Massimo Calandri, la Repubblica 20/12/2012, 20 dicembre 2012
“LA MIA CORSA VERSO LA META” COSÌ EMILY INVENTÒ IL RUGBY ROSA
«Era solo una partita di allenamento a scuola, loro erano a corto di un ‘uomo’. Avevo circa dieci anni, li pregai di farmi giocare. ‘Oh, va bene. Andiamo, allora’. Così mi dissero. In un istante mi ero liberata di cappotto e cappello. Per le scarpe non ho avuto problemi, visto che ho sempre indossato stivali da ragazzo». Un plumbeo pomeriggio nordirlandese, novembre 1887. Il terreno da rugby della Portora Royal School di Ennuskillen. Freddo e fango della contea di Fermanagh, centoquaranta chilometri ad ovest di Belfast.
La ragazzina con le trecce
bionde si chiama Emily Valentine. Diventerà un’infermiera e sposerà un ufficiale
dell’esercito britannico, il dottor Wlliam ‘Ricky’ Galwey: vivrà a lungo in India, avrà due figli e a novant’anni morirà a Norwich, in Inghilterra, circondata da decine di pronipoti. Non lo saprà mai, ma dopo più di un secolo è passata alla storia per quello strano pomeriggio sul prato della scuola. La prima donna ad aver giocato a rugby, 125 anni fa. «Conoscevo le regole.
E alla fine è arrivata la mia occasione. Ho afferrato la palla — posso ancora sentirne la pelle umida e il suo inconfondibile odore, vedere il filo delle cuciture — e ho
corso, ed ero così desiderosa di provare a segnare che non ho passato il pallone. Forse avrei dovuto, invece ho corso ancora. E ho visto il ragazzo che veniva verso di me, l’ho schivato ed ero senza fiato, il cuore pulsava forte, le ginocchia tremavano. Sì, l’ho fatto. Poi ho schiacciato il pallone a terra, proprio sulla linea. Faccia a terra, per un momento tutto è diventato
nero. Poi mi sono tirata su, ho pulito le ginocchia con le mani».
I ricordi della Valentine sono riemersi recentemente grazie alle ricerche di un gruppo di appassionati del sito scrumqueens.com e ad una giornalista della Bbc, Alison Donnelly, che è andata a trovare una nipote di nonna Emily, Cathrine, ed ha recuperato una sorta di diario della donna. Negli anni seguenti altre ragazze furono protagoniste dei match ovali: su tutte la
sedicenne Mary Eley, che nel 1917 giocò con le Cardiff Ladies all’Arms Park (vittoria per 6-0 sulle Newport Ladies) ed è morta nel 2007 all’età di 106 anni. Il rugby femminile ci ha messo quasi un secolo per essere riconosciuto, ma adesso è uno sport in grande crescita: da trent’anni si disputa la Coppa del Mondo (le migliori naturalmente sono le neozelandesi, soprannominate Black Ferns), la prossima rassegna iridata sarà nel 2013 in Francia, l’Italia (6.200 tesserate la passata stagione, 56 squadre in Coppa Italia, serie A a due gironi) disputa il Sei Nazioni e punta a partecipare alle Olimpiadi di Rio nel rugby a 7. Tutto merito di Emily Valentine. Che dopo quel pomeriggio fangoso avrebbe continuato a giocare a lungo nella squadra della scuola. E a segnare delle mete, sempre all’insaputa dei genitori: «Quando tornavo a casa per cena, la mamma mi chiedeva: ‘Non hai preso troppo freddo, cara, guardando la partita dei tuoi fratelli? ‘. Io tiravo un calcio sotto la tavola a quello che mi stava più vicino, e quando lei si complimentava - ‘Bravi ragazzi, vincete sempre’ - loro rispondevano ghignando e facendomi l’occhiolino: ‘È solo fortuna, mamma’».