Sergio Rizzo, Corriere della Sera 20/12/2012, 20 dicembre 2012
LA TRUFFA DELLE FATTURE PAGATE DUE VOLTE
Il giochetto dev’essere andato avanti per anni. Perché un buco di 244 milioni di euro, anche in una struttura sanitaria grande come l’Idi, l’Istituto dermopatico dell’Immacolata di Roma, su cui da mesi indaga la magistratura, non si scava in un giorno. Come facevano? Un mese fa il commissario straordinario per la sanità della Regione Lazio, Enrico Bondi, lo ha spiegato ai senatori della commissione d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale di Palazzo Madama presieduta da Ignazio Marino. Lasciandoli di stucco.
Molte fatture, per almeno 110 milioni, venivano pagate due volte: la Regione le pagava all’Idi, istituto religioso di proprietà della Congregazione dei figli dell’Immacolata Concezione convenzionato con il servizio sanitario nazionale, e l’Idi le scontava ugualmente, facendosi dare altri soldi, presso banche o società di factoring. Le quali adesso battono cassa alla Regione. E non vogliono soltanto quei 110 milioni. Ma anche i 51 di «fatture non riferibili a prestazioni sanitarie, contestate dalla Asl» (lo dice Bondi), che l’Idi ha comunque scontato. Oltre agli 83 relativi invece a «prestazioni non riconoscibili», sempre anticipati dalle stesse banche. Totale: 244 milioni.
Il bello è che la giunta di Renata Polverini non era certo all’oscuro di tutto, almeno se è vero quanto dichiarato davanti alla stessa commissione d’inchiesta del Senato da Edoardo Polacco, direttore amministrativo della Asl Roma E che gestisce i rapporti con l’Idi. «In quest’ultimo anno ho visto una serie di documenti amministrativi inviati alla Regione Lazio in cui si informava la Regione Lazio pedissequamente, numerose volte, che stava pagando somme assolutamente superiori, non dovute. Mi sono passate tra le mani moltissime comunicazioni di questo genere da parte degli uffici e ho la certezza che la Regione Lazio non ha risposto neanche una volta a tali comunicazioni. Erano somme non dovute e soprattutto già cedute. In alcuni casi, come ho comunicato personalmente alla Regione Lazio, erano crediti ceduti due volte», ha fatto mettere a verbale. «Due volte», proprio così ha detto. Parole incredibili, che nella migliore delle ipotesi lasciano intuire un contesto di sconcertante superficialità.
Più che un «rischio», come l’ha diplomaticamente definito Bondi al Senato il 21 novembre, questa è una bomba innescata nei conti sanitari regionali. A chi gli domandava spiegazioni sul meccanismo che avrebbe consentito di pagare due volte le stesse fatture, ha risposto: «Le norme della pubblica amministrazione, per come mi sono state illustrate, prevedono che lo sconto di fatture si possa fare solo con l’Inps e debba essere autorizzato. Scontare due volte le fatture o prendere i soldi dalle fatture e poi scontarle dimostra che non c’era liquidità. Poi, come sia stata utilizzata questa liquidità non lo posso sapere». Ma non ha potuto, Bondi, non ricordare qualche precedente di scuola. Come la vicenda Parmalat. «In quel caso, su 13,2 miliardi di buco 2,2 erano per destinazioni non definite. Anche una parte degli altri 11 miliardi è stata spesa in banche e commissioni varie, per tenere in piedi il debito. Ma 2 miliardi e 200 milioni sono scomparsi. Dove? Dalle analisi effettuate è emerso che sono scomparsi nelle tasche di Tizio, Caio o Sempronio: yacht e via dicendo… Non voglio dire che in Idi si ripeta questo, me ne guardo bene. Ma ho partecipato alla ristrutturazione del San Raffaele ed è sotto gli occhi di tutti cosa è venuto fuori…».
Non che la storia dell’Idi, come ha ben documentato Ilaria Sacchettoni in una lunga serie di articoli sul Corriere, non abbia già offerto abbondanti spunti di cronaca. Fondata nel 1857, la congregazione che ha dato vita all’Idi era diventata celebre nel secolo scorso per le sue miracolose pomate contro la tigna. Arrivando a costruire un piccolo impero privato, alimentato con fondi pubblici del servizio sanitario nazionale. Finché i debiti (600 milioni? 800 milioni?) e scelte strategiche scellerate non l’hanno messo in ginocchio: con 1.578 dipendenti senza stipendio per mesi e mesi e una inchiesta giudiziaria affidata al procuratore della Repubblica di Roma Nello Rossi. È stata un’inchiesta di Report di Milena Gabanelli, otto mesi fa, a rivelare dettagli di una gestione imbarazzante: l’acquisto di una villa in Toscana comprata (pare) in contanti, la realizzazione di un lussuoso centro benessere, i soldi investiti in un inceneritore in Puglia… Per non parlare dei bonifici a una società di proprietà di un dirigente. O degli 11 (undici) telefonini acquistati per l’ex consigliere delegato, padre Franco Decaminada, indagato insieme ad alcuni suoi collaboratori. Fra questi anche un ex funzionario del Sismi, Antonio Nicolella, ingaggiato come direttore della logistica. Ultima perla è la partecipazione dell’Idi, con una quota del 25%, al consorzio televisivo Alphabet di cui è azionista di maggioranza la società Interattiva. La proprietaria si chiama Ilaria Sbressa: è la consorte del direttore delle relazioni istituzionali di Mediaset Andrea Ambrogetti.
Sergio Rizzo