Roberto D’Alimonte, Il Sole 24 Ore 18/12/2012, 18 dicembre 2012
AL SENATO «CENTRISTI» UTILI AL LEADER PD
In attesa della decisione di Mario Monti il centro deve decidere come presentarsi alle prossime elezioni. La scelta del premier non è irrilevante ma, con o senza Monti, le formazioni che occupano questa area politica devono comunque sciogliere alcuni nodi legati alle regole elettorali con cui si andrà a votare a febbraio. Queste formazioni al momento sono Udc, Fli, "Verso la Terza Repubblica" di Montezemolo-Riccardi e forse "Fermare il declino" di Oscar Giannino. Non pare che Italia Popolare, la corrente dei "montiani" del Pdl, abbia intenzione, almeno per ora, di entrare a far parte di questo gruppo. Quali sono le strategie elettorali più convenienti per massimizzare la loro quota di seggi nel prossimo parlamento?
Alla Camera vale la regola "2-4-10". Per ottenere seggi le liste solitarie (quelle che non si presentano in coalizione) devono avere almeno il 4% dei voti. Questa è la soglia di sbarramento per i "single". Però se una lista si accoppia con altre scatta una specie di "sconto famiglia". Ammesso che la coalizione superi il 10% dei voti le liste che ne fanno parte devono avere solo il 2% per partecipare alla ripartizione dei seggi. In aggiunta, il sistema prevede in questo caso il ripescaggio della migliore lista sotto il 2%. Come si vede è un sistema generoso con le liste che si accoppiano. Uno sconto del 50% sulla soglia non è cosa da poco.
Resta però il problema del 10%. Se tutti i centristi si unissero per formare una coalizione nel segno di Monti è molto probabile che riuscirebbero a superare questa soglia. Così come è molto probabile che sia l’Udc che la formazione di Montezemolo e Riccardi abbiano singolarmente più del 4% dei voti. Questo consentirebbe a Fini di presentarsi con una propria lista. Se prendesse il 2% tutto bene, ma se restasse sotto sarebbe comunque recuperato, a meno che la lista di Giannino non facesse parte della coalizione. In questo caso se Fini non sta sopra il 2% se la dovrebbe vedere con Giannino. Ma se sta sopra il 2% e Giannino va sotto sarebbe Giannino a essere recuperato e la coalizione nel suo complesso farebbe il pieno dei seggi con i voti a disposizione. Naturalmente non avrebbe nessuna chance di vincere il premio di maggioranza. Alla Camera ci vuole almeno il 35% dei voti per puntare a questo obiettivo e non c’è verso che il centro arrivi lì.
Ma si farà o no questa coalizione di partiti di centro? Alla Camera in fondo, date le soglie e le percentuali di voto attese dei maggiori protagonisti, una coalizione non è strettamente indispensabile. Fini può salvarsi come ospite nella lista di Casini. Montezemolo starà sopra il 4%. L’unico a rischiare è Giannino. Perché dunque mettersi insieme? Meglio che ognuno vada per conto suo. Con il suo marchio, la sua lista di candidati e i suoi riferimenti simbolici. In questo modo i "nuovi" Montezemolo e Riccardi non devono confondersi con i "vecchi" Casini e Fini. E sono tutti contenti.
Al Senato però le cose non sono così semplici. Qui la regola è "3-8-20", e vale regione per regione. Le liste solitarie – i single – devono arrivare all’8% dei voti. Alle liste accoppiate però basta il 3% per avere seggi se la coalizione cui appartengono arriva al 20%. Qui lo sconto è ancora più generoso che alla Camera visto che è di oltre il 60%. Ma la soglia del 20% per farlo scattare è una parete di sesto grado per tutte le formazioni di centro. Né si può dire che quella dell’8% sia facile da raggiungere. Nel 2008 l’Udc ci riuscì solo in Sicilia e si dovette accontentare di tre senatori. Cosa fare di fronte a questi paletti del sistema elettorale del Senato? Così come stanno le cose oggi nessuna lista di centro ha la certezza di ottenere più dell’8% dei voti, ed è ancora meno probabile che tutte insieme riescano ad arrivare al 20%. Certo, se ce la facessero non avrebbero problemi visto che gli basterebbe il 3% per avere seggi. Ma senza il 20% rischiano di stare fuori dal Senato. Quindi, correre da soli non va bene e correre insieme nemmeno. E allora?
La "soluzione" potrebbe essere quella adottata – senza fortuna – dalla sinistra radicale nel 2008: correre con una lista unica. Questo vuol dire un unico contrassegno, candidati comuni e - si presume - riferimenti comuni. Significa mischiare il vecchio e il nuovo in uno stesso contenitore. Vuole dire soprattutto decidere insieme chi mettere in lista, in quale circoscrizione, e in quale posizione nella lista. Scelte difficili, ma così basterebbe l’8% dei voti per entrare in Senato con un congruo numero di rappresentanti. Ma il premio potrebbe essere anche maggiore. Non ci si deve dimenticare che la lotteria del Senato può non avere un vincente. Pd e Sel potrebbero non ottenere in questa camera la maggioranza assoluta dei seggi. E allora quel pacchetto di senatori centristi diventerebbe determinante per fare il governo evitando a Bersani di dover scegliere tra Grillo e Berlusconi. Salvare il Pd val bene una lista unitaria. Se funziona.