Susanna Nirenstein, la Repubblica 19/12/2012, 19 dicembre 2012
LA FORMULA DEGLI ELETTI
C’è un quid che secondo gli economisti Maristella Botticini (docente alla Bocconi) e Zvi Eckstein (Tel Aviv University) spiega chi sono gli ebrei, e li rende diversi da ogni altro popolo. “Eletti”. No, i due professori non si sono addentrati in spiegazioni teologiche o filosofiche, hanno guardato alle cifre e interpretato i fatti usando la lente della teoria economica e arrivando a risposte inedite. L’interrogativo in cui si sono quasi subito imbattuti, e sulla cui scia hanno lavorato per 12 anni, era perché gli ebrei dai 5 milioni circa che erano prima del 70 d.C., quando i romani batterono la rivolta d’Israele e distrussero il Tempio di Gerusalemme, fossero divenuti nel VII secolo solamente 1 milione e 200mila, per di più stabiliti per il 75 per cento tra Mesopotamia e Persia. Non basta: li avevano lasciati popolo di contadini come tutti gli altri e li ritrovavano tra il 650 (quando inizia a espandersi l’impero islamico) e il 1250, all’80-90%
urbanizzati, artigiani dei tipi più vari, commercianti, cambiavalute, prestatori, medici, i più moderni di tutti, i più specializzati, i più cosmopoliti, e ormai ovunque, dalla Spagna alla Cina, dall’Inghilterra all’Africa.
Cos’era successo? La storiografia era unanime nel dire che non c’erano state deportazioni di massa né dopo il 70, né dopo il 135, quando i romani avevano sanguinosamente represso anche la rivolta di Bar Kochba: così, per quanto si fossero succeduti eccidi terribili, epidemie e carestie (in Israele ad essi si poteva imputare un calo del 40%, della popolazione ebraica, negli altri luoghi del 10-25%) i conti non tornavano. Insomma perché erano così diminuiti, perché le loro professioni erano cambiate, visto che non si trovava in nessun posto in cui vivevano alcun segno delle interdizioni al possesso della terra generalmente addotte per spiegare la scelta dei mestieri nella popolazione ebraica?
Ed ecco lo snodo: se durante il primo millennio a.C. i due pilastri del giudaismo erano stati la Torah
e il Tempio di Gerusalemme, dopo la distruzione di quest’ultimo, non solo la lettura e lo studio della Bibbia in sinagoga sostituirono i sacrifici e i pellegrinaggi e l’epicentro della religione passò alla Torah scritta e orale, ma divenne fondamentale anche l’ordinanza del sommo sacerdote Joshua ben Gamla che nel 63-65 d.C. prescriveva a ogni padre ebreo di mandare i figli di 6/7 anni alla “scuola elementare” in modo che potesse leggere le sacre scritture.
Fu un passo rivoluzionario, unico al mondo, che certo non si compì in pochi anni e, secondo i due docenti, determinò per i suoi alti costi l’abbandono della religione in una parte della popolazione ebraica, un passo che modificò per sempre la faccia dell’ebraismo
ormai senza un regno, creando un popolo alfabetizzato in un mondo di analfabeti, individui in grado di leggere e far di conto, di imparare velocemente altre lingue, di capire di cosa c’era bisogno e dove, di curare, di proporsi come mediatori, scrivendo
contratti, lettere, di formare un network transcontinentale che aveva in comune un idioma, una legge e dei tribunali. È questa la storia ricca di conseguenze (e nutrita di complessi modelli economici sull’istruzione e la conversione dei contadini, piuttosto che su quelle dei mercanti) narrata da Botticini e Eckstein in
I pochi eletti
(edito dall’Università Bocconi).
Professoressa Botticini, cos’è che ha cambiato davvero il corso
degli eventi per gli ebrei oltre alla sconfitta del 70 d.C.?
«Viene introdotta l’imposizione ai genitori di istruire i figli. Una norma religiosa unica nel mondo agrario del I millennio, un precetto non immediatamente implementato, ma poi osservato: e, se sei capace di leggere, il passo verso la scrittura, la matematica, verso altri saperi, altre professioni non legate all’agricoltura e più redditizie, all’artigianato e al commercio, ad altre lingue, altri popoli è breve. Una volta che dopo il VII secolo nacque il grande impero musulmano col suo impulso ai commerci, all’urbanizzazione, gli ebrei furono coloro che ne colsero maggiormente le opportunità».
Anche i musulmani dovevano conoscere il Corano.
«Lo dovevano imparare a memoria, non saperlo leggere».
Siete sicuri che ci fu un calo demografico così importante dal I al VII secolo?
«Sì, il declino è accettato da tutti. La gran parte fu dovuta a guerre e epidemie. Ma secondo noi
un’altra fetta significativa è dovuta alle conversioni, in particolare al cristianesimo, allora percepito come uno dei tanti gruppi religiosi nati all’interno dell’ebraismo, che non imponeva il dovere all’istruzione, ovvero non toglieva braccia dai campi e non costava per i libri e gli insegnanti».
Gli ebrei non si sono mai convertiti facilmente. Quando sono stati costretti a farlo, sono rimasti
ebrei nascosti, come i marrani. Secondo voi uno dei motori delle conversioni fu lo stigma che colpiva chi non faceva studiare la prole: lo stigma era senz’altro maggiore di fronte al battesimo, no? Negli archivi delle istituzioni ebraiche avete trovato traccia di conversioni di massa?
«No, non ce n’è traccia. Ma pensiamo che entrare in un’altra comunità meno richiedente fos-
se più facile del restare, ormai reietto, ai margini della propria. È una teoria accettabile o meno, ma alcuni editti di imperatori romani (IV-VI sec.) puniscono gli ebrei che attaccano i loro confratelli convertiti».
Gli ebrei alfabetizzati da contadini diventano mercanti, ma anche tintori, tessitori, vetrai, fabbricanti di armi e strumenti scientifici, medici, cambiavalute, prestatori di denaro. Dall’VIII secolo inizia per loro quella che voi chiamate l’età
dell’oro.
«Nel VI secolo gli ebrei, in gran parte ancora agricoltori per quanto istruiti, sono al 75% in Mesopotamia e Persia, e poi un po’ in Egitto, Asia Minore, Sud Europa. La conquista islamica distrugge ma cambia molte cose in positivo: il suo grande impero crea un mercato globale dalla Spagna all’India, un’urbanizzazione (nell’VIII-IX sec. Bagdad ha 1.000.000 di abitanti!) in cui gli ebrei con il loro know how unico, possono cogliere le occasioni economiche migliori. Leggere i documenti della Geniza del Cairo (lo straordinario tesoro di
responsa
e lettere del mondo ebraico) è come vedere un film: lettere che descrivono l’esatto colore desiderato da un compratore di stoffe, che chiedono se il figlio studia... Racconti di vita e di affari di un mondo vivacissimo,
operoso, mobilissimo».
Non si spostano per le persecuzioni?
«Persecuzioni ed espulsioni sono innegabili, ma anche i movimenti volontari di commercianti e artigiani istruiti che da Bassora decidono di aprire una succursale al Cairo, da Costantinopoli si muovono a Napoli, da Aden in India... E presto saranno anche in Nord Europa. Un mondo globalizzato
ante-litteram
che cambia la visione del mondo ebraico e ne
spiega il futuro».
La ricerca arriva fino al 1492.
«Sì, e lavoriamo al secondo volume. Che toccherà i giorni nostri. E ribadirà il messaggio: investire nell’istruzione è una leva potente, unica».