Fabrizio Goria, Il Mondo nel 2013, Panorama 13/12/2012, 13 dicembre 2012
UN’ALTRA ECONOMIA È PROBABILE
[Inutile parlare di crescita e ripresa, se non si ricerca un modello di sviluppo per tutto il mondo. Che rispetti i criteri di sostenibilità.] –
L’economia mondiale è ancora malata. L’Europa combatte contro la peggiore crisi dal Secondo dopoguerra e gli Stati Uniti devono affrontare il fiscal cliff, ovvero la fine degli sgravi fiscali finora utilizzati per accelerare l’economia, mentre l’Asia sta cercando di ribilanciare gli squilibri di Cina e India e il Sud America rivive i fasti del 2001, con un’Argentina di nuovo a rischio fallimento. Nel mondo globalizzato, è il Fondo monetario internazionale (Fmi) che traccia la mappa più accurata del 2013 che verrà. Un mondo in cui il pil crescerà del 3,6 per cento nel prossimo anno, meno delle attese, che prevedevano una crescita di quattro punti percentuali. E si comincia già a non utilizzare più la parola crisi per definire ciò che sta avvenendo attualmente all’economia globale. Per Kenneth Rogoff, professore di economia ad Harvard, bisogna iniziare a parlare di «riequilibrio economico». Dopo decenni di crescita, il mondo è ora alla ricerca di un nuovo modello economico sostenibile.
Europa. La crisi del debito sovrano e la recessione continueranno nella maggior parte dei Paesi dell’euro. Queste sono le uniche certezze. Nell’eurozona ci sarà una stagnazione del pil, atteso in crescita dello 0,2 per cento nel 2013. In compenso le armi a disposizione dell’eurozona sono aumentate. La Banca centrale europea (Bce) agirà con il programma di acquisto di bond governativi sul mercato obbligazionario secondario, le Outright monetary transaction (Omt), l’Europa tramite il fondo salvastati, European stability mechanism (Esm). La priorità, riferiscono dalla Commissione europea, è la questione della Spagna. Dopo il bailout del sistema bancario iberico, circa 100 miliardi di euro, varato in luglio, si attende la richiesta di sostegno sul debito sovrano. Nel frattempo, restano incerte le prospettive per Italia e Francia. Secondo la banca americana J.P. Morgan il più grande rischio per Roma sono le elezioni. Un deragliamento dalla politica di rigore introdotta dal governo tecnico di Mario Monti rischia di fare esplodere il debito pubblico e fare perdere la già poca fiducia che gli investitori hanno nei confronti del Paese. La recessione per la seconda e la terza economia continentale rischia di essere peggiore delle previsioni, complice la girandola di misure di austerity. E poi c’è la Grecia. Arriveranno nuovi soldi e più tempo per garantire il raggiungimento degli obiettivi di bilancio. Ma, come spiega Citigroup, non è ancora svanita la paura per un’uscita dall’eurozona. Intanto, il debito greco arriverà al 190 per cento del pil nel 2013 e il Fmi si attende una contrazione del Pil di circa 6 punti percentuali. L’unica nazione che per ora ha i conti in regola è la Germania, che però ha visto tagliarsi le stime di crescita dall’1,4 per cento allo 0,8 per cento: nemmeno Berlino è immune dalla crisi. L’Europa, intanto, sta andando verso una maggiore integrazione. Il primo passo è l’unione bancaria, che probabilmente vedrà la luce a luglio. Poi si passerà all’unione fiscale. Ma tutto dipende dalle elezioni in Germania, previste per il prossimo autunno. L’attuale cancelliere tedesco, Angela Merkel, è uno dei più forti sostenitori dell’integrazione fiscale. Nel caso di una mancata rielezione, questo processo potrebbe subire uno stop.
Usa «Con la riconferma della presidenza Obama, gli Stati Uniti d’America hanno deciso di puntare sulla continuità». Così recita una nota di Bank of America-Merrill Lynch successiva alle elezioni. Eppure, i problemi non mancano. Migliora la crescita economica, data in aumento del 2 per cento nel 2013 secondo le stime del Fmi, ma il pericolo ha un nome ben preciso: fiscal cliff. Si tratta di tutti i tagli alle tasse effettuati nell’ultimo decennio, principalmente dall’amministrazione di George W. Bush, che vanno a scadenza nel 2013. Secondo l’ufficio governativo che cura il budget americano, il Congressional budget office (Cbo), sono in ballo 710 miliardi di dollari, il 4,3 per cento del pil americano. Nello specifico, la questione è attorno agli oltre 500 miliardi di dollari di entrate che finora arrivano dal fiscal cliff. Pur di mantenere inalterata questa fonte, Obama ha rimarcato che i più ricchi dovranno pagare più imposte. Il rischio, in caso di mancato accordo sul fiscal cliff, lo spiega al meglio Goldman Sachs. Secondo la banca statunitense, potrebbe esserci «la distruzione di circa quattro punti percentuali di pil, più un incremento della disoccupazione oltre il 10 per cento». Se non ci sono più incentivi per le imprese, queste si troveranno costrette a licenziare i dipendenti in esubero. Obama ha spiegato che un accordo con il Congresso è possibile entro il primo trimestre del prossimo anno, ma il pericolo esiste. Le agenzie di rating si sono dette pronte a tagliare il giudizio sugli Usa in caso di stallo. Anche nel caso si trovasse una quadratura, rimangono però i problemi legati al contagio della crisi europea. Le malversazioni delle banche dell’eurozona, spiega il Fmi, possono impattare per circa 400 miliardi di euro sui bilanci di quelle americane, impegnate nella dismissione degli asset superflui. Iniziato dopo il crac di Lehman Brothers, nel settembre 2008, questo processo continuerà fino al 2020.
Sud America. Un nuovo focolaio di crisi sta nascendo. Si tratta dell’Argentina. Dopo il default sovrano del 2001, per Buenos Aires si torna a parlare di crisi debitoria. Le proteste di piazza contro il presidente Cristina Kirchner sono il sintomo di un’economia sbilanciata e con un tasso d’inflazione reale superiore al 27 per cento. Come ricordato dal Fmi, il rischio di un fallimento sovrano è elevato. «O si trova un modo per fare tornare l’economia a un livello stabile di sviluppo o lo spettro del default si materializzerà» ha scritto Jim O’Neill, numero uno di Goldman Sachs Asset Management. Se l’Argentina piange, il Brasile non ride. Nel 2013 l’economia crescerà del 4 per cento, il massimo tasso dal 2010, ma è il Paese è impegnato in una riconversione dei suoi fattori produttivi, tanto lunga quanto difficile. Da Paese produttore, sottolinea la banca anglo-asiatica Hsbc, si sta trasformando in nazione capace di offrire servizi avanzati. Per ora il processo è stato ben recepito, ma il pericolo è che anche il Brasile possa essere contagiato dalla crisi europea tramite le proprie banche.
Asia. La grande paura sembra essere fugata. La Cina continuerà a crescere sensibilmente. Il pil cinese, dato in incremento del 7,8 per cento per l’anno in corso, salirà dell’8,2 per cento nel 2013. Niente hard-landing, ovvero la repentina frenata dell’economia cinese prevista dall’universo finanziario nel corso degli ultimi due anni. Anche l’India terrà il ritmo degli anni passati, crescendo del 6 per cento nel 2013 a fronte di un pil in crescita del 4,8 per cento per l’anno in corso. Secondo Morgan Stanley, la vera sfida sarà quella relativa a Vietnam e Malesia. «Potenzialmente sono pronti per fare il salto di qualità e prendere la strada per diventare potenze economiche» spiegano gli strategist della banca newyorkese. L’aspetto più negativo è però dato dal rallentamento globale della domanda di beni. Come spiega il Fmi, che ha rivisto al ribasso tutte le stime di crescita nell’area asiatica per il 2013, la crisi europea, unita all’incertezza sul fiscal cliff statunitense, rischia di contagiare anche l’Asia. In quest’ottica, il Giappone potrebbe tornare in recessione.
Africa. Il continente nero è l’unico che non sembra essere influenzato dalla crisi globale. Sono infatti invariate le stime del Fmi, che vedono l’area subsahariana crescere del 5,7 per cento nel 2013, oltre due punti in più rispetto alla media globale. Il Maghreb è destinato a diventare un polo finanziario fondamentale per tutto il continente. Anche il Sudafrica registrerà un andamento positivo, con una crescita intorno al 3 per cento, tornata ai livelli del 2009. È l’unico dei Brics che non ha subito flessioni.
Oceania. La crisi delle materie prime poteva essere il punto di rottura della crescita dell’Australia. Invece così non è stato. La crescita sarà del 4,1 per cento per il prossimo anno e non ci sono problemi di deficit eccessivo, squilibri finanziari o bolle immobiliari. Di questi tempi, è come stare in paradiso.