Luigi Offeddu, Corriere della Sera 20/12/2012, 20 dicembre 2012
IL BORGO DEI «POVERI RICCHI» —
Povero milionario. Il benvenuto gliel’hanno spennellato in rosso su un cartello stradale all’entrata del paese: «Néchin, richecon ville», cioè «città del ricco co...». Ma benvenuto o no, tutto è ormai pronto o quasi: Gérard Depardieu in fuga dal fisco di Parigi sta per trapiantarsi proprio qui, in Belgio ma a 4 minuti a piedi dalla Francia, fra salici e colline fumanti di letame. L’ultimo contratto per la nuova casa, secondo i pettegolezzi, l’ha firmato ieri, «a 3 giorni dalla fine del mondo». Il sindaco Daniel Senesael, celebre per aver partecipato a qualche festa comunale in mutande, e al canto dello stornello «Tutto nudo, tutto abbronzato», conferma: «Depardieu sarà il benvenuto» (anche se avrebbe ricevuto un invito perfino da Ramzan Kadyrov, il leader della Cecenia di cui sarebbe amico).
Néchin è terra di contadini, nel cuore della Vallonia-Piccardia (duemila abitanti di cui 600 francesi, molti «in fuga» come Depardieu). Adesso sono le 9.30 del mattino e il termometro segna 4 gradi con umidità all’87%, visibilità 50 metri per la nebbia, previsioni pioggia da domani e per 7 giorni filati: qui siamo precisamente 5.622 chilometri a Nord dell’Equatore, spiega compunta una maestra della «Scuola fondamentale comunale»; e lo si vede.
Altrettanto lontana dagli Champs Elysées, quelli disertati da Depardieu, sembra via Regina Astrid, la plumbea arteria principale ribattezzata «via dei Milionari» o «dei Paperoni»: abitano qui 10 cugini Mulliez proprietari della catena Auchan, i secondi più ricchi di Francia, e sta per traslocarvi anche il primo Paperone in assoluto di Francia e d’Europa, Bernard Arnault, 35 miliardi di euro nel salvadanaio, uno che dice «non mi piacciono i ricchi» (è lui il destinatario originario dell’epiteto «ricco co...», affibbiatogli da Libération e poi rimbalzato su Depardieu).
In «via dei Paperoni», in questo preciso momento, si registrano le seguenti presenze: il postino; un venditore ambulante che dal suo furgoncino offre «lardo alla mostarda», specialità locale (niente ostriche e foie gras, qui); un gatto color mattone come le mura delle case intorno, visibilmente interessato allo stesso lardo; e la signora Yvon Marquette, pizzicagnola che vende prosciutto all’osso e gallette «Astérix» (come il personaggio di Depardieu), e sulla porta del negozietto sorride felice. «Gérard? Ci fa un onore a venir qui... Se vuol vedere la sua casa, è là in fondo». Eccola infatti, è il palazzotto a due piani dell’antica Dogana, vicino al negozio della parrucchiera Jacqueline. Depardieu l’avrebbe pagato 800 mila euro, mollando i suoi 1.800 metri quadrati di marmi a Parigi. Le mura sono grigio topo, come la nebbia che le fascia. Uno dei due portoni è murato, e così varie finestre. A due passi da qui, sulla sinistra c’è l’ospizio per vecchi «San Giuseppe», e sulla destra un chilometro di bruma che porta alla Francia, senza alcuna frontiera: 14 chilometri più oltre ci sono l’aeroporto e i treni a grande velocità di Lilla, insomma Parigi è davvero vicina.
L’antica Dogana dev’essere abitata, anche se nessuno risponde alla porta: si scorgono fra le tendine un telefono anni 30 e due corni d’avorio nero. Dietro, c’è una piscina. E un’altra ce n’è nel cortile interno. Sembra che l’attore voglia trasformare la palazzina in un ristorante di lusso: lo giurano i buontemponi che giocano a biliardo nel vicino «Caffè degli amici», fra salamelle e boccali di «Mort subite», «Morte improvvisa», birra belga di gradazione diabolica.
I buontemponi sono gente di frontiera che ne ha viste di tutti i colori: qui riposava nel ’600 Luigi XIV di ritorno dai suoi assedi, qui intorno si scannarono inglesi e tedeschi durante la Grande guerra. Se Néchin sta ora su tutti i giornali, nessuno drammatizza. Solo, chiede ridendo un sosia del commissario Poirot, «ma perché noi le tasse le paghiamo?». Sono le 18, è buio. Anche il gatto è sparito da «via dei Paperoni». Una mezza luna si affaccia per un istante fra il nebbione: vista da qui, la Ville Lumière è più lontana di lei.
Luigi Offeddu