Michele Brambilla, la Stampa 20/12/2012, 20 dicembre 2012
IL MALE OSCURO DOPO IL TERREMOTO
Chi, uscendo dall’autostrada a Modena, salisse su nella Bassa fino a Mirandola, passando per Carpi Medolla e Cavezzo, e magari deviando anche verso Finale San Felice e Rovereto sul Secchia, non avrebbe l’impressione di attraversare una terra che, se non la fine del mondo, la fine di un mondo l’ha già vissuta, e solo sette mesi fa. Non si vedono - se non di rado: e si tratta di vecchie cascine sparse qua e là.
Oppure di antiche chiese non si vedono più, dicevamo, case distrutte; né tendopoli, baracche, container. Certo alcuni segni del Mostro si scorgono ancora: in qualche strada, in uno spazio aperto, dietro le transenne che cintano pezzi di centri storici. Ma l’impressione è che non solo il peggio sia passato, ma anche che la vita sia ripresa come in quel bel tempo recente, quando questa piccola fetta di Emilia produceva, da sola, il due per cento del Pil nazionale.
Eppure il Mostro si agita ancora. È invisibile, perché si manifesta nella sua forma più subdola: la paura. Ma si agita e uccide. Tre settimane fa, a Mirandola, c’è stata una tavola rotonda sulla ricostruzione e alla fine il sindaco, Maino Benatti, ha detto che purtroppo anche quella giornata era stata funesta, perché s’era avuta notizia di un suicidio. Di un altro, di un nuovo suicidio.
Quanta gente s’è tolta e ancora si toglie la vita, per colpa di quei maledetti 20 e 29 maggio scorsi? «Non ho cifre sicure, ma io ne ho sentiti cinque, negli ultimi due mesi, solo qui», mi dice Benatti nella scuola che ospita provvisoriamente la sede del Comune, in una strada intitolata a Dorando Pietri, un altro emiliano di tenacia e sfortuna. «Non lo so», continua il sindaco, «se sono più del solito. Certo adesso ci si fa più caso».
Ed è certo anche che il terremoto ha aumentato il male di vivere. «Non ci sono ancora statistiche comparate con gli anni passati. Ma di sicuro un rischio di maggiori comportamenti autolesivi c’è», spiega il dottor Fabrizio Starace, responsabile del dipartimento di salute mentale dell’Ausl di Modena. «È aumentato, ad esempio, il consumo di alcolici... E abbiamo molte diagnosi di stati ansiosi e depressivi». Come combattere questo nemico che ama agire di nascosto? «Abbiamo allertato i medici di base: state attenti a cogliere i primi segni di malessere. L’abbiamo detto anche ai professori nelle scuole: occhio ai ragazzi, soprattutto a quelli che hanno cambiato comportamento dopo il sisma. I prof, appena hanno un segnale, ci avvertono. Ma è dura, perché anche i prof sono vittime del terremoto. Anche loro si svegliano di notte e pensano: non succederà ancora?».
A Medolla, in piazza Donatori di sangue, c’è un piccolo container. È l’ambulatorio del dottor Nunzio Borelli, uno dei quattro medici del paese, mille e quattrocento pazienti a carico. Nei nove comuni del cratere, i medici di base sono 67: il 60 per cento è ancora in container. Borelli, che è anche un rappresentante sindacale della categoria, ha appena partecipato, a Carpi, a un incontro di aggiornamento professionale con uno psichiatra: «Ci ha riportato un dato ormai consolidato dalla letteratura mondiale: dove c’è stato un terremoto, nel primo anno i suicidi aumentano del 63 per cento. Dopo cinquant’anni, la gente del posto ha ancora paura. Io ho quattro figli, la più piccola ha diciotto anni, l’altro giorno ho pensato: a 68 anni Benedetta avrà ancora paura. Ormai il terremoto è entrato nel nostro Dna».
Gli chiedo in quanti suicidi s’è già imbattuto. Dice che bisogna stare attenti a diffondere dati, c’è il rischio emulazione, «e comunque sono, nei nove comuni del cratere, una decina negli ultimi due-tre mesi». Altri dati sono comunque inconfutabili: «Noi 67 medici di famiglia di quest’area vediamo quattromila pazienti al giorno. Un terzo è per patologie di tipo psicologico. Guardo le ricette: c’è un più trenta per cento di benzodiazepine e antidepressivi». Dice che le situazioni più a rischio riguardano persone che mai, prima, avevano sofferto di disturbi del genere: «Il 66 per cento di quelli che stanno male adesso appartiene a quella categoria lì: nessun problema prima del terremoto», dice Borelli.
Ma non sono forse, gli emiliani, gente forte? Ho in mente la prima immagine che mi si presentò il 29 maggio a Rovereto sul Secchia. Era l’ora di pranzo e pochi minuti prima c’erano state tre scosse tremende: magnitudo 5,4; 4,9 e 5,2. Avevo davanti il signor Gino, un uomo grande e grosso che alle 9 del mattino, durante la prima scossa di quel giorno, aveva tirato fuori dalle macerie della chiesa il parroco, che gli era poi morto fra le braccia. Mentre mi raccontava l’accaduto, il signor Gino mescolava un enorme pentolone di pastasciutta per dar da mangiare alla gente in piazza. Mi sembrò l’immagine dell’Emilia che riparte subito. «Sono quelle che chiamiamo “reazioni eroiche”», mi spiega il dottor Starace. «Quelli che l’hanno avuta, però, a volte hanno un calo nei mesi seguenti. È come se si dicessero: ora mi concedo anch’io il diritto di star male».
Si soffre e si muore ancora, insomma, in Emilia, di terremoto. «Il 90 per cento delle attività produttive è ripartito, non c’è più quasi nessuno senza casa, anche il problema delle tasse è stato risolto con dilazioni e rateizzazioni. Dei 12 miliardi di euro di aiuti che dovevano arrivare, 9 sono già arrivati. Il disagio dunque non è legato a danni economici e materiali», dice il sindaco di Mirandola, Benatti: «È che abbiamo vissuto qualcosa più grande di noi». Ed è che l’uomo non è fatto di sola materia, e nell’animo si è aperta una ferita che lascerà sempre, almeno, una cicatrice.