Claudio Plazzotta, ItaliaOggi 19/12/2012, 19 dicembre 2012
LA7, TRONCHETTI AVEVA CAPITO TUTTO
Nell’estate 2001, quando Marco Tronchetti Provera conquistò il controllo di Telecom Italia, e quindi pure di La7, si disse che terminò anche il sogno di Lorenzo Pellicioli e di Ernesto Mauri di creare una vera rete commerciale concorrente di Mediaset. A 11 anni di distanza, tuttavia, non pochi elementi fanno pendere la bilancia dalla parte di Tronchetti: nel senso che l’imprenditore, da subito, aveva intuito che La7 non avrebbe mai potuto sfondare nel grande pubblico, e che la rete, al massimo, avrebbe avuto un senso come canale di nicchia, per una élite, con una struttura di costi leggera e un forte orientamento alla informazione e all’attualità.
Nel 2001 si disse che Tronchetti Provera aveva stoppato i contratti a Fabio Fazio e compagni perché non voleva rompere troppo le scatole al premier Silvio Berlusconi.
Ma l’imprenditore, in realtà, aveva anche compreso che non era sufficiente portare su La7 i personaggi e le produzioni da grande audience e grandi costi per avere, automaticamente, altrettanta audience. Optò per una struttura più leggera, dove rimasero, tuttavia, i Maurizio Crozza, i Gad Lerner, i Daniele Luttazzi, portò l’audience media al 3% (dato del 2006), e continuò a macinare perdite (risultato operativo di TI Media fu negativo per 137,5 milioni di euro nel 2006, ma gli uomini vicino a Tronchetti calcolarono che sarebbero state botte da 300 mln all’anno se non si fosse frenata subito la grandeur della prima ora di La7) anche a causa dei forti investimenti nel digitale terrestre (oltre 350 milioni di euro) e i ritardi nello switch off, che rallentarono l’avvio di nuovi canali e nuove offerte (per esempio, il calcio in pay).
Chi lo conosce bene sa che il suo più grande rammarico fu di non essere riuscito a coronare l’unione Telecom Italia-Telefonica-Murdoch (cosa che, quella sì, non avrebbe fatto piacere a Mediaset), con una piattaforma di 300 milioni di clienti nel mondo, cui veicolare i ricchi contenuti del gruppo NewsCorp.
Nell’autunno 2007 Tronchetti Provera esce da Telecom Italia e in TI Media inizia una nuova era. Arriva il risanatore Giovanni Stella. Rivede i contratti alle pseudo-star, sembra avere capito, ma poi si lascia coccolare dai lustrini e dalle paillettes della tv. I costi di palinsesto riprendono a salire, si punta ad allargare l’audience chiamando onerosi artisti e mettendo in scena costose produzioni (memorabili i flop di Sabina Guzzanti, Serena Dandini, Geppi Cucciari, Daria Bignardi, le sorelle Parodi, Teresa Mannino, per citare solo i più recenti). La lezione di Tronchetti Provera (tenere bassi i costi di palinsesto) viene dimenticata: e nonostante si investano parecchi soldi, lo share non sale di conseguenza. A fine 2011 l’audience media di La7 è del 3,8%. Ma la tendenza 2012 è al calo. Tolte le finestre del tg di Enrico Mentana e due o tre programmi di attualità (Formigli, Crozza, Santoro), la rete vivacchia al 2%, come ai vecchissimi tempi di Tmc. E il grande risanatore Stella consegna agli azionisti un business che nel 2012 avrà un risultato operativo negativo per oltre 100 mln di euro. Siam sempre lì, quindi. Poi uno si domanda perché, per Telecom Italia, sia così difficile vendere La7 e perché, soprattutto, nessuno voglia comprarsela veramente («Cairo e Clessidra, gli unici due che han fatto un’offerta, stanno in realtà giocando a ciapa no», dice ridendo un paludato esperto del mercato).