Francesca Sforza, la Stampa 20/12/2012, 20 dicembre 2012
ITALIANI-TEDESCHI NON È PIÙ TEMPO DI PREGIUDIZI
«E’ st at o u n o scambio tra professori, è vero, ma non si può dire si sia trattato di un’operazione accademica» dice Carlo Gentile, docente di storia all’Università di Colonia e autore tra l’altro del libro La presenza militare tedesca in Italia 1943-1945 (Roma 2004). Il professore fa parte della commissione di storici, composta da cinque membri italiani e altrettanti tedeschi e presieduta da Mariano Gabriele e Wolfgang Schieder, che ha iniziato i suoi lavori nel 2009 con lo scopo di analizzare gli avvenimenti del periodo 1943-1945 e in particolare il destino - in gran parte dimenticato fino a oggi, come si legge nella premessa - degli italiani deportati in Germania. . «Direi che l’obiettivo era quello di dar vita a un’azione di più ampio respiro, che definirei in primo luogo culturale». Si trattava di andare alle radici dei pregiudizi che gli italiani hanno dei tedeschi e i tedeschi degli italiani, con un convincimento di fondo: in origine è stata la seconda guerra mondiale. È lì che è cominciato tutto: i tedeschi ne sono usciti come un popolo «duro, inflessibile, a tratti crudele», gli italiani come «inaffidabili, simpatici e sostanzialmente cialtroni».
Professor Gentile, il vostro rapporto, al posto di considerazioni accademiche, ha offerto «raccomandazioni» come l’istituzione di una fondazione o la concessione di borse di studio. Si può definire un contributo politico?
«Resta il lavoro di una commissione di storici, ma è vero che ha avanzato delle proposte molto concrete: penso alla fondazione sulla storia contemporanea italo-tedesca, col contributo non solo di istituzioni pubbliche dei due Paesi, ma anche di aziende e organizzazioni che impiegarono gli internati militari in Germania; penso all’ampliamento della banca dati sui crimini commessi dai tedeschi in Italia in quel periodo e la realizzazione di una sorta di atlante delle violenze; penso anche all’idea di organizzare summer school su temi attinenti la storia contemporanea italo-tedesca e all’iniziativa di appoggiare un fondo per incentivare le traduzioni di importanti pubblicazioni scientifiche in questo settore».
Com’è stato lavorare con i colleghi tedeschi su temi così cruciali come il ruolo avuto dai due Paesi, Italia e Germania, durante la seconda guerra mondiale?
«Si è partiti da una considerazione reciproca molto alta, ci siamo ritrovati come studiosi, ma a nostra volta inseriti in una comunità più ampia, in cui le dimensioni nazionali non erano in primo piano, né hanno prevalso nel corso dei tanti incontri che abbiamo avuto dal 2009 a oggi. Al centro di tutto si trovava l’interesse per la materia, e la volontà di far luce su alcuni momenti della nostra storia comune per dar vita a una cultura comune della memoria. Con i colleghi tedeschi ci possono essere diversità nelle mode o nei temi, ma le radici metodologiche sono le stesse».
Nel rapporto si parla anche della necessità, da parte dei nostri due popoli, di decostruire i pregiudizi accumulati nel passato. Quali sono i più resistenti, dal punto di vista storico?
«Da parte italiana resiste lo stereotipo di una Wehrmacht (le forze armate tedesche istituite nel 1935 e sciolte nel 1946, ndr) assimilabile alle SS naziste, ma certo non si può dire che la Wehrmacht sia stata un’organizzazione criminale. Teniamo presente che ogni tedesco ha in famiglia un parente che ha prestato servizio per la Wehrmacht, è evidente che la sensibilità su questo tema è molto alta».
E da parte tedesca?
«Sicuramente il ruolo e il significato dei partigiani. Nei tedeschi resiste l’idea che si tratti di banditi, quando non di terroristi, gente che faceva attentati contro le truppe regolari senza cogliere la portata politica dei propri stessi gesti. È chiaro che la nostra lettura è molto più complessa e sofisticata».
Sulla persecuzione degli ebrei ci sono letture divergenti?
«Su questo la lettura è condivisa sia dagli italiani sia dai tedeschi: nessuno nega che in Italia ci sia stato l’antisemitismo, così come nessuno nega che la persecuzione degli ebrei sotto il regime italiano sia stata ben diversa da quella sotto il regime tedesco. Non a caso la persecuzione si trasforma in pericolo di vita per gli ebrei italiani quando comincia l’occupazione tedesca, e questo è un dato oggettivo».