Mary Riddell, D, la Repubblica 14/12/2012, 14 dicembre 2012
L’EREDITÀ DI BUFFETT
Nella profonda pianura sudafricana Howard Buffett è sulle tracce di un ghepardo. «Finche non lo troviamo non andiamo a casa», dice. Finalmente scende dalla jeep e sì precipita a un tiro di zampa dalla preda. Sul polso ha ancora la cicatrice di un vecchio morso di ghepardo. «Howard ama il rischio», dice il capo del suo staff. In lui scorre lo stesso sangue impulsivo del padre Warren Buffett. Il grande investitore e filantropo del XX secolo, tra i più ricchi del mondo, non ha mai percorso strade sicure. Come il suo erede, a capo di alcuni grandi marchi di aziende americane.
Ci siamo incontrati a Ukulima, la fattoria dove Howard sta cercando di sviluppare nuove coltivazioni per aiutare i contadini poveri. Invece di regalare ai suoi tre figli il proprio capitale, trenta miliardi di dollari, Warren senior ha fondato associazioni caritatevoli. Howard, il coltivatore, ha investito le proprie risorse per alleviare la fame in America e in Africa e, nel far questo, ha intessuto legami con persone che si battono per le stesse cause. Di passaggio a Londra, in occasione della cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici, ha fatto una scappata da Tony Blair e ha trascorso un’ora con il principe Carlo. «Il principe mi piace», dice, «ha un gran senso dell’umorismo e crede fermamente in ciò che fa. Ma non lo invidio. Lui è come è. Non ha scelta».
Come Carlo, Howard Buffett vive nell’attesa. Sebbene suo padre,. 82 anni, pur malato di cancro non intenda abdicare, ha indicato il figlio maggiore come successore in qualità di presidente del suo impero.
A 57 anni, Buffett Junior sta riducendo il tempo che trascorre in Africa. Uno dei motivi in parte è dovuto a Devon, la moglie trentenne, che gli ha dato un ultimatum. «Mi ha detto: "Ho viaggiato tanto con te, non ce la faccio più"». In ogni caso, Howard non ha più molto tempo libero. Oltre a gestire una fattoria in Illinois, è nel consiglio di presidenza della Coca Cola e della Berkshire Hathaway, l’azienda del padre.
Come successore di Warren è stato nominato un nuovo amministratore delegato, la cui identità è conosciuta solo dal consiglio d’amministrazione, Howard resterà il "custode" del capitale della società. «Non è che non veda l’ora, perché vorrà dire che mio padre se ne sarà andato», commenta. Nonostante il mutuo attaccamento, le presidenziali americane hanno aumentato il divario politico tra padre e figlio. Warren ha sostenuto il rieletto Obama, e anche subito dopo le elezioni ha richiesto, a gran voce, una tassa sui grandi patrimoni. Howard invece è repubblicano ed è favorevole alla diminuzione delle tasse, anche se non ha mai caldeggiato Romney. Come nipote di un membro repubblicano del Congresso e rampollo di una delle dinastie più influenti d’America, Howard è più concentrato sui risultati che sulla mera politica. Obama deve «dimostrare di essere un vero leader e far capire a tutti che se vogliamo migliorare il nostro futuro dovremo prendere decisioni difficili e impopolari. Non siamo riusciti a gestire le questioni più critiche: un debito insostenibile, e la riforma sull’immigrazione, che avrà un impatto sulla sicurezza del nostro cibo, aumentando la fame, la povertà e la disuguaglianza sociale».
Warren Buffett una volta sembrava invulnerabile. Ora per lui la morte non è più un tabù. Nel 2006 la madre di Howard, Susan, è deceduta improvvisamente per un aneurisma cerebrale. Nonostante avesse vissuto molti anni con un’altra donna, suo padre sembrava svuotato. «Era devastato, eravamo veramente preoccupati per lui. Era depresso, sconvolto, ma ora è tornato alla carica, più forte che mai». Non molto tempo dopo a Warren è stato diagnosticato un tumore alla prostata, e si è sottoposto a una controversa radioterapia. «Gli abbiamo detto che doveva rallentare, che era un trattamento troppo intenso. Tantissimi uomini muoiono col, non di, tumore alla prostata: lui ha sentito tanti pareri e poi ha deciso. È il tipo più sveglio del mondo, e prende da solo le sue decisioni».
Racconta che suo padre ha già organizzato il proprio funerale. Un uomo che una volta non voleva parlare della morte, si riunisce ora regolarmente coi figli per discutere le continue rettifiche del testamento. «Abbiamo un ruolo importante: saremo amministratori del fondo che ci darà i soldi». Howard sostiene che alla morte del padre ci sarà una «consistente» somma di denaro. «Almeno 15, 20 miliardi di dollari. La maggior parte andrà in beneficenza, ma ha lasciato a noi figli abbastanza da non doverci preoccupare. Non miliardi. Non lo farebbe mai. Sarà molto meno di quello che crede la gente».
Il denaro è sempre stato un tema costante nella vita di Howard. Suo padre, famoso per la frugalità, vive di bistecche e palatine, gelati e bibite alla ciliegia, e abita nella modesta casa di Omaha dove ha cresciuto la famiglia. «Ha due linee telefoniche, una grande tv e un tapis roulant». L’unico suo lusso è un aereo privato. «Pensa che tutti debbano averlo». Da bambino, Howard spalava la neve e portava fuori la pattumiera per pochi spiccioli. «Una volta feci un patto con mio padre: non avrei ricevuto nessun regalo di Natale o di compleanno per tre anni, ma poi mi avrebbe comprato un’auto. Ho dovuto lavorare tre estati di seguito per pagare i rimanenti 2.500 dollari». Ribelle per natura, Howard non ha finito l’università, e poi ha mandato all’aria il suo primo matrimonio.
Nel 1977 sua madre ha lasciato Warren dopo che questi aveva trovato una nuova compagna, una giovane cameriera lettone, Astrid Menks, che ha sposato dopo la morte di Susan nel 2006. «Mia madre non voleva vivere a Omaha. Abbiamo l’enorme beneficio di avere tanta gente che ammira mio padre, ma ci sono persone che cercano di approfittarsene». Non la sua matrigna, Astrid. «Ama mio padre. Ha un’auto, vecchia di vent’anni, che fa fatica a partire, non è interessata ai beni materiali». Alcuni anni fa, quando Warren ha destinato a quattro fondazioni familiari 1 miliardo di dollari ciascuna, ha dato 31 miliardi di dollari in beneficenza alla Bill & Melinda Gates Foundation. È un ammiratore di Bill da tanto tempo. «C’è ancora tanto denaro da distribuire e mio padre dice di essere orgoglioso di come noi, i suoi figli, abbiamo gestito le cose finora».
Howard, che è diventato un abile uomo d’affari e filantropo, sostiene di aver imparato che «i piccoli progetti non portano a grandi cambiamenti. Nel mondo delle ong abbiamo alle spalle trent’anni anni di fallimenti. Non abbiamo agito abbastanza bene». È convinto che nel dispensare gli aiuti occidentali, emergenze a parte, bisogna incoraggiare il buon governo e cambiare, o evitare, i regimi corrotti. «Non si danno soldi ai cattivi regimi... l’abbiamo fatto per vent’anni». Howard si troverà presto a interagire con manager arrivisti, e di certo eviterà i tiranni. Ma per ora è impegnato a seguire un ghepardo. La jeep sobbalza nella savana. Howard sa che la libertà di cui gode ora non sopravviverà al potente padre. È il destino dell’agricoltore pronto a ereditare la terra.