Alberto Quadrio Curzio, Il Sole 24 Ore 19/12/2012, 19 dicembre 2012
PASSI (TIMIDI) SULLA CRESCITA IN EUROPA
Giorgio Napolitano nel suo esemplare discorso ha anche detto: «Categorica è dunque la necessità di cogliere tutti gli spiragli compatibili col riequilibrio finanziario per rilanciare crescita e occupazione. In Italia e in Europa: perché è solo nel quadro dell’area euro e dell’Unione che può realizzarsi una ripresa della domanda, degli investimenti, delle occasioni di lavoro per i giovani, attraverso il massimo inserimento nel moto di sviluppo dell’economia mondiale». Da questa esigenza partiamo per valutare l’ultimo Consiglio europeo del 2012, tenutosi la settimana scorsa, anche per i suoi riflessi sull’Italia. L’Europa ha fatto dei progressi per l’Unione bancaria lungo le linee del rapporto "Verso un’autentica unione economica e monetaria" dei quattro presidenti (Van Rompuy, Barroso, Juncker, Draghi), già presentato in giugno. A questa attuazione del "quadro finanziario", già molto commentato qui, non si associa invece quella sui quadri (progetti) di bilancio, di politica economica e su quello della "responsabilità politica" del citato rapporto per i quali decisioni specifiche sono state rinviate al Consiglio di giugno 2013. È uno dei tanti, spiacevoli, rinvii della Ue. Tuttavia nelle conclusioni del Consiglio ci sono tanti temi di politica economica che rivelano una preoccupazione, già emersa nel vertice di giugno, sui problemi della crescita. Nel loro ambito - come ha ben argomentato Giorgio Squinzi ieri su queste colonne - l’industria è essenziale per la competitività europea nel mondo. Il Consiglio afferma inoltre che il governo della Uem deve essere rafforzato e che le politiche economiche vanno orientate alla crescita e all’occupazione (specie giovanile) compatibile con la stabilità e l’equilibrio di bilancio affinché «l’Europa resti una economia sociale di mercato». L’enunciato è importante ma la sua declinazione operativa si complica molto nella relazione triangolare tra Consiglio, Commissione e Parlamento. Anche perché la normazione della Ue e della Uem dal 2008 è aumentata in complessità. Basti citare il "six pack", il "two pack", il semestre europeo, il "fiscal compact", il meccanismo europeo di stabilità (Esm). Poi vi è Europa 2020 con grandi progetti di investimento. Scarse sono però le concrete politiche per la crescita capaci di superare la pesante recessione e la disoccupazione. Il Parlamento e la Commissione ci paiono tuttavia più avanti nella progettazione che necessita comunque del Consiglio per diventare operativa. La Commissione con le sue proposte sugli "stability bond" e le sue iniziative (con la Bei) sui "project bond" valorizza molte delle azioni proposte per la crescita (da quella di Delors del 1993 a quella di Prodi e Quadrio Curzio del 2011). Al recente Consiglio, la Commissione ha presentato "A blueprint for a deep and genuine economic and monetary union. Launching a European Debate" (connessa alla proposta dei quattro presidenti ma più chiara) di cui almeno tre proposte sono importanti per la crescita. 1. Nel breve termine (entro 18 mesi) si prevede la possibilità di accordi contrattuali tra Commissione e Stati della Uem per rafforzare e calibrare meglio gli interventi per la competitività e la crescita. Ciò non richiede cambiamenti nei Trattati. 2. Nel medio termine (tra i 18 mesi e i cinque anni) si prevede l’emissione di Eurobill della Uem con scadenza massima di due anni e la creazione di un fondo di ammortamento del debito pubblico per cooperare alla politica fiscale di rientro dei singoli Stati. Ciò richiede un cambiamento dei Trattati. 3. Nel lungo termine (oltre i cinque anni) si prevede un bilancio e una capacità fiscale della Uem con crescenti politiche economiche comuni nel cui ambito è considerata anche la emissione di Eurobond quali strumenti di messa in comune di debito pubblico. La Commissione (forse perché meno presidiata dal cancelliere Merkel) ha dunque un orientamento maggiore a innovare per la crescita europea. Il Parlamento è su una linea analoga. Ne tratteremo in futuro cercando di districarci in quella complessa "scienza economico-istituzionale europea" dove le tecnocrazie hanno un ruolo cruciale. L’Italia. Dal novembre 2011 ad oggi, nei rapporti con la Ue e la Uem abbiamo avuto "un solo uomo al comando": Mario Monti. Lo voleva l’Europa e non c’erano alternative. Il futuro non potrà più essere così e il presidente Napolitano l’ha detto dando anche una serie di indicazioni sulle questioni economiche che l’Italia deve risolvere. Molti nostri problemi richiedono trattative con la Ue e la Uem (Consiglio, Commissione, Parlamento, Consiglio dei ministri) di grande complessità e dove la tecnocrazia europea ha un ruolo notevole. Per questo ogni governo, al di là delle colorazioni, deve mantenere un raccordo stretto e continuativo con i suoi cittadini che operano in posizioni rilevanti nelle istituzioni europee. Con il ministro per gli Affari europei, Enzo Moavero Milanesi, la nostra presenza europea si è molto rafforzata. Anche se, per raggiungere l’incisività di altri Paesi (Francia e Germania ma anche Olanda), ci vuole tempo e continuità. Per questo proponiamo di "europeizzare" il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) che è previsto dall’articolo 99 della Costituzione, come «organo di consulenza delle Camere e del Governo». Una legge del 1986 ne stabilisce la composizione e le attribuzioni che andrebbero adesso finalizzate in toto alle questioni europee. Il Cnel, completamente rinnovato, dovrebbe svolgere una funzione di analisi e di raccordo istruttorio tra tutti gli operatori pubblici e privati italiani che hanno relazioni rilevanti con la Ue. Perché i progetti contano ma conta anche la costanza e la competenza per attuarli.