italia un solo posto di lavoro.
Ma a parte questo va considerato il costo dei 70-80.000 decessi l’anno per malattie da fumo stimati dal ministero della Salute e i danni in itinere alla salute degli 11,6 milioni di fumatori italiani. E che dire del tempo perso in azienda a fumare? Calcolando 5 minuti a sigaretta, un fumatore da 20 sigarette perde 1 ora e 40 al giorno.
E chi valuta il danno ambientale prodotto da 140 milioni di mozziconi fumati al giorno (51 miliardi l’anno), che impiegano da 1 a 5 anni per bio-degradarsi, triplicando il costo della pulizia delle strade? E quanto perde lo Stato a causa del contrabbando, ancora fiorente? Anche per il fumo, quindi, il bilancio per lo Stato è in perdita.
E veniamo al terzo grande settore, l’alcol, per il quale è lecito nutrire perplessità. Sul vino, il prodotto più consumato, lo Stato – pochi lo sanno – non percepisce accise di alcun tipo, mentre sulla birra l’accisa è di soli 2,35 euro ogni 100 litri mentre per i superalcolici sale a 800 euro per ettolitro. Ma qual è il costo sociale di 1,5 milioni di alcolisti italiani, di 8 milioni di bevitori con consumo non moderato segnalati dall’Istituto Superiore di Sanità? E che dire dei 30mila decessi l’anno per cause alcol-correlate; o del fatto che il 45% degli incidenti è dovuto all’alcol? Il costo sociale dell’alcolismo è stimato in 53 miliardi di euro l’anno. Anche in questo ambito, i “vizi di Stato” producono solo perdite e danni ingenti.
La rivolta. Di fronte ad alcune derive, come quella delle slot machine, non tutti però si piegano. E contro i vizi di Stato sta partendo la rivolta. A Cremona la barista Monica Pavesi ha spento le due slot del suo esercizio, disposta a rinunciare a incassi di circa 1.500 euro ogni due settimane, il 6% dei 40-50mila euro fatturati dalle due macchinette, pur di «non vedere persone rovinarsi così».
A Taranto una dipendente di un ufficio postale si è ribellata contro la sua nuova mansione: vendere i Gratta e Vinci: «Io il Gratta e Vinci non lo voglio vendere. Perché Poste Italiane si abbassa a questo?». A Bolzano l’amministrazione non accetta compromessi sul rispetto della legge provinciale che vieta la presenza degli apparecchi da gioco in un raggio di 300 metri da “luoghi sensibili” come scuole, centri ricreativi e sportivi per giovani e anziani, ospedali e strutture socio-sanitarie, chiese. Il presidente della provincia Luis Durnwalder era stato chiaro: entro il 15 dicembre le slot andavano rimosse.
In lotta contro i videopoker anche monsignor Alberto D’Urso, segretario nazionale della Consulta nazionale antiusura. Ci racconta che tra quanti si rivolgono alla fondazione San Nicola e SS. Medici di Bari di cui è presidente, «una media di quattro persone su dieci ha debiti con gli usurai a causa della passione per il gioco». La parrocchia dove lavora D’Urso si trova in una zona popolare di Bari e il monsignore vede con i propri occhi gli effetti devastanti prodotti dal gioco compulsivo: «Questi individui sono in grado di costellare un’intera esistenza di bugie incalcolabili. Poi però la verità viene a galla: scoppia il disastro economico, si moltiplicano le separazioni e le depressioni. La gente viene continuamente ingannata e sollecitata a tentare la fortuna. Se Cavour fosse tra noi, definirebbe il gioco come le “tasse che pagano i poveri”».
Mafia e riciclaggio. Il professor Ranieri Razzante, consulente della Commissione Antimafia, spiega a Sette: «Il gioco compulsivo non colpisce chi gioca al lotto o al superenalotto, riguarda le slot e l’online, per le caratteristiche “fisiche intrinseche” di macchinari che inducono alla dipendenza».
Il vero problema, secondo Razzante, sta nel radicamento della criminalità organizzata nel settore: «Le infiltrazioni illegali sono nel gioco legale. Ora la criminalità entra nella filiera». Spiega l’esperto: «La mafia interviene al momento della collocazione delle slot in un bar, imponendo l’acquisto della macchina, che può anche essere taroccata, oppure attraverso l’estorsione sul gestore secondo una formula ricattatoria: “Io ti mando la gente a giocare nel bar e tu mi dai tot euro ogni mese”». Razzante, che è anche presidente di Aira, l’Associazione italiana responsabili antiriciclaggio, avverte che dietro il giocatore di slot apparentemente ludopatico si può nascondere il riciclatore di soldi derivati da attività illecite. La mafia investe molto denaro nel gioco, anche perché, spiega il presidente di Aira, «il riciclaggio di denaro è l’unico reato che rende su operazioni anche in perdita. Ricavo 100 dal traffico di droga. Ti do questi 100 da giocare e se vinci o perdi è lo stesso, perché comunque il denaro “sporco”, dopo il gioco, viene pulito, legittimato. Se io gioco in un casinò quei 100, che io vinca o perda, comunque le fiches iniziali sono convertite in denaro. Ecco perché le giocate non dovrebbero essere anonime». Ora nell’occhio del ciclone ci sono le slot, ma si sottovaluta – e pericolosamente – nota Razzante, «quanto continua ad accadere nei casinò, dove arrivano carrettate di soldi da ripulire e dove si ignorano le norme antiriciclaggio del 2007».
Fumo e contrabbando. A pesare sul settore del fumo è invece il contrabbando. Un funzionario dei Monopoli (Ufficio 18°, Contrasto del contrabbando) che preferisce restare anonimo rivela a Sette: «Le rotte del contrabbando seguono le tariffe dei prezzi e ora l’epicentro è verso i Paesi del Centro-Nord Europa, dove le sigarette costano di più». Un minore intervento dello Stato sulle aliquote fiscali, quindi un guadagno immediato inferiore, compenserebbe le perdite derivate dal mercato illegale? «La politica del prezzo incide sul contrabbando, è vero, ma non risolve», replica il funzionario dei Monopoli.
Giovanni Risso, presidente della Federazione italiana tabaccai, conferma il calo delle vendite di sigarette nelle 56.000 tabaccherie distribuite sul territorio nazionale. A Sette ammette: «La metà dell’incasso degli esercizi proviene dai tabacchi. Le slot rappresentano il 30% del ricavo, il loro vantaggio è che non le devi guardare».
Vino e alcol: scarso gettito. Problematico anche l’alcol. Nonostante gli studi di Mediobanca segnalino per l’industria del vino fatturati ed export in aumento costante, lo Stato non applica accise di alcun tipo. Eppure il costo sociale annuo dell’alcolismo in Italia – assenteismo, perdita di produttività, sanità, incidenti d’auto, reati correlati – è di 53 miliardi, non controbilanciato da tassazioni compensative. Intanto il consumo dei super-
alcolici cresce e il 15% di giovani tra i 18 e i 24 anni si dedica al binge drinking. Simona Pichini, dell’Osservatorio Fumo, Alcol e Droga, dell’Istituto Superiore di Sanità, spiega a Sette: «Questi giovani bevono per sballarsi. Cercano l’euforia, il puro divertimento; e l’alcol aiuta». Forse è il momento che sui “vizi di Stato” intervenga una legislazione coerente, che consenta allo Stato di introitare il giusto, senza però danneggiare i cittadini.