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 2012  dicembre 13 Giovedì calendario

MOOCS, L’ISTRUZIONE PER LE MASSE

[Le più prestigiose università del mondo mettono online il loro sapere. E 3 milioni di studenti seguono le lezioni sul web. Solo una mossa di marketing o una vera rivoluzione digitale?] –
Ho 15 anni e forse mi si potrà dire che sono troppo giovane per avere voce in capitolo sull’argomento… Ma io non parlo in qualità di studentessa di liceo, parlo da studentessa di Coursera. Il mio viaggio è iniziato un anno e mezzo fa partecipando a un corso sull’intelligenza artificiale che contava circa 160 mila studenti: Coursera ha fatto diventare così insaziabile la mia sete di sapere che vorrei avere il tempo di seguire tutti i corsi che propongono». Giulia scrive in un blog il suo entusiasmo, che ha già contagiato 3 milioni di giovani nel mondo, per i Moocs, i massive open online courses, fenomeno che secondo la Mit Technology review è destinato a diventare «la più importante tecnologia applicata all’educazione degli ultimi 200 anni». Certo, il Mit ha tutto l’interesse a spingere questa nuova tecnologia, avendo appena investito insieme a Harvard 60 milioni di dollari nel lancio della loro piattaforma EdX (www.edx. org), dove si possono scaricare le lezioni dei migliori professori di questa élite della conoscenza. Una start-up non-profit che al momento della nascita, a settembre, aveva già un patrimonio di 370 mila studenti.
Ma questo è solo l’inizio: Coursera (www.coursera.org), la piattaforma che tanto entusiasma Giulia, in poco più di un anno ha già raggiunto i 2 milioni di utenti e sta crescendo «più velocemente di Facebook » secondo Andrew Ng, professore di Stanford e creatore del Moocs a cui partecipano 33 atenei, tra cui Brown, Duke, l’Università di Toronto e quella di Melbourne, e che offre 208 corsi online. Il precursore, invece, è stato Udacity (www.udacity.com), nato dall’idea di due scienziati di robotica, Sebastian Thrun, professore a Stanford, e Peter Norvig, responsabile della ricerca di Google, di creare una versione online del corso universitario «Introduzione all’intelligenza artificiale», solitamente seguito da non più di 200 allievi nel campus: in poco tempo è diventato un tale successo da raggiungere i 160 mila iscritti, con studenti di tutto il mondo che su base volontaria hanno poi tradotto il materiale di base in 44 lingue diverse. Dopo questa esperienza, Thrun ha abbandonato Stanford per dedicarsi alla sua creatura, mentre l’ateneo americano ha ampliato l’offerta formativa online a 13 corsi che includono anatomia, crittografia, teoria dei giochi e processi del linguaggio naturale.
Questa è l’essenza e la forza dei Moocs: ogni attore porta sul web le sue migliori competenze, le condivide e le rende disponibili a un pubblico vastissimo. Istruzione d’élite per un pubblico di massa è l’equazione del futuro secondo Anant Agarwal, lo scienziato alla guida di EdX, convinto che l’educazione stia cambiando completamente volto. La ragione è legata al web e alle nuove tecnologie che processano i dati in un nanosecondo: grazie a questi passi da gigante, i potenziali studenti possono condividere video dotati di sofisticati elementi interattivi, mentre gli insegnanti ottengono preziose informazioni dagli stessi alunni per rendere l’insegnamento a distanza ancora più efficace.
«Abbiamo a che fare con una generazione di studenti abituati a usare la tecnologia e a dialogare con essa, anche da casa loro. Per questo ritengo che i Moocs avranno successo» afferma Luigi Proserpio, docente di management e presidente di Beta, Bocconi education and teaching alliance, un nuovo centro dell’ateneo milanese per supportare le capacità didattiche e discutere del futuro dell’apprendimento in Bocconi. «E poi l’idea di un’alleanza tra le principali università del mondo per mettere a disposizione le loro superconoscenze, senza banalizzarle, è davvero entusiasmante». Anche per la Bocconi? «Noi da anni utilizziamo il web come integrazione alla nostra didattica in aula, su cui continuiamo a investire moltissimo. Questo non significa che non sperimenteremo i Moocs in futuro, magari contribuendo a una piattaforma già esistente».
Una strada, quella della democratizzazione del sapere, che metterà a disposizione di tutti i mattoni della conoscenza, le fondamenta, lasciando a pagamento le strutture specializzate, e portando così a uno spacchettamento dell’educazione, un percorso che secondo Clay Shirky, scrittore e professore alla Columbia University, sarà simile a quello tracciato da Napster nella musica, che ha spinto all’ascolto e poi all’acquisto di singoli pezzi invece che di interi cd: un modello «peer to peer» applicato alla formazione, dove il sapere passa liberamente da un soggetto all’altro, favorendo una conoscenza aperta, liquida e partecipata. Questo almeno per i sostenitori dei Moocs che, grazie ai prossimi sviluppi, si aspettano un boom di studenti liceali a caccia di crediti per iscriversi al college, fino a quando, in un non lontano futuro, si potrà indifferentemente seguire un corso di laurea online od offline. Per i detrattori, tra cui lo scrittore di tecnologia Nicholas Carr, invece, «lo schermo di un computer non sarà mai più che un’ombra di una buona classe universitaria».
Anche la crisi economica potrebbe metterci lo zampino: in un mondo come quello statunitense, dove laurearsi costa almeno 100 mila dollari e dove il 60 per cento dei diplomati ritiene che gli atenei non diano una preparazione adeguata rispetto ai soldi spesi, l’introduzione dei Moocs può sembrare la panacea, se non di tutti, almeno di alcuni mali. In realtà l’elearning universitario esiste da molti anni, ma non ha mai riscosso un gran successo. «Anzi, è stato un flop» conferma Marco Camisani Calzolari, docente e imprenditore del digitale. «Ora, però, è il momento giusto grazie alla disponibilità di banda e ai tantissimi utenti digitali. Se a questo aggiungiamo il prestigio delle università coinvolte, otteniamo il successo dei Moocs».
Ma perché questi atenei hanno deciso di mettere online il loro know how? «Sicuramente c’è una parte di marketing e poi sono convinti di potere diventare punti di riferimento mondiali del sapere, aggregatori di conoscenze assolute». Una mossa che cambierà il loro modello strategico, ma le università così come le intendiamo non spariranno. Anzi, la società di analisi Global industry stima che questo business emergente potrà valere 100 miliardi di dollari già nei prossimi anni.