Massimo Mucchetti, CorrierEconomia 17/12/2012, 17 dicembre 2012
BILANCI PUBBLICI: LA GRANDE ELUSIONE NON PIU’ TOLLERABILE
Due notizie hanno suscitato scalpore a Londra: la grande banca americana Jp Morgan che si accinge a pagare mezzo miliardo di sterline per chiudere un contenzioso con il fisco di Sua Maestà; la filiale britannica della catena di caffè Starbucks che decide di pagare volontariamente 20 milioni a titolo di maggiore imposta. L’evasione fiscale e contributiva legalizzata da parte delle multinazionali ha raggiunto vette altissime. Fino a ieri, con l’economia occidentale in pieno sviluppo, veniva giustificata come legittimo arbitraggio tra i diversi regimi fiscali, estrema forma di concorrenza tra sistemi Paese. Con la recessione, evidente o mascherata, in tanti Paesi, compreso il Regno Unito, il vincolo fiscale nazionale si è fatto più stringente. I costi dei salvataggi bancari e del supporto all’economia si sta mangiando risorse pubbliche in precedenza destinate al finanziamento del welfare. Il vecchio equilibrio, che consentiva ai governi occidentali di chiudere un occhio, paghi del lavoro e degli investimenti apportati dalle multinazionali, si è ormai rotto. E si è rotto perfino in riva al Tamigi. Il caso di Jp Morgan è interessante. Nell’arco degli ultimi vent’anni, la grande sede londinese della banca ha pagato bonus per una cifra ancora imprecisata ? tra i 2 e i 9 miliardi di sterline ? ad almeno 2 mila dirigenti. Per evitare le imposte (40%) e i contributi previdenziali a carico dei beneficiari (12,5%), le somme sono state depositate in trust basati nel paradiso fiscale di Jersey, località del Regno Unito. Per evitare guai maggiori da parte di un fisco che si risveglia da un lungo sonno, Jp Morgan anticipa mezzo miliardo e chiede ai suoi ex dirigenti di contribuire. Il caso di Starbucks è ancora più interessante nella sua rozzezza: si spiega interamente con i vantaggi della società multinazionale che obbliga la filiale britannica ? al pari delle altre ? a versare ogni anno enormi royalties (17%) alla subholding olandese per l’uso del marchio. In tal modo, un’azienda che fattura 3 miliardi nel Regno Unito ha pagato non più di 8,4 milioni di imposte in 14 anni. Giustificazione ufficiale: i conti erano sempre in rosso. Il movimento popolare UK Uncut, che organizza sit in di protesta contro gli evasori fiscali multinazionali, ha preso di mira Starbucks e così i suoi manager si sono decisi a questa peraltro modesta riparazione. La tecnica di Starbucks ricorda taluni signori del made in Italy, che avevano trasferito la proprietà dei propri marchi a società personali lussemburghesi alle quali le loro società operative italiane, quotate e non, versano royalties pingui e fatalmente esentasse. Jp Morgan è una multinazionale bancaria, campionessa della turbo finanza globale. Starbucks è quanto di più tradizionale ci sia: cornetto e cappuccino, sia pure su scala mondiale. Prima di loro erano finite nel mirino le regine dell’online: Google e Amazon che non pagano le imposte nei Paesi dove ottengono i loro ricavi, vendendo la prima pubblicità in rete e la seconda merci di ogni tipo poi recapitate a domicilio. Google e Amazon sostengono che i loro costi industriali sono altrove. Per esempio in Irlanda o in Olanda da dove partono online le fatture. Negano, i colossi della rete, di avere stabili organizzazioni in Italia, in Francia, in Germania, ovunque insomma, e perciò si ritengono assolti in partenza dagli obblighi fiscali. Ma che cosa vuol dire stabile organizzazione, un concetto giuridico pensato per regolare i rapporti fiscali con le multinazionali tradizionali, di fronte a Google e Amazon? Evidentemente, non significa più nulla. Questo breve elenco ha un forte contenuto simbolico. Esso contiene passato, presente e futuro delle imprese multinazionali. Unite nell’aggirare i doveri fiscali. Eric Schmidt, capo di Google, teorizza: «Questo è il capitalismo». Ma teorizza troppo scopertamente pro domo sua. Senza tutto quel complesso di costi, sostenuti dallo Stato, non potrebbero esistere quei moderni mercati dove le multinazionali vendono. Dunque, devono pagare come tutti gli altri. E se il concetto di stabile organizzazione e il controllo della proporzionalità delle royalties non bastano (e nei casi on line non bastano), si potrà pur sempre arrivare a forme di imposta sui ricavi. Come per agli alcoolici.
Massimo Mucchetti