Francesca Caferri, D, la Repubblica 14/12/2012, 14 dicembre 2012
SE INTERNET PARLA ARABO
Tutto iniziò con poche righe di agenzia dell’agosto 2009: annunciavano l’acquisizione da parte di Yahoo! di Maktoob, il portale numero uno nel mondo arabo, il più popolare sito web della regione, motore di ricerca e provider di posta elettronica capace di passare nel giro di un anno da sei milioni di utenti unici in un mese a 21. A far sobbalzare sulla sedia anche quelli che non avevano mai sentito parlare di Maktoob prima, fu la cifra che il gigante americano aveva sborsato per entrare in possesso del concorrente arabo: 164 milioni di dollari. «Se cerchiamo il momento in cui è iniziato tutto, possiamo senza dubbio dire che è stato quello», spiega Ornar Al Sharif, direttore del marketing di Oasis500, un incubatore di imprese di Amman. «Maktoob era nato in Giordania. Certo già prima che fosse acquisito da Yahoo, Internet qui era una realtà ben piantata e in crescita, ma quello è stato il momento in cui è diventato chiaro a tutti che non si trattava di un gioco per ragazzini, che in ballo potevano esserci molti soldi». Omar, trent’anni ancora da compiere, parla dal suo ufficio pieno di luce a venti minuti di auto dal centro di Amman. Intorno a lui si muovono decine di ragazzi e ragazze della sua età, molti più giovani. Tutti intenti a costruire quella che nella capitale giordana è già realtà: la Silicon valley del mondo arabo. O, come la chiamano gli spiritosi, Silicon Wadi (valle in arabo), ovvero il luogo dove per usare le parole del famoso commentatore americano Thomas Friedman Lawrence d’Arabia incontra Mark Zuckerberg.
L’ufficio di Omar sorge al centro di un complesso nato per ospitare i nuovi quartieri generali delle Forze armate giordane che, poco prima dell’inaugurazione, per volontà del re Abdullah ha cambiato destinazione d’uso. Nelle palazzine bianche dove avrebbero dovuto riunirsi generali e colonnelli, oggi ci sono gli uffici di alcuni dei giganti tecnologici più famosi del mondo: Microsoft, Cisco, Samsung. E, non ultimo, il gruppo per cui lavora Ornar, Oasis500. «Detto in poche parole», spiega il manager, «siamo un incubatore di imprese high tech. Il nostro scopo è selezionare progetti di start up legate al mondo della Rete e aiutare chi ha avuto una buona idea a trasformarla in realtà. Di più, in una realtà produttiva, capace di generare profitto e di durare nel tempo. Siamo i iati alla fine del 2010 e finora abbiamo aiutato 55 nuove imprese a nascere e mettersi sul mercato. Il nostro scopo è arrivare a quota 500».
Le parole di Omar possono suonare fantasiose solo a chi non conosce la realtà: se è vero che solo l’1 per cento dei contenuti di Internet oggi sono in arabo, è anche vero che il 75% di essi nascono in Giordania. In questo piccolo regno privo di risorse naturali e con un’economia traballante, il settore dell’alta tecnologia è una delle poche gemme lucenti, rappresenta il 14% del Prodotto interno lordo e da lavoro per lo più a una fascia di popolazione chiave per il futuro: i giovani. «La maggior parte dei Paesi nostri vicini hanno delle grandi ricchezze naturali, noi no», sintetizza Issa Mahasneh, presidente della Jordan Open Source Association, «per questo la Giordania negli ultimi anni ha scelto di puntare tutto su educazione e su risorse umane. Il re ha deciso che la forza lavoro preparata sarà la risorsa del Paese per il futuro, e sta provando a realizzare questo progetto. Lo sviluppo del settore high tech va visto in questa ottica. Oggi chi viene qui con un progetto legato alla tecnologia trova personale qualificato e un governo pronto a concedere agevolazioni fiscali e assistenza burocratica per far nascere nuove imprese». Si spiega così la concentrazione di uffici stranieri nelle palazzine accanto a quella dove lavora Ornar, ma anche la montagna di email e proposte che Oasis500 riceve ogni giorno. «Selezioniamo i progetti che ci sembrano validi», spiega il manager, «e offriamo a chi li ha proposti un corso,di formazione intensivo qui da noi. Lo scopo è trasformare idee in business. Al termine del corso, i partecipanti ricevono un finanziamento di 30 mila dollari, uno spazio di lavoro e vengono affiancati da un tutor, che li segue passo per passo. Diamo loro degli obiettivi da raggiungere, e loro non possono sbagliare: il finanziamento ci trasforma in loro soci, quindi possiamo sempre far sentire la nostra voce. Quando il progetto è partito, continuiamo a monitorarlo ogni tre mesi e a presentarlo ai nostri partners, nella regione e nel resto del mondo, in modo che ci possano essere sempre nuovi sviluppi. È importante che i progetti siano produttivi: siamo un gruppo privato, non facciamo beneficenza. E i finanziatori che investono tramite noi si aspettano di avere dei ricavi».
Oasis500 è una scommessa unica nel mondo arabo, dove il concetto di start up e di assistenza alla nascita di un’impresa non è molto diffuso: il progetto è frutto della mente di Usama Fayyad, giordano, a lungo responsabile dei dati di Yahoo, che qualche anno fa è tornate : casa e ha deciso di tentare questa strada. Grazie alla sua intuizione sono nate decine di siti web e imprese commerciali in Rete: da quelle che si occupano di fornire tutti i dettagli per il matrimonio perfetto a chi da lezioni di cucina on line, fino alla creazione di contenuti tradizionali per imprese e industrie.
Una volta superata la fase di start up, le imprese escono dagli uffici di Oasis500 e si trasferiscono in altre zone, per lo più ad Amman. In questi mesi il quartiere più richiesto è quello intorno a Rainbow Street, la via più alla moda della capitale giordana, dove si trovano i locali alla moda, i negozi trendy e i ragazzi girano con Ipad e computer portatili costantemente collegati in Rete. Qui i neoarrivati si trovano gomito a gomito con realtà anch’esse giovani ma ormai affermate, come quella di Karabeesh, un sito che aiuta i creativi di tutta la regione a far nascere e mettere in rete cartoni animati, disegni e animazioni di carattere satirico, i cui prodotti nei mesi della primavera araba sono stati scaricati da milioni di persone su Youtube. La strada agli occhi del turista sembra serena e moderna, lontana da ogni tensione, ma da qualche tempo nel suo cielo incombe una nuvola. La nuova legge sui media approvata a inizio settembre dal parlamento giordano prevede una serie di restrizioni per chi lavora in Rete; equipara infatti i siti web che fanno informazione ai giornali stampati e li obbliga quindi a registrarsi, con tanto di direttore, e ad essere responsabili di ogni contenuto generato, compresi i commenti. La comunità Internet giordana ha organizzato proteste, ma non è servito a nulla: la norma è passata, fra il timore di chi pensa che possa servire a tacitare un’opposizione sempre più apertamente ostile al re e l’ironia di chi fa notare che fra i mille problemi aperti il parlamento ha trovato il tempo per affrontare solo questo. «La questione», afferma ancora Issa Mahasneh, «è di principio: io non credo che la legge possa danneggiare lo sviluppo dell’high tech locale. Il re in persona si è reso conto del potenziale scivolone e ha incontrato i più importanti rappresentanti del settore per tranquillizzarli. Ma per noi è comunque un segnale negativo: la libertà della Rete non può essere messa in discussione».
Le preoccupazioni di Issa per ora non hanno raggiunto la palazzina bianca di Oasis500, dove si lavora a preparare il prossimo corso. Gli echi della primavera araba che ha sconvolto la regione e che nelle ultime settimane ha cominciato a farsi sentire anche in Giordania sembrano lontani. Ma è solo apparenza. Nessuno qui ne parla, ma tutti conoscono bene il ruolo che Internet ha avuto nelle rivoluzioni in Egitto e Tunisia; per questo aspettano di capire dove tirerà il vento nel mite inverno giordano.