Maria g. Maglie, Libero 20/12/2012, 20 dicembre 2012
IL DISASTRO DI BENGASI MINACCIA OBAMA
[Rapporto Usa attacca il dipartimento di Stato della Clinton. Ma è il presidente che rischia di venire travolto] –
Arriva da una prima indagine indipendente il primo scampolo di verità sull’11 settembre di Bengasi, che fu un assalto militare e non una manifestazione di protesta; sulla morte di Chris Stevens, che era un agente importante della Cia; sulle bugie del Dipartimento di Stato, che lasciò sguarnito il consolato perché lo riteneva a tutti gli effetti una sede della Cia nella quale circolavano liberamente membri di Al Qaeda. Manca naturalmente tutta la parte sulla Cia e manca anche la verità sullo scandalo che ha portato alle dimissioni del suo capo, David Petraeus, per quello ci vorrà del tempo e saranno forti i tentativi di copertura. Ma il Congresso americano è forte, i repubblicani intenzionati a svelare una vicenda degna dell’impeachment del presidente. Per ora accontentiamoci di sentir dire ufficialmente che il famoso e infame film sulla vita di Maometto, quel prodotto blasfemo che avrebbe suscitato le ire del popolo musulmano, non c’entra proprio niente, come era chiaro fin dal primo giorno, e come i media americani, ma con accorato sdegno soprattutto quelli europei, hanno finto di non capire.
Il rapporto di una commissione indipendente dice infatti che una sicurezza «molto inadeguata » al consolato di Bengasi, dovuta a una mancanza di leadership e a problemi sistemici all’interno del Dipartimento di Stato è costata la vita all’ambasciatore Christopher Stevens. Il Dipartimento guidato da Hillary Clinton, oggi dimissionaria, è accusato di aver anche ignorato le richieste dell’ambasciata di Tripoli per una maggiore protezione e un miglioramento della sicurezza della missione diplomatica. Il segretario di Stato Hillary Clinton ha promesso, in una lettera inviata al Congresso, di seguire tutte e ventinove le raccomandazioni del rapporto, cinque delle quali non sono state rese note perché coperte da segreto. Il rapporto afferma che non c’era alcuna protesta fuori dal consolato e che la responsabilità dell’incidente è solo dei terroristi che hanno attaccato la missione.
Ci volevano tre mesi di indagine? Certo che no, ma c’erano le elezioni e Obama preferiva sbianchettare la verità e agitare la bandiera del politically correct. Tanto è vero che il 13 settembre, rispondendo a domande dell’agenzia di stampa Adnkronos, questo diceva il console italiano a Bengasi: «È stata una aggressione a sorpresa e di stampo militare, non una manifestazione di protesta contro il nuovo film su Maometto degenerata in violenza». Guido De Sanctis precisava: «Si è trattato di una azione più militare, un attacco iniziato senza che fosse preceduto da alterchi o slogan di protesta. Il luogo inoltre non è uno di quelli in cui si organizzano di solito le manifestazioni, è fuori città», e ancora «la maggior parte degli abitanti di Bengasi non sembrano infastiditi dal film su Maometto », «Ieri mi trovavo per caso vicino all’ufficio americano e ho sentito tutto, il fumo le esplosioni, poi gli assalitori sono riusciti a scatenare un incendio all’interno» . Capito? Queste cose i lettori di Libero le hanno sapute per tempo, tutti gli altri si sono sorbiti la storia del film blasfemo che offende l’Islam.
Dicevamo che si tratta di un pezzetto pur se importante di verità. Il resto è così riassumibile, per chi non avesse avuto la bontà di leggerci il 23 novembre. Subito dopo l’assalto al Consolato il generale Petraeus, capo della Cia, aveva deciso di far conoscere la sua verità sugli eventi di quella giornata ma si era trovato contro il Dipartimento di Stato e il Pentagono, timorosi delle conseguenze per la rielezione di Obama. Così permise che circolasse la versione fasulla. La relazione tra Petraeus e la sua biografa, amante e probabilmente spia, Paula Broadwell, era nota da tempo, ma l’Fbi decise di interrogarli solo a ottobre, dopo una sortita pubblica della Broadwell che faceva intendere che la donna aveva accesso a informazioni riservate e scottanti, perché sapeva che all’interno del consolato c’erano due miliziani prigionieri. Petraeus si era appena dichiarato, nonostante l’adulterio, impegnato a condurre la battaglia per fare piena luce su Bengasi quando il direttore nazionale dell’intelligence James Clapper lo chiamò e gli ordinò di dimettersi a causa dell’adulterio. Clapper è il capo di tutte le 16 agenzie di intelligence, Petraeus è un militare e ha obbedito: si è dimesso, oltre che tacersi. Le elezioni sono state così salve e ancora oggi il ministro della Giustizia, Eric Holder, si ostina a sostenere che se è vero che sapeva fin dall’estate, non ha avvertito il presidente. Il Wall Street Journal lo ha scritto senza timori che Chris Stevens era un agente della Cia coperto dal titolo di ambasciatore, gli uomini morti con lui erano della Cia, il consolato di Bengasi era una base Cia. Stevens aveva rapporti con gruppi jihadisti, con un loro capo liberato da Guantanamo, e l’11 settembre era a Bengasi per mandare armi ai ribelli siriani e a dare consigli strategici ai jihadisti libici in partenza per la Siria. Di più, chi osservi con attenzione le immagini della morte di Gheddafi vedrà che c’è proprio Stevens accanto al cadavere; a Bengasi era arrivato all’inizio del 2011. E allora? Tra i gruppi impazziti della guerra civile in Libia l’amico e alleato è poi diventato nemico da eliminare. Succede a chi si fida dei terroristi arabi.