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 2012  dicembre 20 Giovedì calendario

LA SERIE A SOCCOMBE ALLO SPREAD

Lo spread non è solo la bestia nera della nostra economia, ma anche del sistema calcio italia­no. Tra le quattro grandi Leghe europee, la Se­rie A recita il ruolo scomodo del fanalino di coda con un pesante -265 punti di spread rispetto alla Ger­mania che detta legge con la Bundesliga, modello finanziario del pianeta football. Non dorme sogni tranquilli neanche la Premier con i suoi -199 pun­ti di spread nei confronti del campionato tedesco e non si può parlare neppure di andamento da in­seguitrice della Bundesliga registrando il -165 del­la Liga spagnola. Frau Merkel può gongolare di­nanzi ai conti in attivo della serie A di Germania. La Bundesliga è il “benchmark” per tutti i campiona­ti, gridano gioiosi da Berlino. «Non siamo i peggiori, la Francia sta peggio di noi, ma il trend sta decisamente crol­lando », spiegano Michele Uva e Gianfranco Teotino autori del saggio Il calcio al tempo dello spread ( il Mulino-Arel).
Nel libro si analizza l’indice del­lo spread calcisitico che mette a raffronto i ricavi medi per club, il rapporto fatturato/stipendi, il patrimonio netto medio, il rap­porto fatturato/passivo, l’af­fluenza media negli stadi ed il ranking Uefa. E qui la consolazione con la “quinta sorella” Francia che sta peggio di noi dura pochi paragrafi. Lo spread nell’ultimo quadriennio è aumentato passando dal -172% a quel -265% preoccupante. Colpa di pro­blemi tutti made in Italy: nonostante la crisi eco­nomica, infatti, l’industria del calcio è cresciuta dal 2006 al 2010 del 42%. Se la Bundesliga ha 97 milioni di entrate medie per club, la serie A si ferma a 77,7 milioni. Il gap per quanto riguarda il patrimonio netto medio per club è di addirittura 41,8 milioni contro 7,5. Ma i tedeschi ci superano anche nel nu­mero di spettatori presenti in media allo stadio (42.100 contro 23.500). «Non possiamo prendere il modello tedesco e portarlo in Italia. Ci vuole cul­tura e sviluppo della passione calcistico», rileva Teotino. La Serie A se la passa male anche nei con­fronti della Liga spagnola. Nel 2010-2011, ad e­sempio, il Barcellona ha avuto 110,7 milioni di eu­ro di entrate da gara, la Roma 17,6 milioni. Nella stagione 2002-2003 i due club avevano fatturava­no rispettivamente 41,8 e 41,2 milioni. «La riforma del calcio tedesco è singolare che avvenga nel mo­mento in cui mette mano al suo comparto mani­fatturiero - spiega Giuseppe Mussari, presidente dell’Abi - . Il prodotto italiano si vende all’estero per la sua qualità, quanto è avvenuto però negli ultimi mesi non è uno spot per il nostro calcio». Gli scan­dali del calcio fanno quindi male anche ai suoi bi­lanci. E poi c’è la perenne questione degli stadi. «È fondamentale il tema della patrimonializzazione delle società di calcio - prosegue Mussari - . Uno stadio se rende diventa patrimonio utile, integra­to con le attività che producono reddito, a pre­scindere dal calcio. Non vale però l’idea che per tanti stadi ci siano tanti centri commerciali».
A difendere con orgoglio il cal­cio italiano ci pensa il presiden­te della Figc, Giancarlo Abete. «Non tutto ciò che può essere contato conta e non tutto ciò che conta può essere contatò, affermava Einstein. Ci sono re­sponsabilità che non sono og­getto di una valutazione quan­titativa. Oggi nonostante le dif­ficoltà l’Italia al 4° posto del ranking Fifa. Non mi risulta che il nostro Paese sia al 4° posto per condizioni ambientali e attrazione d’investimenti. Se a livello di club siamo al quarto posto in Europa, dobbiamo dire che il mondo del­lo sport e del calcio italiano è sempre entrato dalla porta principale. Lo spread? Nel calcio c’è, ma opera su patrimoni privati di singole persone». È indub­bio però che la crisi sgonfia il pallone italico. «Ci so­no tante criticità - conferma Abete - , ma bisogna far­sene carico. La posizione nel contesto intenziona­le è di grande spessore. Poi ci sono alcune criticità strutturali, come gli stadi». Per questo però si deve muovere la politica. «Mi dispiace dover dire che è stata una legislatura deludente - ammette Enrico Letta, segretario dell’Arel e deputato Pd - . Speria­mo che la prossima sia costituente per il mondo dello sport».