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 2012  dicembre 19 Mercoledì calendario

AVIO, IL GOVERNO SCEGLIE IL MERCATO MA FA ANCHE POLITICA


Chissà se tra gli atti del governo Monti che rimpiangeremo non ci sarà anche un qualche abbozzo di politica industriale e di difesa degli interessi strategici del Paese, sebbene espresso ormai a poche ore dalle dimissioni del premier. Il caso Avio, che proprio questa settimana dovrebbe andare a risolversi, appare infatti un esempio significativo di come si possano contemperare esigenze di mercato con obiettivi di politica - industriale o militare che sia, le due cose spesso vanno di pari passo - nazionale. Avio è un’eccellenza italiana che ha sostanzialmente due grandi settori di attività: il primo, di gran lunga predominante, è la progettazione e costruzione di componenti per motori aeronautici, in particolare trasmissioni e turbine; il secondo, assai più piccolo come dimensioni, riguarda invece i propulsori spaziali, specie con il progetto Vega che è un lanciatore per satelliti di cui il gruppo italiano cura molti componenti e l’intera integrazione. In mano per l’81% al fondo di private equity Cinven e per il 15% a Finmeccanica, Avio è stata a lungo al bivio tra quotazione e vendita. Poi Cinven ha deciso che, viste anche le condizioni depresse della Borsa, la strada migliore era metterla sul mercato. Ad aggiudicarsela sarà il colosso Usa General Electric, che è però interessato solo alla parte dei motori aeronautici e non a quella dell’aerospazio: si va verso quello che gli addetti ai lavori chiamano lo «spezzatino». In questi giorni le trattative sono state serrate non solo tra i soci di Avio e il futuro acquirente, ma anche con il governo. Ancora lunedì la questione è stata affrontata ai massimi livelli da Presidenza del Consiglio e dai ministri dello Sviluppo Economico, della Difesa e dell’Università. Il risultato è che da parte dell’esecutivo c’è il via libera all’acquisto da parte di General Electric, ma a patto che le attività aerospaziali di Avio finiscano in un polo italiano. A costituire l’azionariato di questo polo potrebbe restare Finmeccanica, che incasserebbe circa 3-400 milioni vendendo il suo 15% dell’intero gruppo e potrebbe mantenere una quota equivalente nelle sole attività aerospaziali. Il governo starebbe anche sondando il Fondo strategico per gli investimenti, braccio armato - finanziariamente parlando - della Cassa depositi e prestiti. Se le cose andranno davvero così - dovremmo saperlo entro dopodomani qualche riflessione è opportuna.

Innanzitutto, c’è da stracciarsi le vesti perché un pezzo di economia italiana finisce in mani straniere? Non troppo. In primo luogo perché nelle economie globalizzate anche questo è uno dei risultati possibili, si potrebbe quasi dire una regola del gioco; in secondo luogo perché la Ge ha già dato buona prova di sé con l’acquisizione della Nuovo Pignone dall’Eni all’inizio degli Anni 90; infine perché se vogliamo attrarre gli indispensabili investimenti stranieri in Italia - anche se ovviamente sarebbe meglio che fossero investimenti ex novo che creano posti di lavoro, invece di acquisizioni che non aumentano il Pil del Paese - non si possono erigere barriere troppo alte all’ingresso di capitali.

Ma allora quali sono le condizioni perché un’azienda possa passare sotto il controllo di un grande gruppo estero limitando al massimo i possibili effetti negativi sul Paese? Quella fondamentale, sulla quale il governo pare aver ottenuto alcune garanzie, è la salvaguardia dei posti di lavoro - Avio ne ha oltre 5000 in Italia - e della «testa» della società, ovvero, tutto ciò che è progettazione e competenze tecnico-scientifiche. Se posti di lavoro e competenze dovessero abbandonare l’Italia, infatti, ciò segnerebbe un depauperamento secco per il Paese. A questa condizione necessaria il governo Monti pare averne aggiunta un’altra: per l’appunto il mantenimento in mani italiane di quelle attività aerospaziali che Ge non vuole rilevare. E’ una posizione legittima, che molti Paesi europei non avrebbero esitato o non esiterebbero ad assumere, per presidiare un settore che si considera strategico e sul quale anche l’Ue punta molto. Insomma sì allo spezzatino all’americana, ma con una ricetta italiana.