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 2012  dicembre 19 Mercoledì calendario

LEADER E CAPETTI EVAPORANO COME LA SECONDA REPUBBLICA


Quell’asfissiante sentimento di dejà vu alla vista di Silvio Berlusconi che muove guerra al fisco draculesco e ai comunisti italocinesi, all’imposizione dei monologhi congelati di Roberto Benigni, alla prospettiva del milionesimo derby sputazzante fra destra e sinistra, ha nascosto soltanto un poco il magico scorcio dentro cui si consuma la fine di un’epoca. Non basta qualche tignoso resistente, di cui Rosy Bindi è la campionessa, a mascherare la decimazione di quel gruppo di capi e capetti che hanno agitato vent’anni (e qualcuno oltre) di Repubblica. Il primo ad abbandonare il ring è stato Walter Veltroni, con suprema eleganza oltretutto, e nonostante la perfidia umana avesse intravisto nel gesto l’opportunismo del fuoriclasse, che farà della scelta di oggi il punto di forza di domani. E che sa di trascinare con sé, e l’ha trascinato, il duellante di sempre: Massimo D’Alema. Già questo basterebbe per dire - nella piccolezza quotidiana del nostro lavoro - che nel Parlamento nulla più sarà come prima. Ma questa strana rivoluzione soltanto all’apparenza discosta, quasi dolce e silenziosa, si sta portando via alleanze, amicizie, soprattutto teste. Fa impressione la ruvidezza con cui tutti scansano Gianfranco Fini, aizzato contro Berlusconi, blandito, illuso e ora fatto da parte. I centristi dicono che la sua storia con la loro non c’entra niente; a sinistra non c’è nemmeno da dettagliare; a destra lo considerano Badoglio; lunedì sera persino lo sfiancato Marco Pannella ha risposto con repulsione all’invito a mangiare e bere del presidente della Camera: «Mi fai pena».

Ci sarà qualche anima pia disposta a garantire l’ultimo scranno a Fini (e i suoi cagnacci, Italo Bocchino e Fabio Granata)? Così come lo avrà Umberto Bossi, che rientrerà a Roma non più come geniale incendiario, ma nel ruolo del nonno simpatico e un po’ citrullo, che gira a farsi tastare il muscolo del braccio. La vedete questa Seconda repubblica, in fondo un trascinamento alla meno peggio della Prima, evaporare quasi ai margini della scena? Ve ne siete accorti che Emma Bonino, aspra e schietta come sempre, ha definito non automatica e pletorica la sua candidatura? Avete fatto caso che la vecchia zia Livia, intesa come Turco, molla tutto senza sprecare una sillaba né rabbiosa né malinconica? Avete riflettuto sulla ripulitura impietosa che rischia di fare l’Udc di Pierferdinando Casini - lui della resistenza dell’amianto - se intende mettersi con i centristi montiani e montezemoliani, i quali pretendono di andare alle elezioni senza certi ferrivecchi, quali sono stati catalogati per esempio Lorenzo Cesa ed Enzo Carra (e chissà, Rocco Buttiglione)?

Una mattoncino dopo l’altro, e qualche pietra angolare qua e là, la casamatta è tutta sbrecciata. Li vedi vagare, i soldatini. Ignazio La Russa si separa dal compagno (pardon) di una vita, Maurizio Gasparri. Il primo a imbarcarsi sulla scialuppa di Guido Crosetto e Giorgia Meloni, il secondo aggrappato alla bagnarola di Berlusconi. Sempre che ce la facciano a infilarsi di nuovo nel palazzo, quale rilievo avranno i vari Gianni Alemanno, Fabrizio Cicchitto, Altero Matteoli? Non ce ne eravamo accorti, ma hanno potuto più a destra le faide che a sinistra la rottamazione di Matteo Renzi. Sandro Bondi non ne vuole più sapere, e resterà a casa a studiare politologia. Beppe Pisanu concede interviste che concludono una lunga e prudente dissidenza annunciando che adesso basta, va da Casini a cercare asilo. Claudio Scajola incontra soltanto persone che si girano dall’altra parte; «nel Pdl ci stiamo io e Giorgia Meloni o Scajola e Dell’Utri», ha detto domenica Crosetto; è che a Scajola nemmeno Berlusconi apre più la porta. E, a proposito di Dell’Utri, l’ultima è parola sarà la sua, che ha detto di aver parlato con Silvio, e di aver aggiustato tutto, o quella pubblica di Silvio medesimo, per il quale ci dispiace tanto ma «non possiamo più permetterci di candidare Dell’Utri»?

Ecco, questi sono i tempi e queste sono le facce. Nemmeno ci si pensava, ma sono gli ultimi mesi per Giorgio La Malfa, che esordì a Montecitorio nel 1972 col Partito repubblicano (dunque più longevo di suo padre Ugo, parlamentare per trentatré anni), per Calogero Antonio Mannino detto Lillo, che esordì nel 1976 con la Democrazia cristiana, e per Carlo Vizzini, stesso anno d’esordio di Mannino, ma col Partito socialdemocratico. E, se questo è, le ultime righe se le merita il padre della Seconda repubblica, promotore con Mario Segni del referendum sull’uninominale secco e con Romano Prodi dell’Ulivo. Si tratta di Arturo Parisi, che saluta con la sua epoca.