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 2012  dicembre 19 Mercoledì calendario

IL PORNOCRITICO


Di questi giorni Kromer non era in grado di governare l’edonismo, mentre l’edonismo governava lui, un po’ come un rullo perforato governa una pianola. Le sue conoscenze derivavano essenzialmente dai libri: Anaïs Nin, William S. Burroughs, Il Rapporto Hite, roba spigolata da adolescente sugli scaffali dei genitori. Ciò nonostante, nella cerchia di amici che frequentava allora a Manhattan, per lo più dottorandi e correttori di bozze in qualche studio legale, Kromer interpretava il ruolo del satiro. Più si ribellava, sostenendo che gli era capitato un’unica volta che qualcuno gli mettesse in mano una sigaretta all’eroina, oppure che la sua esperienza di sesso a tre non si era rivelata altro che un po’ di petting pesante e che per un pelo non era caduto preda della sindrome da apnea notturna, e più loro vedevano Kromer come il loro santo protettore dei degenerati.
La credibilità di Kromer derivava da alcune feste alle quali era stato trascinato da una ex compagna di studi: Greta, dai capelli corvini e dalle borse sotto gli occhi. Tali feste, di solito deludenti, venivano immancabilmente chiuse da Greta. Quando qualcuno degli ospiti era ridotto a spegnere le luci e a far capire con delicatezza che sul divano non c’era più posto, Greta si trascinava appresso Kromer nei suoi ultimi giri, di solito sotto la pioggia. Kromer faceva spesso il turno di notte, così che le ore piccole non gli creavano problemi, e poi non aveva nient’altro da fare. L’eredità di Greta, un cospicuo fondo fiduciario che non le era permesso toccare fino al trentesimo compleanno, la faceva uscire di senno e lei si era fissata di voler morire nello squallore prima di diventare ricca sfondata. «Cazzo, mi sono trovata in tre tipi di sesso a tre», raccontò Greta una volta a Kromer, con le labbra tremanti e gli occhi fissi su chissà quale sognante lontananza, con un atteggiamento che la faceva sembrare sull’orlo del pianto, o di un folle riso sfrenato, ma che di fatto rivelava soltanto che non dormiva da due o tre giorni. «Con due uomini, con due donne, e con una coppia. L’unico tipo a cui non riuscirò mai a partecipare è quello che mi piacerebbe davvero... tre uomini». Greta, con quei suoi modi instabili e sconnessi, era assolutamente autentica. Le difficoltà venivano create da un mondo che non voleva cooperare, che incedeva goffamente verso un rinnovato decoro sotto Clinton. Tutti gli altri conoscenti di Greta avevano molestato il proprio fondo fiduciario fin dai tempi delle superiori, quello era il problema. Erano responsabili dei loro soldi, mentre Greta si trovava in guerra con le proprie finanze. Il suo unico privilegio era l’utilizzo dell’"uomo" di suo padre, un emissario factotum e fattorino che immancabilmente rispondeva al telefono, e che, lasciandoti di sasso, era in grado di consegnare degli hamburger del Corner Bistro appena cucinati e ancora caldi in qualsiasi bettola del centro, di solito una frequentata quasi esclusivamente da transessuali pre-operazione, in cui finivano per trovarsi Greta e Kromer. A volte Greta doveva chiedere in prestito i cinquanta centesimi della telefonata. Kromer, una volta capito il trucchetto, spingeva Greta a sfruttare spesso questo servizio, in quanto era in grado di eutanasizzare la serata, evocando il sonno di cui Greta aveva tanto bisogno ma a cui resisteva fieramente. Kromer era convinto che questo fattorino o faccendiere fosse in realtà un maggiordomo, ma la volta che lo chiamò Jeeves vide che Greta sembrava non capire.
Dai molteplici aspiranti transessuali che conoscevano Greta, Kromer si guardava bene dall’accettare anche solo un pompino, nonostante fossero troppo giovani e impacciati per meritarsi un posto tra i condannati a morte. Nessuno di loro poteva immaginarsi l’aura che conferivano a Kromer. Il procedimento era arcano. Kromer, un nerd amante dei libri, un impiegatuccio, se ne era stato lì seduto senza nemmeno riuscire a bere granché tra i giovanotti neri dal reggipetto imbottito che il giorno dopo si sarebbero trovati in ritardo ai corsi per estetisti e parrucchieri o, in qualche caso, a quelli di Introduzione alla Sociologia o alla Psicologia del Queens College. Il loro linguaggio peculiare, da shemale pre-operazione, rendeva anche loro un sottotipo di nerd, secondo Kromer. Eppure, il giorno dopo, seduto di pomeriggio a mangiare un boccone con la sua coorte randagia di aspiranti dottorandi e correttori di bozze, Kromer interpretava la parte di Rasputin o di Gurdjieff, e da lui ci si aspettava che si lanciasse in luride seduzioni e magari in qualche rapimento. Forse si trattava di una mera questione lombrosiana: la traccia di un che di malato e nefasto nel profilo della mascella e delle orbite di Kromer. Renee e Luna, iscritte a Storia nell’istituto per gli studi post-laurea - cui Kromer riservava gli appellativi di Bella Renee e Invisibile Luna - adottavano il sistema "amica del cuore", per evitare a tutti i costi di farsi sorprendere da sole con lui. Kromer lo venne a sapere dalla loro più coraggiosa collega Sarah, che non si era sottratta dall’incontrare Kromer non accompagnata a Union Square, per lo meno alla luce del giorno. Il pomeriggio era terso, i piccioni ispezionavano il fango incartapecorito dall’inverno, una sciarpa nascondeva la bocca di Sarah. Kromer si stava immaginando che Sarah lo volesse per sé, quando lei cominciò a descrivergli la tattica di Renee e Luna.
«Non dovrebbero aver paura di me».
«Non gli fai paura. Sono sconcertate e nauseate. Vogliono essere in grado di scambiarsi le proprie annotazioni».
Annotazioni? Kromer era un cardine tra mondi diversi, una rapida occhiata su quei mondi. A loro non poteva offrire altro che le proprie annotazioni, certo non il mondo stesso. Questo proprio non riusciva a farlo capire. Né Kromer riusciva a confessare che era Renee, la ragazza a cui mancava soltanto la tesi sulle rappresentazioni occidentali contemporanee della Rivolta dei Boxer, che amava. Renee Liu, che indossava soltanto dolce-vita e ricordava un whippet, uno di quei piccoli levrieri inglesi, con il naso che sembrava un faro di malinconia, che aggrottava le sopracciglia e sorrideva sospettosa in risposta a qualsiasi cosa Kromer dicesse in modo semi-sincero, la cui sorella maggiore aveva frequentato il college con Kromer e Greta, e i cui minuscoli genitori cinesi Kromer aveva una volta visto venire a prendere al dormitorio la sorella di Renee con tutti i suoi averi. Kromer non aveva la minima idea se Renee lo sapesse o meno, o se la sorella avesse raccontato a Renee storie terribili sugli anni di college di Kromer. Ma non poteva chiedere niente a Sarah sulla questione, perché quella sua affermazione l’aveva turbato senza affatto dissipare la sensazione che l’avrebbe ferita se l’avesse trascurata in favore di Renee. La cosa che Kromer voleva davvero ferire era l’immagine che si era guadagnato, di ambasciatore della depravazione. Tenne la bocca chiusa. Se ne andarono in fretta dal parco gelido a rintanarsi in un caffè, dove Kromer propose di ordinare della cioccolata calda, aggiungendo, così sperava, una pennellata di inoffensività al proprio ritratto. Era per via di Greta con i suoi transessuali in attesa dell’operazione, oppure per l’abisso delle orbite di Kromer? O magari era in realtà più vicino a queste cose di quanto non sentisse? Kromer sapeva bene che c’entrava anche il suo lavoro, il posto in cui era impiegato. Il negozio si chiamava Sex Machines. Lì Kromer vendeva al dettaglio massicci falli viola, fiale di lubrificante extragalattico, sfere d’argento e rosari da inserire in qualche orifizio, delfini di lattice dal becco basculante. Il proprietario del negozio era uno dei maggiori conoscitori e pettegoli della Seconda Avenue, un genio lurido del commercio di strada, che ricordava un riccio. Proprietario di un intero isolato di negozi, era specializzato nell’anticipare anche le mode più recenti, aprendo i suoi bar con caffè finto-etnico, gli empori di videonoleggio e, infine, la boutique erotica.
L’arredo e la merce del Sex Machines copiavano scrupolosamente un famoso negozio di San Francisco, fondato da un collettivo di lesbiche politicamente attive nella promozione del sesso libero ed emancipato. Al posto di un collettivo del genere il proprietario aveva installato Kromer, trasferendolo dal videonoleggio, conferendogli sia l’incarico di direttore che di turnista di notte. Le ore notturne erano quelle che contavano davvero in un’impresa del genere. Kromer, un mago delle vendite, accendeva aggeggi di ogni sorta per fornire dimostrazioni pratiche delle varie velocità disponibili con una schiettezza che dissolveva qualsiasi vergogna. In quegli attimi, egli rappresentava mentalmente se stesso come una Lesbica Concettuale, un termine che aveva inventato ma che non aveva mai né pronunciato ad alta voce, né formulato alcuna definizione sensata. Kromer era quasi sicuro di non aver mai avuto un’erezione lì tra le pareti del negozio.
Quattro fattori. Transessuali pre-operazione, borse sotto gli occhi, Sex Machines, e lo stato dell’appartamento di Kromer. Ben pochi ne avevano visto l’interno, ma era evidente che la voce girava, eccome. Il capo di Kromer, il cui rinomato negozio di video era dotato di scaffali "scelti da noi" corredati di meticolosi commenti scritti, aveva insistito che Sex Machines riproducesse la newsletter del collettivo di San Francisco, una delle particolarità più originali dell’inequivoca amichevolezza di quel negozio. Nella newsletter, i film porno venivano approfonditamente categorizzati, secondo criteri di predilezioni e interessi, e valutati su diverse scale: numero di scene chiave, presenza (o, per fortuna, assenza) di trama, varietà delle performance, eccetera. Sembrava che fosse questo il modo giusto per vendere il porno agli sposati stufi del matrimonio, un pubblico che il principale di Kromer definiva come "Moby Dick".
Kromer, una volta svelatesi durante una chiacchierata come scrittore in erba, venne reclutato come direttore della newsletter del Sex Machines, oltre che come collaboratore unico e critico dei nuovi film e marchingegni. Il suo appartamento era un labirinto, a più piani, di porno. La quantità di robaccia era sconvolgente. Le pile scomposte si fondevano a formare una tappezzeria di scritte ridicole tra sbaffi di carne rosa e gialla: per quanto il suo compito fosse essenzialmente quello di inventariare le caratteristiche, categorizzare eiaculazioni e legature, Kromer non ce la faceva a stare al passo. Per lui era invisibile, come degli scaffali familiari lo sarebbero stati per chiunque altro, ma quella massa tendeva a lasciare un’impressione indelebile in chi lo veniva a trovare. Kromer avrebbe dovuto tenerlo presente, ma invece no. Soprattutto l’avrebbe dovuto tenere presente, in modo particolare, quella deliziosa sera di inizio marzo, più o meno un mese dopo la passeggiata con Sarah, quando Kromer contro ogni aspettativa riuscì a strappare Renee e Luna da un noiosissimo party che si teneva in un pub a pochi isolati di distanza dal suo condominio (si festeggiava un qualche tonto che, al secondo tentativo, aveva passato gli orali del dottorato). Kromer si era portato dietro Greta, e fu lei in realtà a compiere la magia implorandolo lamentosamente di tornare nel suo appartamento, dove sapeva che lui aveva ricevuto da poco un sacchettino di ottima erba. «Volete venire a sballarvi?». Greta, infilandosi al fianco di Kromer, domandò in modo diretto a Renee e Luna, che aveva appena conosciuto. Il vestito di Greta, il mascara, e il suo modo di comportarsi in quella compagnia la facevano sembrare una donna mascherata da pipistrello o da gatto a una festa che in realtà non era in costume. Greta era una seduttrice e corruttrice innata, colpevole di tutto quello che invece veniva imputato a Kromer. Ad ogni modo, lui non sarebbe mai riuscito a staccarle dalla festa.
La camminata verso casa non sarebbe potuta essere più gradevole: Luna sistemata accanto a Greta, Renee qualche passo più indietro insieme a Kromer, l’aria mite e fragrante. Kromer tempestò Renee di domande scherzose e importune, e osò perfino mostrare sorpresa quando lei nominò la sorella.
«Dobbiamo essere stati al college insieme. Se mi sforzassi me la ricorderei».
«Fai conto, come me ma più bella. Ha fatto la modella. Adesso è l’agente di una modella».
«Davvero?»
«Non una di quelle famose. Nei cataloghi di abiti invernali, sotto ai riflettori. Mi ha detto che potevi anche perdere cinque chili in una sessione, delle sudate pazzesche».
«Come un lanciatore di baseball, ho sentito dire». Finse di lanciare una palla a effetto.
«Un lavoro del tutto avvilente».
«Ci credo», disse lui, ignorando quella parola carica di significati, senza preoccuparsi in quel momento dell’associazione tra l’avvilente lavoro di levarsi i vestiti sotto ai riflettori invece che infagottarsi di diversi strati. «Anche tu potresti farlo».
Quell’affermazione le suscitò un riso amaro. «Guarda bene questo profilo. Io sono un maiale, un cane».
Kromer sollevò a "L" il pollice e l’indice, per riprodurre la forma del naso di lei, regale ma anche triste, in un gesto che si era allenato a fare da solo, immaginandosi di appoggiare le dita al profilo del naso. «Io lo scolpirei nell’oro». La citazione veniva da chissà dove, e non l’aveva per niente preparata. Sorprese non solo Kromer, ma anche Renee, abbastanza da risparmiargli una risata di scherno.
«Da non so quanto cercavo un modo di staccarti da Luna», le confessò. «E questo po’ di marciapiede tra di voi è il massimo che sono riuscito a ottenere».
Renee abbassò lo sguardo sui propri piedi, poi su quelli di Luna e di Greta, davanti a loro. «C’è sempre il telefono...».
«Ho sentito dire che voi due avete un duplex, o mi sbaglio?». Sperò che la battuta non fosse troppo antiquata per lei. Le nocche delle loro dita si sfiorarono. Niente di simile a delle mani intrecciate, ma comunque nessuno dei due esclamò «Acci!». Ma la camminata, sul breve gomito tra Houston e Ludlow, finì presto. L’appuntamento con il suo sacchetto di marijuana imponeva che abbandonassero la dolce notte in favore dei sibili e dei rantoli del riscaldamento nel suo appartamento in quel palazzo senza ascensore. Kromer si trovava nella fase in cui l’amministratore non aveva ancora armonizzato il riscaldamento con la stagione, così che doveva controbilanciare i radiatori roventi con le finestre spalancate. L’aria che era tanto piacevole a livello della strada sembrava ghiaccio che scorreva dentro le finestre al quarto piano. Si sarebbe scusato per averle attirate in una sauna sventagliata da raffiche di gelo, niente di più.
Renee aveva dato un’occhiata ai nastri sugli scaffali, ai nastri ammucchiati in pile disordinate sul parquet sotto alla libreria, e ai nastri sistemati sul ripiano dell’armadio, sopra all’appendiabiti dove Kromer aveva riposto i cappotti? Forse. Kromer aveva intercettato qualche occhiata dell’Invisibile Luna rivolta alle videocassette. Ma era il comportamento di Renee che Kromer avrebbe dovuto notare. Lei cadde in un silenzio assoluto, con le braccia che avevano rinunciato a qualsiasi movimento... ah, se gli isolati di Ludlow fossero stati tutti lunghi un miglio! Greta si sedette con le gambe incrociate sul divano di Kromer e cominciò a rollare delle canne con la sapiente concentrazione e meccanicità di un mago sul palcoscenico, tanto ben allenato da poter distogliere lo sguardo dal gioco di prestigio per fissare il pubblico negli occhi. «È tutta roba tua?», domandò Luna. «Non ho mai visto niente del genere».
Kromer colse con sollievo la palla al balzo. Di quei video se ne doveva parlare subito, per poterli sminuire a ciò che erano una stucchevole fatica. «Lo trovo abbastanza incredibile anch’io», cominciò. «Il mio palazzo delle sconcezze ha innumerevoli porte».
«Sarebbe a dire?», intervenne Luna.
Kromer dette un taglio alle spiritosaggini, optando per una comunicazione più efficiente. Descrisse la natura programmatica dei suoi saggi critici, raccontò di come era diventato abbastanza esperto da riuscire a scriverne uno dopo aver spulciato solo per dieci-quindici minuti un dato video, e fece notare l’impaccio logistico dovuto alle confezioni di Vhs che si accumulavano. «Non immagineresti mai che loro siano così insaziabili, finché non li vedi lì in negozio, alla ricerca spasmodica delle novità. Come se guardare due volte lo stesso video fosse un’azione di cui vergognarsi». Il pronome "loro", forzato lì in mezzo, era ciò che gli interessava veramente comunicare, come quarantena verbale dei comportamenti invisibili che separano gli acquirenti dal commesso. Per qualche minuto l’argomento passò sotto silenzio. La canna circolava per la stanza. Kromer vide con soddisfazione che mentre faceva sosta sotto relegante naso di Renee lei tirava a pieni polmoni, con gli occhi chiusi. Non avrebbe mai potuto immaginare che avrebbe svolto la funzione di una miccia su un candelotto di dinamite, quella scintilla che sfrigolando si avvicinava alle labbra di Renee. Né che lei sarebbe esplosa come Yosemite Sam. Kromer stava giusto lasciando cadere la puntina su un Lp dei Cowboy Junkies quando Renee strillò: «Mi sembra di stare seduta dentro una copia di Guernica!».
«Scusa?», fece Kromer.
«Non riesco a posare gli occhi da nessuna parte», continuò Renee. «È come in una macelleria... una carneficina dappertutto». Gli occhi di Greta si spalancarono, il che significa che si misero a mezz’asta. «Più Francis Bacon», mormorò. Greta si era diplomata in storia dell’arte. «Giuro, se strizzi gli occhi, è come stare in mezzo a un quadro di Bosch».
«Il Giardino delle Delizie», intervenne Kromer. Gli sembrava una cosa tranquillizzante da dire, tipo «Il Regno della Pace» oppure «Tutto ciò che Sale Deve Convergere», o come il tono narcotico dell’Lp, che al momento faceva le fusa mormorando: Il vino e le rose celestiali sussurrano al mio orecchio quando sorridi...
«Il mio professore di Studi Comparati sui due Sessi ha fatto un libro di biografie di prostitute», sbottò Renee. «Ma ci vorrebbero mille anni per sdipanare le storie di questa Caverna di Aladino di corpi contorti». L’espressione di Renee era distorta, come le sue parole. La deformazione dei suoi tratti eleganti era peggio di qualsiasi cosa Kromer si fosse mai immaginato. Un maiale, un cane. «Se queste pareti potessero parlare, si metterebbero a gemere», disse Greta.
«Mi sa che si metterebbero a urlarmi addosso», intervenne Renee. «Non tutto è... lo stesso di tutto il resto». Kromer si rese subito conto che la sua protesta generalizzata contro le equivalenze non gli avrebbe fatto guadagnare molti punti. A volerla dir tutta, Sex Machines aveva in negozio il libro di quel professore, ma Kromer non si sentì obbligato a farne menzione. Renee schizzò dritta in piedi, facendo pensare a Kromer che la polizia stesse per fare irruzione, o che una camicetta avesse preso fuoco per colpa di una brace. Invece si buttò a palla sull’edificio di porno, e se ne ritrasse reggendo tre cassette che lanciò in grembo a Kromer, come se fossero mele avvelenate. «Dicci un po’ cosa c’è di così diverso lì dentro».
Da dove poteva mai cominciare? Kromer dette un’occhiata alla descrizione dei contenuti dei nastri, impotente. A dire il vero, Renee aveva fatto un’ottima scelta, tenendo conto che era andata a casaccio. Due dei tre porno contenevano degli elementi di immaginifica redenzione. Prese in mano quello che stava in cima. Le Paure della Signorina Nuda. «Questi... cioè Le Avventure della Signorina Nuda con tutte le relative sequel... avevano solo lo scopo di lanciare Jocelyn Jeethers. Struttura picaresca, ma accattivante. Cioè, alla gente piace. C’è una discreta e corretta attenzione all’autonomia femminile...». Kromer incespicò nella frase, per via della parentela tra autonomia e anatomia. «Autonomia cosa?», domandò Renee.
«Autonomia... nel piacere, mi sa». Si sentì preso in un vortice, come se venisse risucchiato dal suo stesso scarico tritatutto. «Mentre questo...». Messo da parte il primo nastro, il seguente, Requiem Anale 4: Il Racconto della Serva del Culo, se ne stava in bella evidenza sulle sue ginocchia. Considerò brevemente i termini "Prodotto scadente" e "Da ultimo cassetto" prima di decidere per "Spazzatura".
«Tutta lì la tua disamina, o critico sapiente?», aveva detto Invisibile Luna. Nessuno gli dette una mano.
«Beh, ho preso nota del numero di certi rapporti, e in realtà non c’è nient’altro da fare, in questo caso...». Lo buttò via. «Questo, d’altro canto, è invero piuttosto interessante». Il film, intitolato Ormoni Sociali, Kromer se l’era guardato da cima a fondo. «I Fratelli Sward sono rinomati per il loro impegno nel delineare traiettorie evolutive dei personaggi e catene causali nello svolgersi del racconto, ed in genere nella qualità della produzione filmografica - in realtà la loro roba la si può guardare più o meno come si guarda un film, anche se non uno dei migliori». Sentì riecheggiare delle citazioni dalla suo stesso articolo sulla newsletter. «Ovviamente, c’è un certo tetto alla qualità delle interpretazioni...». Lo colpì, ma troppo tardi, che stesse cercando di dimostrare di non essere un marziano, mentre descriveva per filo e per segno la topologia di Marte, catalogandone le asperità. «Guardiamolo!», propose Greta.
«Meglio di no», disse Renee. Aveva una brutta cera. Tutti lanciarono involontariamente un’occhiata all’enorme televisore nero di Kromer, sistemato su un carrello insieme al videoregistratore. «Sono io», continuò Renee, «o i muri ci stanno venendo addosso?». La forza di suggestione era tremenda. Kromer, per quanto desideroso di trovare un argomento su cui concordare con Renee, pensò bene di non dire che l’aveva notato anche lui. «Davvero, dovrei sbarazzarmi di un po’ di ’sta roba...».
«Oppure potresti murare le finestre», propose Luna scherzando. «Come in un incubo gotico, come si intitola... Il Prigioniero della Rue Morgue?».
«Di Edgar Allan Porn!», strillò Greta.
Renee saltò dalla sedia un’altra volta, facendo rotta verso il centro della stanza, che si rimpiccioliva sempre più, cercando di evitare gli scaffali incombenti. Schizzò, piegata in due, verso il bagno di Kromer tentando uno sprint anti-vomito. Quasi ce la fece. La visione che aveva offerto in precedenza - il maiale, il cane - adesso apparve in primissimo piano, anche se Kromer provò una sensazione di profonda empatia. Lei lo spinse da parte, non prima che lui avesse goduto di un breve, delizioso contatto con la lunga, ondulata spina dorsale sfiorata dalle sue dita, e barcollando si diresse al water per completare l’opera. La particolare expertise di Kromer si rivelava essere, gli parve allora, qualcosa di peggio di una completa disfatta sul tabellone segnapunti dell’umanità. Era assolutamente tossica, in grado di suscitare il vomito di donne bellissime. Pensò con sollievo che, dato che stava in ginocchio, la posizione di Renee le avrebbe risparmiato la visione dei nastri Vhs impilati sullo sciacquone di ceramica. Kromer si dette da fare a ripulire i listelli del parquet con dei tovaglioli di carta appallottolati e con del detergente al limone, sperando di evitarle almeno la vergogna del suo fetido action painting. Kromer alzò gli occhi e vide Luna e Greta, insieme sul divano, che seguivano divertite le sue fatiche, mentre le dita tozze di Greta vagavano liberamente sulla coscia muscolosa di Luna. Alle sue spalle, la porta dell’appartamento sbatté. Il mistero che permane ha a che fare con quanto ti pareva di sapere prima che cominciassi a sapere qualcosa. O forse il mistero che permane ha a che fare con fino a che punto sei riuscito a essere stupido, mentre allo stesso tempo ti abbarbicavi all’evidenza che la tua stupidità sapeva cose che tu ignoravi. Kromer, tanto per fare un esempio, l’aveva soprannominata Invisibile Luna senza arrivare a capire che era lui, Kromer, che era invisibile a Luna. Lei era, adesso lo vedeva chiaro, una tormentata lesbica alle prime armi, innamorata della sua migliore amica. Eppure il Lesbismo Concettuale di Kromer era sfornito del radar per l’intercettazione degli omosessuali. Lui aveva confinato Luna in una porzione sfocata della sua periferia come difesa contro la consapevolezza di quanto poco significava per lei, ma anche per paura di rendersi conto del proprio limitatissimo ruolo: eccitante ma spaventevole, Kromer era in grado di mantenere Renee in uno stato di suscettibilità libidinosa, per quanto la prospettiva di un maschio fosse repellente. Così che Kromer e Luna si erano abbeverati alla stessa fonte, che poi aveva vomitato e si era data alla macchia. L’insensata reputazione di Kromer aveva ancora una volta trascinato le sue fragili speranze nella polvere. Quanto alle speranze di Luna, chi lo sapeva? Kromer era andato al di là della sua parte, o forse ce l’aveva portato il suo appartamento. Con ogni probabilità nessuno dei due aveva mai avuto una chance con Renee. Di tal fatta sono i doni indesiderati, non richiesti. I seni dell’Invisibile Luna, adesso in piena vista nel lucore dei lampioni che dalla strada filtrava dalle finestre della camera da letto di Kromer, erano dolcissimi da toccare. Kromer era stato abbandonato con loro mentre Luna si sottometteva ai gesti di Greta, giù sotto. L’aria era un misto di sudore e fumo e vomito, l’ora sconosciuta. La puntina sbatteva contro l’etichetta, arrivata di nuovo alla fine dei solchi. Andava tutto bene, tutto a posto, tutto ok, anche se Kromer aveva saltato la cena e aveva una fame da lupo. Per diverse ore si era alzato ripetutamente dal futon per cambiare disco, sapendo di essere il fattore inessenziale, senza mai avere la certezza di essere di nuovo accolto quando ritornava. Ma la prospettiva di un affaire esotico che ci si sarebbe ricordati per sempre, il seducente marchio d’infamia di una sofisticatezza che non si sarebbe mai del tutto cancellato, mantenevano quel posticino a disposizione di Kromer, fintanto che avesse capito che era meglio se non si toglieva i pantaloni. Adesso si sentiva troppo indolente per andare a cambiare il disco. Kromer, ancora una volta, era stato una specie di facilitatore, di concessionario. Si sarebbe benissimo potuto trovare al bancone del Sex Machines, dove la sua vita non era altro che un luogo in cui gli altri venivano a mettere alla prova la loro preparazione nei confronti di ciò che temevano fossero i loro desideri proibiti. Se ciò poi lasciava spazio sufficiente ai desideri di Kromer, era tutto da vedere. Allo stesso tempo, Kromer era quel tipo di cuore d’oro che avrebbe fatto del proprio meglio per evitare che Luna venisse mai a sapere qual era la variante di sesso a tre alla quale Greta voleva veramente partecipare. Nessuno avrebbe mai capito i piccoli particolari a cui lui era sensibile e che andavano a costituire quel tipo di smidollato alla Kromer. Quando Luna fu soddisfatta, avendo esaurito se stessa sull’orizzonte delle proprie possibilità, raccolse i suoi indumenti intimi e si ricompose mantenendo una sfumatura di raccapriccio negli occhi, poi seguì le orme di Renee e fuggì dall’appartamento, lasciando Kromer e Greta soli, ma insieme, sul futon. Si trattava della conclusione nebulosa che avevano già conferito a parecchie serate, anche se mai prima d’allora senza tutti i vestiti di Greta e parte di quelli di Kromer. Greta, nemica giurata del sonno, rollò un’altra canna. Kromer mise su un disco e tornò a letto. Greta gli sbottonò i jeans.
«Non fa niente», disse Kromer. Forse era questo che lui e Greta avevano in comune. Al contrario degli immemori cittadini ben squadrati come Luna, Greta era a sua volta una smidollata dal cuore d’oro, e si preoccupava del fatto che Kromer non aveva avuto alcuno sfogo.
«No», insistette Greta, facendo a pezzi la sua teoria. «Adesso voglio un cazzo dentro».
Non quello di Kromer in particolare, e qui si trattava soltanto della tipica sincerità di Greta. Kromer pensò che forse, per una volta nella vita, si trovava a poter contrattare da una posizione di forza. «Esigo di essere servito da Barney Greengrass. Un vassoio di pesce affumicato, con pane di tutti i tipi. E anche del merluzzo carbonaro dell’Alaska e dello storione. E del fegato trifolato, pure. Chiama il tirapiedi di tuo padre».
«Non sono aperti, è notte fonda».
«Riaprono tra un paio d’ore». Le fermò la mano. «Prima chiama il tipo, organizza la faccenda. Caffè e succo d’arancia incluso, trattamento completo». Greta sospirò, poi prese il telefono di Kromer e fece ciò che le aveva chiesto. Poi gli sfilò i pantaloni. Kromer pensò: adesso ho aggiunto anche la prostituzione alla lista dei miei crimini sensazionali. Ho scopato per dello storione. Ma no, quello avrebbe voluto dire rispettare le regole del gioco. Kromer era consapevole come non mai della pesante e sacra verità su di sé, una verità che nessuno, forse perfino nemmeno Greta, riusciva a vedere: lui era innocente.

Traduzione di Damiano Abeni