Elisabetta Reguitti, il Fatto Quotidiano 17/12/2012, 17 dicembre 2012
ABBASSO LO STOP: LA PALLA E LA VITA LE PRENDO AL VOLO
Se non avesse deciso di smettere, oggi si divertirebbe ad allenare i calciatori della Roma. “Con il loro talento potrei anche abbandonare il mio 4-3-3 per un modulo nuovo”. È una delle rare dichiarazioni tecniche di una giornata trascorsa con Giovanni Galeone il mister soprannominato il Profeta, precursore del gioco a zona. L’allenatore del calcio spettacolo ricordato per alcune imprese epiche come con il Pescara nel campionato 1986-1987: guida una scialuppa di ragazzini che avrebbe dovuto navigare nelle acque della C e invece viene ripescata in serie B. Con loro sbaragliò tutti vincendo il campionato cadetto con il bomber-meteora Rebonato, il capitano Gasperini, oggi alla guida del Palermo, e Bergodi attuale tecnico degli adriatici.
UNA PASSEGGIATA in piazza Salotto nella sua Pescara e subito due giovani tifosi lo avvicinano chiedendogli di poter scattare una foto con lui. “Un vecchietto come me ormai non ha più niente da dire”, si schernisce con l’ironia di chi non conosce l’invidia (se non per i colti e gli intelligenti) e non ha rimpianti. I giri di boa della vita del mister hanno la varietà dei colori di una tavolozza: le vittorie in campo, con un calcio offensivo che esaltava la creatività dei giocatori. E se anche per il calcio può valere la teoria dell’Imprinting, il Konrad Lorenz di Massimiliano Allegri (allenatore del Milan) risponde proprio al nome di Giovanni Galeone.
Figlio di una nostalgica della monarchia e di un ingegnere dell’Ilva che ha progettato, tra gli altri, anche l’altoforno di Taranto, il Gale cresce a Servola quartiere operaio della Trieste degli alabardati di Nereo Rocco divertendosi a giocare con compagni come Cesare Maldini e vincere contro le squadre di “quelli che avevano i soldi” e portavano il pallone. “Ho sempre avuto simpatia per chi veniva da situazioni di povertà. I miei valori politici si sono sviluppati attorno alla vita di chi aveva famiglie in difficoltà. Parliamo pure di comunismo di cui non esiste più neppure l’ombra. L’unico rimasto a parlarne è Berlusconi”.
Proprio il Cavaliere che nel 1990 a Vienna nel dopo partita della Coppa dei Campioni - vinta dal Milan di Sacchi contro il Benfica - gli disse: “Galeone mi telefoni, ho dei grandi progetti per lei”. Si erano fatte le cinque di mattina parlando di quel Milan stellare degli olandesi. “Per la verità la formazione ideale di Berlusconi sarebbe dovuta essere composta da dodici giocatori. Ma io non glielo feci notare. Berlusconi con me fu sempre estremamente gentile e cortese”. Ma il Profeta quella telefonata al Cavaliere non l’ha mai fatta. Riprende la sgroppata calcistica: stagione 1991-1992, concede il bis a Pescara e a dettare i tempi di gioco c’è Max Allegri. Altra pagina: 1995-1996, Galeone allena il Perugia di Gaucci e conquista una nuova promozione dalla B alla A sempre con Allegri che sabato all’Olimpico affronterà la Roma di Zeman. “L’unica volta che mi ha stretto la mano in 30 anni è stato qualche settimana fa quando la Roma ha giocato qui a Pescara”, afferma sapendo come tra lui e il tecnico boemo ci sia sempre stato un dualismo che faceva comodo ai giornali. Ne agguanta uno sfogliandolo dall’ultima pagina. “Vede? Questo è diabolico”. Il primo pensiero è per un giocatore. Invece no: è il Sudoku, recente passione del Profeta che ammette di non riuscire mai a terminare quelli che vengono definiti “facili oppure medi” e, al contrario, di andare a nozze con quelli difficilissimi che sembrano impossibili.
QUASI IMPOSSIBILE come sopportare per 47 anni lo stesso uomo. Come ha fatto sua moglie Annamaria, insegnante oggi in pensione, che non ha mai lasciato Udine mentre il marito, Galeone, girava le piazze calcistiche d’Italia, talvolta spavaldo nelle sue dichiarazioni: “Non farò mai marcare a uomo neppure contro Maradona” o ancora quando a Coverciano, per l’esame da allenatore, gli chiesero di parlare del gesto tecnico dello stop. “Non lo conosco – rispose - io gioco solo di prima”.
Il classico maglione azzurro dello stesso colore dei jeans, il viso abbronzato di quelli che amano il sole e il mare, Giovanni Galeone si è permesso il lusso dal 2005 quando si è seduto per l’ultima volta su una panchina come allenatore dell’Udinese , di non voler rimanere attaccato a nessuna rete del calcio. “Ho smesso di allenare perché non sopportavo più l’atteggiamento dei calciatori. Forse sono invecchiato”, dice con serenità rivendicando che quando ha detto basta è stato sul serio. “Il calcio non mi manca anche se quello era un bel vivere”. Il mister non ha nostalgia del profumo dell’erba del rettangolo di gioco anche se sabato all’Olimpico ci sarà. Per il suo pupillo Allegri, ma con un occhio di riguardo per i giallo-rossi il cui direttore generale Franco Baldini è stato anche lui suo giovanissimo allievo nel ‘79-‘80 alla Sangiovannese in C2. Si chiude il paragrafo calcio. È appena rientrato da Udine e vuole godersi il sole di Pescara, l’estate è ancora lontana con le sue certezze della casa in Sardegna e i giri in barca. Passa una bella ragazza che riconosce nel mister un viso noto. Il Gale, come sempre, non disdegna e si lancia in un commento: “Le ragazze oggi sono tutte molto simili. Magre con le gambe lunghe ma senza alcuna forma. Ha presente invece le donne dei film di Risi? Quelle sì che erano belle”. Lui abituato alle “mule” della terra in cui è cresciuto a cavallo tra Slovenia e Mitteleuropa di cui ha stile e modi. Giovanni Galeone rimane l’ indiscusso fautore del calcio Champagne e di un gioco capace di costruire, non solo difendere. “In politica poi oggi fanno anche peggio, limitandosi a distruggere”.