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 2012  dicembre 13 Giovedì calendario

IL FUTURO SECONDO ABRAHAM YEHOSHUA NON RINCORRIAMO IL CAPITALE

«Io sento che sta per manifestarsi una nuova epoca di solidarietà sociale». Volto artistico, modi energici, gestualità bizzarra, Abraham «Boolie» Yehoshua è di una lucidità spiazzante. Israeliano non convenzionale, scrittore di fama planetaria, in Italia ha pubblicato per Einaudi anche un celebrato Viaggio alla fine del millennio. Con Panorama compie invece un pellegrinaggio nel futuro. Partendo dal 2013.

Yehoshua, viaggiando tra Israele e Palestina ho ricavato una convinzione controcorrente: esiste una maggioranza silenziosa che rifiuta la cronaca e chiede la fine di guerre e violenze. È davvero così? Oppure il mio è lo sguardo di un visionario?
Sono nato a Gerusalemme nel 1936, quando la popolazione nella terra di Israele era di appena 400 mila persone. Poi sono venuti gli attacchi degli arabi, la Seconda guerra mondiale con tutti i suoi disastri, la guerra di Indipendenza, mentre ero un ragazzo riparato per mesi nei rifugi. Quindi la campagna del Sinai, alla quale partecipai da soldato. Dopo arrivarono la guerra dei Sei giorni, poi il Kippur. Infine i miei figli sono finiti nell’esercito come paracadutisti. Ho un figlio di 38 anni, il più piccolo, è un ufficiale, sta talvolta sul confine con Gaza. Aspetto sempre trepidante che mi chiami per sapere come sta. Che cosa pensa che io possa desiderare?
Il suo è un desiderio globale. Tutto sembra essere peggiorato dopo l’11 settembre 2001.
Non sono per niente d’accordo. Il pianeta era già colmo di guerre e di tensioni. Persino i talebani non sono una minaccia fuori dai confini dell’Afghanistan. E poi, in realtà, al Qaeda è stata sconfitta. Piuttosto, l’errore più grave dell’Occidente riguarda l’economia. Gli esperti non hanno pronosticato la crisi, soprattutto di paesi come Grecia, Portogallo e Spagna. Ma il modo in cui l’Europa è riuscita ad affrontarla e superarla è veramente stupefacente.
Sì, però mentre gli stati nazionali impongono il rigore dei conti pubblici, l’Unione europea manca l’obiettivo dello sviluppo.
I capitalisti sostengono che quando c’è un mercato libero l’economia cresce più veloce. Io viceversa dico che il capitalismo selvaggio dovrà fermarsi. La velocità aumenta il divario tra le classi. Sento invece che sta per manifestarsi un’epoca in cui ci sarà, non dico eguaglianza, perché l’eguaglianza è impossibile, ma almeno una sorta di solidarietà sociale.
Il fatto è che il XX secolo ha destrutturato il comunismo. Nel primo decennio del XXI secolo, la crisi finanziaria globale ha invece aperto la crisi del capitalismo. Ci vorrebbe una terza via tra queste due grandi ideologie. E non si trova.
Sono socialdemocratico da quando avevo 12 anni. A 76 anni ormai posso tranquillamente dire che è stata la dottrina di tutta la mia vita. Per me la socialdemocrazia è la giusta via: significa più giustizia sociale.
Nel frattempo la geopolitica mondiale è completamente mutata. Nuovi paesi avanzano sullo scacchiere mondiale, dalla Cina all’India, al Brasile. Possono essere questi i modelli ai quali l’Europa dovrà riferirsi per il futuro?
Non credo. Però il miglioramento della vita media in Cina è un fatto positivo. Meglio ancora è quello che sta avvenendo in alcuni paesi, soprattutto in Sud America, che Israele sta incoraggiando: alcuni paesi stanno venendo fuori da dittature e comunismi grigi che deprimevano i popoli. Diventando produttivi e, nel caso del Brasile, secondo criteri socialdemocratici.
Anche l’Iraq cerca di uscire da una dittatura. La guerra, quindi, non fu poi così sbagliata.
Di sicuro è stata fatta malamente. Gli americani hanno stabilito che sono i poliziotti del mondo. Hanno voluto eliminare Saddam Hussein e non capisco perché fosse così urgente: non aveva la bomba atomica. E poi, senza una classe media consistente, non si può passare da una dittatura pura alla democrazia.
Quali sono state le conseguenze di quel conflitto?
Ovviamente le rivolte contro le tirannie in tutto il Medio Oriente. Quando le popolazioni hanno visto la statua di Saddam Hussein frantumata, in Libia, in Tunisia, nello Yemen e perfino in Egitto hanno stabilito che potevano fare lo stesso da soli.
Il risultato è che i nuovi regimi somigliano terribilmente ai vecchi.
Solo in Tunisia sembra esserci qualcosa di stabile. In Egitto governano i Fratelli Musulmani, che non sembrano andare verso la democrazia. In Libia ci sono lotte tra diversi clan, in Siria un continuo spargimento di sangue. La questione è che le masse arabe chiedono libertà, ma sembra che non sappiano come creare una democrazia. La caduta dei dittatori è positiva, ma quello che verrà al loro posto rimane un’incognita: regimi teocratici o una specie di democrazia civile?
Intanto Israele sembra sempre più vicino a dichiarare guerra all’Iran. Il 2013 sembra l’anno decisivo.
No, attaccare sarebbe sbagliato. Penso però che la comunità internazionale debba evitare che l’Iran arrivi a possedere la bomba atomica. È davvero molto importante, un conflitto potrebbe risultare disastroso per noi. In ogni caso, la pace con i palestinesi priverà Teheran di qualsiasi pretesto per aggredire Israele.
Cosa vuol dire essere israeliano in questo momento?
Significa essere responsabile. Per dare risposte morali a tutte le domande esistenziali.
E allora come sarà la sua terra nel 2013?
o penso che Barack Obama e l’Europa debbano fare due cose. Primo, dire seriamente e prioritariamente agli israeliani: «Fermate gli insediamenti dei coloni e negoziate». In secondo luogo, devono fare pressioni sugli arabi affinché vadano al tavolo delle trattative e creino lo stato palestinese sotto l’egida delle Nazioni Unite. Penso a uno stato smilitarizzato che preveda una minoranza ebraica negli insediamenti già esistenti.
Sarebbe bello, ma non sembra così facile.
La formula è risaputa, sappiamo esattamente che cosa bisogna fare per risolvere la questione. I siriani lasciamoli per il momento ai loro problemi interni. Ma c’è già un accordo di pace tra Israele, Giordania ed Egitto. Ora siete voi europei, insieme agli Usa, a dovere riuscire nello sforzo di costringere israeliani e palestinesi a ritornare ai confini del 1967. E farla finalmente finita.