Bruno Quaranta, la Stampa 19/12/2012, 19 dicembre 2012
GIOVANNI NEGRI: QUESTO È IL MIO VINO PRENDETE E LEGGETENE TUTTI
Nel mare color del vino langarolo, c’è un’isola del tesoro. Una terra blasonata. Re Barolo. «Perché è superiore a ogni altro nettare? Si potrebbe forse confrontare il pur esimio violino con l’organo di una cattedrale, magari suonato da Bach?».
Giovanni Negri è uno stilita a La Morra. No, non un cincinnato. La politica è una remota plaga. Il deputato e l’europarlamentare e il segretario radicale «enfant prodige» è un album di fotografie seppiate. Da Pannella ai filari e all’ écriture . «Marco Giacinto? Uno straordinario a sé. L’artefice e il custode di un pensiero solipsistico. Come il fiume più bello del mondo, finisce nel deserto, non nel mare, una sterile avventura, dunque».
Tra le zolle e il computer. Accudendo acini d’élite e immaginando un commissario d’impronta istriana, Cosulich, ai piedi lussuose scarpe introvabili nelle griffate botteghe, le Sklapas. Passo dopo passo, enigma dopo enigma. Dopo Il sangue di Montalcino , l’invito, fresco di stampa, Prendete e bevetene tutti , sempre per i tipi di Einaudi Stile Libero (pp. 343, € 18): un filo di sangue e alcolico e mistico e meteorologico che gemella la Franciacorta, la Champagne, l’Oltremanica...
Da Montecitorio (e Bruxelles) alle pavesiane colline «che non si perdono». «È una lunga, favolosa storia» s’accinge a sgomitolarla, accanto al camino, il cinquantacinquenne, scarruffato imprenditore. Di là della vetrata, il Monviso e il Monte Rosa, e, nottetempo, le luci di Torino. Ma oggi il sole («Calor solis splendor dei», «Il calore del sole è lo splendore del giorno», un’anta di Prendete e bevetene tutti ) è invisibile, a signoreggiare è una nebbia fenogliana.
E dunque: «C’era un volta l’ingegner Diatto, correva il 1880, in seguito il primo direttore generale della Fiat. Sarà lui ad ancorarsi su questo bricco. Serradenari. In fuga dalla peste, con le loro povere cose, vi cercarono asilo i contadini del tempo». Di padre in figlio... «In figlia. La signorina Diatto, diciottenne, nel 1919 sposerà mio nonno Giovanni Negri, originario di Occhieppo, nel Biellese, figlio di lanieri. Durante la prima guerra mondiale in missione negli Stati Uniti, da cui tornò carico di muli, così rari nel nostro Paese, così necessari al fronte».
Nonno Giovanni... «Che avrà un figlio, mio padre, anch’egli ingegnere, nell’entourage olivettiano a Ivrea. Ecco: fra i ricordi mitici della mia infanzia, il funerale di Adriano nel turrito, gozzaniano villaggio. Sarà lui, il babbo, a trasfigurare la mia esistenza. Settembre 2001... Ma prima...». Ma prima? «Scomparsa la madre, una generalessa, l’ingegnere, qui, compì lo scempio. Abbattute le due ville liberty, eresse questa casa, un inno al cemento. Ed espiantò le vigne. Radicando pioppi, querce, tigli, l’humus, nelle sue illuministiche illusioni, di una sterminata bianca tartufaia».
Ebbene, settembre 2001... «L’ingegnere passa a miglior vita nei giorni in cui crollano le Torri gemelle. E da sera a mattina m’interrogo sulla mia sorte, fra private e globali intermittenze. Vendere? Non vendere? L’agronomo di Gaja (e di mio padre) insinua in me il dubbio: “Il valore del terreno cambia, se vi annida il nebbiolo da barolo”. Ne seguii il consiglio. Ma di fronte ai primi grappoli, il richiamo del tralcio agì inesorabilmente. E rimasi».
Di annata in annata, l’una felice l’altra un po’ meno (c’è anche un Ecclesiaste di Bacco), conquistando il forestiero mercato (dalla Norvegia agli Stati Uniti, per ora omettendo l’Italia): «Produzione stagionale: trentamila bottiglie, ventimila di Barolo, in primis il Barolo Giulia Negri, Giulia, mia figlia, la musa dell’azienda; cinquemila di Pinot noir; cinquemila di Chardonnay». Giovanni Negri inalbera l’orgoglio: «Nella classifica di Wine Enthusiast il mio Barolo capeggia le eccellenze tricolori, collocandosi al settantaduesimo posto nel pianeta».
Langhe democristiane, Langhe einaudiane... Come si diventa radicali? «Frequentando il San Giuseppe, a Torino, dove sono nato. Se sei l’unico studente con i genitori separati, se Fanfani dichiara guerra al divorzio per tutelare a ogni costo, sic, la famiglia, se, vieppiù, neghi il dogma delle verginità mariana, ti scopri con la rosa nel pugno. E, espulso, in un’altra scuola, il Galfer, in una sezione creata ad hoc per accogliervi i Franti, come me, come Marco Donat-Cattin... Ancora un goccio?».
Di curva in curva, nella lattea atmosfera, sono gli amati fantasmi a raccontare la leggenda del vino: c’è Brera atteso dal fu sindaco di La Morra Oddero per un pranzo comme il faut ; c’è Arpino che contempla le «ramificazioni venose depositate da un augusto Barolo»; ci sono Paolo Monelli e Giuseppe Novello che innalzano un barolo di «venerabile età: non dà alle gambe, non dà alla testa, prepara un sonno calmo e senza sogni...». Prendete e bevetene tutti...