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 2012  dicembre 19 Mercoledì calendario

NELLA STANZA DI PANNELLA “SENZA GIUSTIZIA PREFERISCO MORIRE”


HA MANGIATO due mandarini per ringraziare Mario Monti, un menù da galera, forse in onore dei detenuti per i quali si batte. E così Marco Pannella ci ha regalato pure un sorriso, anche se per ricominciare davvero a bere e a mangiare vorrebbe qualche nome, Vasco Rossi per esempio, «che però non sta bene e ha paura di non essere capace», e «Umberto Veronesi e Franco Battiato e Roberto Saviano e poi ci sono tanti giornalisti, scienziati, cantanti come Celentano e i fratelli Bennato, e gli artisti…, ma non ho voglia di fare lunghi elenchi». Vorrebbe quattro nomi trascinanti, di quelli “stoconMarco”, che si candidino in una lista “rosa nel pugno per la giustizia e per l’amnistia”, per farci spalancare gli occhi e costringerci a guardare l’ingiusto e il disumano delle prigioni, «il reato flagrante che lo Stato commette violando i diritti più elementari nelle carceri e il diritto alla normale durata dei processi: il comitato dei ministri del Consiglio d’Europa condanna l’Italia da più di trenta anni». Quattro nomi dunque per aprire le porte delle carceri e infilare l’Italia nel bugliolo, nella puzza.

E NELLE violenze di quell’universo concentrazionario, nella sua ripugnanza: «Attenzione però: non è un problema di pietà, ma di giustizia».
Sdraiato sul lettino di ferro da malato con le sue bretelle a quadretti, le lunghe calze blu, la maglia a righe orizzontali, le mani che un critico d’arte definì michelangiolesche, Marco parla in pannellese, che non è mai stato un linguaggio semplice, «non c’è sulla terra una sola parola che lo sia», ma che adesso è armoniosamente inarrestabile. Ed è percorso da sibili: «Quel Maroni è l’assassino degli immigrati che respinse in mare, glielo abbiamo detto e lui ha risposto che non gliene frega nulla». E poi fragorosi nonstop su argomenti come il
sensus fidelium
che un ironico sussurro trasforma in
consensus fidelium.
Il suo colloquiare dirama per rivoli inaspettati sino allo spiritualismo e all’energia: «Il non uccidere vale anche per la legittima difesa, perché se sei bravo devi ferire, invece che uccidere ». E ancora arrivano fischi perentori su uomini e cose che sembrano nominati per caso: «Napolitano non fa il garante ma l’impiccione e vuole fare il padrone dell’Italia ». Poi improvvisamente il lessico diventa quello immediato della libertà, più pericoloso di qualsiasi controprova e di qualsiasi violenza del potere: «Ho spiegato a Mario Monti che il mio sciopero della fame non vuole costringerlo a fare le cose che non vorrebbe fare ma, al contrario, che voglio aiutarlo a fare le leggi che non riesce a fare». Gli obietto che se ha parlato così con Mario Monti, allora forse lo ha un po’ confuso. E mi racconta che Monti gli ha detto: «Quando uscirò da qui vorrei che tu ricominciassi a bere. Cosa posso fare?». Pannella gli ha risposto con le teorie dell’ascesi e della non violenza. Poi in serata ha mangiato appunto i due mandarini che ha dedicato a Monti con l’augurio del brindisi. La sua battaglia ha sempre un sottofondo ilare, la risata gli veste la bocca scavata. A Monti ha pure parlato di Clemente, l’infermiere indiano che lo accudisce e che lo considera un guru, «una parola che secondo Clemente vuol dire più alto delle altezze dell’Everest ». Clemente gli dice pure che «anche l’India avrebbe bisogno di gandhiani come me». E per un attimo ci passano davanti le ombre dei due marò italiani reclusi in Kerala.
Ma poi, come solo Pannella sa fare, tutto è diventato concreto e hanno
parlato di amnistia e di leggi. Pannella ha così scoperto, e lo racconta con gratitudine, che tra lui e Monti, in queste ore di fame e di sete, c’è stata, imprevista, la scintilla: «Come diceva Leonardo Sciascia se Monti è venuto qui, se ha bussato a questa porta è perché sapeva che l’avrebbe trovata aperta». La ministra della Giustizia Severino invece l’ha trovata chiusa: «Non potevo riceverla mentre Rita Bernardini spiegava in Senato che la sua legge sulla giustizia è una legge irresponsabile e che il suo celebrato sfollamento delle carceri significherà 54 detenuti in meno». E invece Monti e Pannella si sono capiti come due fratelli opposti e gemelli, due italiani innamorati dell’Italia che hanno in comune l’autenticità, lo star bene nella propria sostanza, nella smoderatezza Pannella, nella morigeratezza il presidente, soldati di quella stessa fede che è la coerenza: «Alla fine ci siamo intesi su un’apertura di dialogo per l’amnistia e per la giustizia. Non è poco». Ma quanti segnali aspetta Pannella per ricominciare a bere? «Segnali ne arrivano tanti. Ma ne basterebbe uno, quello giusto». Bersani? «Mi ha invitato a riprendere a bere. Gli ho detto che è un Ponzione Pilatino o forse un Ponzino Pilatone, non ricordo». Fini? «È preoccupato per la mia salute ma non è d’accordo sull’amnistia. Gli ho risposto che non mi sorprende dall’uomo che ha messo la sua firma sotto due leggi orribili, la Fini-Giovanardi sulla droga e la Bossi-Fini sugli immigrati. Gli ho detto che molto meglio di lui era Pino Romualdi ». Berlusconi? «Non esiste». Grillo? «Per l’Italia sono meglio i grillini o i pannellini?».
Ogni tanto nella stanzetta della clinica si materializza una suora. Gli prende la pressione: 70 e 110. Poi una dottoressa gli fa l’elettrocardiogramma. Sergio Rovasio e Matteo Angioli gli stanno accanto come gli
angeli credenti della tradizione, quelli che assistono il guerriero nel momento del massimo sforzo. E uno fa il conto degli errori e l’altro fa l’elenco delle cose giuste, e per ogni cosa giusta vengono cancellati tre errori. E sono belli perché “Sergio il severo” si affretta a cercare la dolcezza e “Matteo il buono” si premura di dare rigore al trionfo. Pannella
li tratta con amore ma non vuole solo l’aiuto fisico che entrambi gli offrono, vuole il loro cervello: «Non limitatevi all’emozione, non accontentatevi del brivido». In questa stanza Pannella è come il Sacro Pazzo che è figura della mistica. Solo a lui consentono di usurarsi, di smarrirsi nella follia dei gesti che forse non hanno un senso oggi ma sicuramente lo avranno domani.
Gli dico: non costringerci a farti da becchini, stai facendo impazzire i tuoi amici e stai accendendo l’astio di chi dice “Pannella ha rotto co ‘sti scioperi della fame”. «Non lo dicono, glielo fanno dire, fanno finta che l’eccesso e l’oltranza stiano nel digiuno e non nella violazione della legalità ». E però, obietto, il tuo corpo in sciopero della fame è il medium che assorbe e oscura il messaggio: nessuno parla delle carceri ma tutti della vita di Pannella, e tu sai di essere un soggetto ideale per la prosa giornalistica ispirata al lirismo che è la prosa peggiore, perché tu così diventi un mito, un santone, Pannella generoso, Pannella monumento, Pannella scandalo, “non lasciate morire Pannella”, è un catechismo che offende la tua identità di laico. «Per la verità sono stato sempre santificato dai credenti, penso a Baget Bozzo e a Giorgio Spini. Ma hai ragione: mi trattano amorevolmente, prendono nota del mio peso e mi invitano a bere un sorso. E c’è una strana complicità tra me e il mondo che mi vuole nutrire a forza. Dò loro la forza che non hanno». Gli ricordo che qualche anno fa, durante un altro sciopero della fame, mi disse che la voglia di nutrirlo a forza gli ricordava l’idea di mandare Ofelia in un convento: «Per preservare la virtù del casato, per salvare la mia vita e il loro onore». Il punto è che «non sopportano la mia fame e la mia sete e dunque quando tutti capiscono che io davvero rischio doverosamente e felicemente la vita, solo allora finalmente
esplodono i grandi dibattiti che sempre uniscono e mai dividono un Paese, come per il divorzio, come per l’aborto, come per la fame nel mondo … Ora non vogliono che si parli di giustizia e di carceri».
E però questa volta Pannella — mi raccontano — ha fatto piangere anche Emma che gli ha detto «stai superando i limiti». E allora hanno discusso del limite. Per chi la politica la sente sul corpo, per chi la intende come fame e come sete, è una disputa che, prima o poi, deve per forza arrivare. Pannella dice che «bisogna rischiare anche la vita», da sempre la Bonino gli replica che «il non violento non è un fachiro». Questa volta mi riferiscono che Emma si è sentita male. Dico a Pannella che tanta preoccupazione non l’aveva accesa mai: «Per preoccuparsi di meno bisogna occuparsi di più». Sul tavolo c’è una magnifica rosa rossa. È un regalo della signora Berenice Ambrosini Oriani, la moglie di un vecchio compagno di scuola: «Ti prego Marco desisti. Hai già vinto».
Dico a Marco che se devo immaginare la sua morte, tra mille anni, la immagino così, mentre protesta per qualcosa. «Mille anni? Chissà come mi odierei». Ha le labbra screpolate, la lingua secca, non ce la fa a parlare: «Ho bisogno di mezzora di silenzio ». E prima di congedarmi mi racconta dell’euforia da digiuno e mi mostra un libro “Digiuno Autofagia e Longevità”. Pannella sostiene che lo sciopero della fame gli allunga la vita: «è un’arma di vita». Spegniamo la luce. Visto su quel lettino con il naso e la bocca grande tutto pelle ossa e occhioni chiari e stralunati, con Mirella che gli accarezza le caviglie, Pannella sembra aver recuperato una fisicità da giovane Holden addormentato. Mirella Parachini è la compagna di una vita, e come nei veri e grandi amori Mirella e Marco da una vita si prendono e si lasciano per evadere da chissà quali galere. Sicuramente mettono sotto i piedi la vecchiaia sia perché lei è semplicemente bella, e accanto a lui non poteva che starci una donna bella, sia perché, prosciugato sino a 72 chili, Pannella a 82 anni è l’utopia del mondo al contrario, di come sarebbe bello nascere vecchi e cominciare piano piano a ringiovanire e di come sarebbe bello acquisire, anno dopo anno, il vigore della giovinezza senza perdere l’esperienza della vecchiaia. Pannella, quel che resta di Pannella, è lì che ringiovanisce, lì che si asciuga, è li che Pannella si
spegne bambino.