Marco Pedrsini, Panorama 13/12/2012, 13 dicembre 2012
NEL NOME DELL’IRA
«Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede» dicono i versetti della Seconda lettera a Timoteo che Joe Hillerby, un pugile di Belfast, ha tatuati sulla schiena. Li ha voluti in alto, quanto basta perché gli avversari, durante i corpo a corpo, possano vederli. L’ultimo a trovarseli sotto gli occhi, Willie Thompson, gli ha dovuto cedere la cintura di campione dell’Irlanda del Nord e ora Joe, per tutti «the Faith», la fede, è il protestante al livello più alto fra i pugili dell’isola. Non è stato facile guadagnarsi il primato, in uno sport molto seguito dalle classi popolari, le stesse dove l’odio settario tra repubblicani (cattolici) e lealisti (protestanti) trova il terreno migliore. La palestra dove Joe è cresciuto, il Sandy Row boxing club, ha da poco presentato un dossier in cui racconta 10 anni di aggressioni: minacce ai giovani pugili, cori violenti, un bus preso a sassate da un gruppo di estremisti. Anche Joe ha avuto i suoi problemi: salendo sul ring al Balmoral hotel di Belfast, quando aveva 14 anni, si è preso un pugno in testa da parte di un repubblicano cattolico.
«Mi è venuta una rabbia tale che sono salito sul ring e ho chiuso l’incontro in tre minuti» dice a Panorama «però, in fondo, si tratta di 10 anni fa». Ma proprio ora che il suo volto è dipinto su un muro tra gli eroi di Sandy Row, e che all’ingresso del quartiere non si è più accolti da un murale con un uomo armato in passamontagna ma da un più sobrio re Guglielmo III d’Orange, la violenza sta tornando a livelli di guardia. Poche ore prima di incontrare Joe, il cronista di Panorama si è trovato vicino alla scena di un regolamento di conti, o, come ha detto la polizia, a «un omicidio in stile paramilitare» avvenuto alle 8 di sera, a un miglio scarso dal quartiere protestante di Sandy Row.
In questi giorni, mentre Joe si prepara a combattere per il titolo nordirlandese dei pesi medi leggeri, c’è qualcun altro che invece si prepara per la guerra: un nuovo gruppo di terroristi antibritannici. Sono pochi, non più di qualche decina, e non godono del favore popolare su cui poteva contare la vecchia Ira. Eppure possono fare male e ci sono aree in cui sono largamente tollerati: West Belfast, Lurgan e la città di Derry, per esempio, loro principale roccaforte. A fine luglio si sono riuniti per fondere tre fazioni estremiste in un gruppo nuovo ma dal nome antico: Irish republican army, meglio nota come Ira.
Fino a pochi giorni fa per molti si trattava di una mezza farsa. Per i vecchi duri della resistenza repubblicana cattolica era una spacconata da ragazzini, niente di cui avere paura. Il re dello spaccio di Dublino, Eamon Kelly, li aveva sostanzialmente ignorati: sapeva di essere un loro bersaglio per avere fatto uccidere, a inizio settembre, un boss della vecchia Real Ira in pieno giorno. Kelly, per tutti «il Padrino», padre di nove figli, con un dente scheggiato da trent’anni per via di una rapina, si sentiva al sicuro. Ma la nuova Ira l’ha ucciso, nel pomeriggio del 4 dicembre, su un marciapiede del suo quartiere, nel nord di Dublino.
È un colpo che dà alla nuova Ira il premio più ambito: una sorta di credibilità. «Gli serviva un colpo in grande stile, per non sembrare insignificanti» dice a Panorama Hugh Jordan, che da decenni si occupa dei terroristi per il tabloid The Sunday World. La morte del boss, però, non basta a fare affermare la solita retorica antibritannica. A quarant’anni dalla Bloody Sunday, il cuore della gente è distante: «Abbiamo problemi più grandi, la disoccupazione, i tagli alla sanità portati dalla crisi economica, quartieri popolari con case che cadono a pezzi» è la risposta che si sente più spesso quando si chiede dell’Ira.
Eppure, è proprio grazie a questi problemi che il terrorismo trova nuovi adepti. «Per colpa della recessione molti dei nostri ragazzi non hanno un futuro, perciò le organizzazioni estremiste diventano per loro una scelta interessante » dice a Panorama Roisín McGlone, che ha passato trent’anni tra sindacati e rappresentanza politica di base nella West Belfast. Meglio ancora se i terroristi si propongono come un antistato più efficiente dello stato: «Ti dicono: “Hai subito un furto e la polizia sta ancora indagando? Non ti preoccupare, puniamo noi il ladro. Uno spacciatore rovina la vostra comunità? Lo sistemiamo noi”». È così che i nuovi estremisti provano a legittimarsi. Anche i duri della Provisional Ira, a metà anni Ottanta, quando si erano staccati dai compagni diventati troppo teneri, avevano iniziato uccidendo i narcotrafficanti. A Derry ora è nato perfino un gruppo specializzato: il Raad, Repubblican action against drug, cioè Azione repubblicana contro la droga.
«Sono violenze che non amo, ma che in un territorio occupato sono inevitabili» dice a Panorama un estremista repubblicano assai informato sulla nuova Ira. Si fa incontrare in un caffè e non vuole dire nemmeno il proprio nome di battesimo: «Va bene così, in prigione ci sono stato abbastanza. La prima volta mi hanno preso mentre raccoglievo informazioni segrete sul nemico». Come si fa a trovarle? «Beh» risponde, guardandosi attorno, «così», e fa il segno di un fucile con le mani. Secondo lui, le armi non sono mai state del tutto riconsegnate, come avrebbe previsto il processo di pace. «Ci servono. Come faremmo a difenderci altrimenti?» dice la fonte, accennando a una delle contraddizioni più palesi degli accordi di pace: solo i repubblicani hanno dovuto consegnare il loro arsenale.
In Irlanda del Nord, al momento, ci sono due gruppi paramilitari filobritannici armati di tutto punto, ai quali non sono state poste condizioni. «Ma non ci importa che loro restino armati» continua l’ex carcerato «per quanto ci riguarda ci sarà guerra finché gli invasori non se ne andranno. È nel nostro sangue, non possiamo negarlo: quelli che si rassegnano sono gli stessi che accettano paghe da fame e condizioni vergognose per la nostra gente». Quelli che stanno continuando la lotta, invece, «sono gli unici davvero sani di mente. Sono pochi ma molto ben organizzati. Alcuni vengono da gruppi riconosciuti, altri sono paramilitari della Provisional Ira delusi dalla rassegnazione dei loro compagni. Dispongono di armi ed esplosivi, che hanno imparato a usare grazie agli insegnamenti che passano di generazione in generazione». Come conferma a Panorama Andrew Sanders, autore di Inside the Ira, «si continuano a scoprire cariche esplosive. Negli scorsi mesi la polizia ha trovato un furgone pronto a esplodere, vicino al confine. La gente non vuole leggerne, perciò se ne parla poco, ma è in corso un pericoloso gioco al gatto e al topo tra agenti e terroristi, combattuto tutto sugli esplosivi».
I nuovi terroristi si mantengono come i vecchi: furti comuni, contrabbando, espedienti ingegnosi come il trattamento del diesel agricolo, che viene scolorito e rivenduto come gasolio normale a ignari automobilisti. «Il principio è molto semplice: rubiamo ai ricchi, costi quel che costi. Non importa di che confessione siano, quelle sono distinzioni che fanno i giornalisti» dice la fonte. I fatti gli danno ragione: spesso i civili derubati, o i poliziotti ammazzati, sono cattolici. D’altronde è più facile raccogliere informazioni sul loro conto, perché fanno parte della stessa comunità dei terroristi. «È un gioco a scacchi tra noi e gli invasori: loro ci arrestano senza alcuna prova, ci seguono anche quando andiamo all’estero, ci mettono pressione, e noi rispondiamo, colpo su colpo».
Il gioco può tornare a essere molto pericoloso: «La storia dimostra che finché gli inglesi non fanno atti sconsiderati, le tensioni non sfociano mai in una guerra aperta. Ma se in uno dei prossimi scontri la polizia deciderà di usare i proiettili di gomma, oltre ai soliti getti d’acqua, non sarà difficile che ci scappi il morto. I nuovi terroristi non aspettano altro: un morto in una rivolta darebbe loro tutto il sostegno che per ora gli manca» prevede Kevin Cooper, che da sindacalista e fotografo ha visto dall’interno decenni di proteste. C’era un’occasione interessante, per gli estremisti: la marcia del 29 settembre, con cui 30 mila orangisti hanno ricordato il centenario del loro patto di resistenza allo stato irlandese. Ma la celebrazione s’è svolta senza incidenti. La calma, in superficie, è durata altri due mesi. Poi, a inizio dicembre, il re della droga di Dublino è stato ammazzato dalla nuova Ira su un marciapiede, a due passi da casa. «Finora, nessun criminale si era preoccupato di questi nuovi terroristi» ha detto la polizia di Dublino, ma l’esecuzione del Padrino cambia i giochi: «È un messaggio chiaro, di qualcuno che vuole dire: “Ehi, qui adesso comandiamo noi”».