Kenneth Rogoff, Il Sole 24 Ore 19/12/2012, 19 dicembre 2012
PERCHÉ QUESTA CRISI NON È DIVERSA
Mentre quest’anno di crescita lenta confluisce nel prossimo, si accende il dibattito su cosa aspettarsi nei decenni a venire. La crisi finanziaria globale è stata solo una battuta d’arresto temporanea, anche se pesante, sulla strada della crescita dei Paesi avanzati, o ha rivelato un malessere più profondo e persistente?
Di recente, alcuni scrittori, tra cui l’imprenditore Peter Thiel e l’attivista politico ed ex campione mondiale di scacchi Garry Kasparov, hanno abbracciato un’interpretazione piuttosto radicale del rallentamento dell’economia. In un libro di prossima pubblicazione, sostengono che il calo della crescita nei Paesi avanzati non dipende solo dalla crisi finanziaria, e che la loro debolezza riflette una stagnazione secolare nei settori della tecnologia e dell’innovazione. Pertanto, è improbabile che questi Paesi registrino una ripresa sostenuta della produttività senza cambiamenti radicali nelle politiche di innovazione. L’economista Robert Gordon spinge questa ipotesi ancora più lontano. Egli sostiene, infatti, che il periodo di rapido progresso tecnologico che seguì la Rivoluzione industriale potrebbe rivelarsi un’eccezione alla regola della stagnazione nella storia dell’uomo. Di fatto, Gordon suggerisce che il significato delle innovazioni tecnologiche odierne non regge il confronto con scoperte del passato, tra cui l’elettricità, l’acqua corrente e il motore a scoppio.
Di recente ho discusso la tesi della stagnazione tecnologica all’Università di Oxford insieme a Thiel e Kasparov. La provocatoria domanda di Kasparov era cosa apportino di nuovo alle nostre capacità prodotti quali l’iPhone 5, visto che gran parte della scienza alla base della moderna elaborazione dati risale agli anni Settanta. Secondo Thiel, invece, il rimedio di combattere la recessione mediante l’allentamento della politica monetaria e uno stimolo fiscale iper-aggressivo cura la malattia sbagliata ed è, quindi, potenzialmente dannoso.
Quelle appena esposte sono teorie interessanti, ma numerosi elementi sembrano tuttora confermare che l’impasse dell’economia globale è principalmente il riflesso di una profonda crisi finanziaria sistemica, non di una prolungata crisi dell’innovazione.
C’è sicuramente chi sostiene che le sorgenti della scienza si stiano esaurendo, e che, a ben vedere, i gadget e le idee che ultimamente muovono il commercio globale sono perlopiù dei derivati. Tuttavia, la stragrande maggioranza dei miei colleghi scienziati, che lavora presso università prestigiose, sembra molto entusiasta dei propri progetti in settori all’avanguardia quali le nanotecnologie, le neuroscienze e l’energia. Sentono di contribuire a un cambiamento del mondo veloce come non mai. Francamente, pensando alla stagnazione dell’innovazione da economista, tendo a preoccuparmi di più della repressione delle idee da parte di monopoli arroganti, e di come le modifiche che prorogano la validità dei brevetti abbiano acuito il problema.
No, la causa principale della recente recessione è senza dubbio un boom creditizio globale e il suo successivo tracollo. La grande somiglianza tra il malessere attuale e gli strascichi delle gravi crisi sistemiche del passato in tutto il mondo non è solo qualitativa. I segni della crisi sono evidenti in indicatori che spaziano dalla disoccupazione ai prezzi degli immobili, fino all’accumulo del debito. Non è un caso che l’era attuale assomigli così tanto allo scenario che scaturì da decine di gravi crisi finanziarie nel passato.
Certo, il boom creditizio stesso può affondare le radici nell’eccessivo ottimismo che circonda il potenziale di crescita economica sottinteso dalla globalizzazione e dalle nuove tecnologie. Come sottolineato nel libro Questa volta è diverso, firmato da Carmen Reinhart e dal sottoscritto, questi stati di ottimismo spesso accompagnano un’impennata del credito.
Attribuire il rallentamento in corso alla crisi finanziaria non implica l’assenza di effetti secolari a lungo termine, alcuni dei quali affondano le radici nella crisi stessa. Le contrazioni del credito quasi sempre colpiscono più duramente le piccole imprese e le start-up. Allo stesso tempo, si va perdendo un insieme di competenze che appartiene a lavoratori disoccupati e sottoccupati.
Con i governi a corto di liquidi, che rimandano interventi di infrastrutture pubbliche urgenti, anche la crescita a medio termine è destinata a soffrire. E, a prescindere dai trend tecnologici, altri trend secolari, tra cui l’invecchiamento della popolazione nella maggior parte dei Paesi avanzati, stanno penalizzando le prospettive di crescita.
Presi insieme, questi fattori lasciano presagire che la crescita del Pil resterà un punto percentuale al di sotto della soglia di normalità per un altro decennio, o forse anche di più. Se l’ipotesi di Kasparov, Thiel e Gordon è giusta, le prospettive sono ancora più cupe, e la necessità di una riforma molto più urgente. Dopo tutto, la maggior parte dei piani per uscire dalla crisi finanziaria presuppone che il progresso tecnologico fornisca una solida base per la crescita della produttività, destinata a sostenere una ripresa duratura. Le opzioni sono molto più dolorose se la torta smette di crescere velocemente.
Dunque, la causa principale del recente rallentamento è una crisi dell’innovazione o una crisi finanziaria? La risposta è forse un po’ di entrambe. Sicuramente il trauma economico degli ultimi anni riflette in primo luogo un tracollo finanziario, ma per andare avanti bisognerà occuparsi al tempo stesso anche di una serie di altri fattori che ostacola una crescita duratura.