Francesco Grignetti, La Stampa 18/12/2012, 18 dicembre 2012
LE CARCERI SCOPPIANO MA DI PICCOLI DELINQUENTI
[Nei penitenziari il 41% dei detenuti in più della capienza, la maggioranza sconta pene fino ai 5 anni. Riusciranno governo e Parlamento a svuotare le celle?] –
Il foglietto è scivolato mestamente ieri sul tavolo del ministro della Giustizia, Paola Severino. Sono i numeri dell’emergenza carceraria. Aggiornati a domenica 16 dicembre. E dunque: presenti nelle carceri, 66.363 detenuti; di questi, 26.295 sono imputati in attesa di giudizio e 38.698 i condannati in via definitiva che scontano la pena. Il resto sono internati negli ospedali giudiziari. Numeri che vanno comparati con quella che è (sarebbe) la capienza regolamentare: 47.048 letti. Significa che ci sono quasi ventimila detenuti stipati in celle piccole o piccolissime, in letti a castello che spesso raggiungono il soffitto, impossibilitati a fare una decente ricreazione, esercitare qualche sport, o anche lavorare perché troppi e per di più molti spazi comuni sono occupati dai letti per «ospitare» gli arrivati dell’ultima ora.
È contro questa realtà allucinante che Marco Pannella sta portando avanti l’ennesimo sciopero della sete. Ma con questa stessa fotografia davanti agli occhi il ministro Severino sta tentando una rincorsa in extremis perché il Parlamento approvi in via definitiva un ddl, detto Pene alternative, in cui lei riponeva molte speranze per deflazionare le celle. Ha scritto nei giorni scorsi un’accorata lettera a Renato Schifani, in quanto il ddl è già stato approvato alla Camera e manca il suggello del Senato.
Con lei, a supportare il suo sforzo, è intervenuto una volta di più, ieri, il Capo dello Stato. Nel suo discorso, Giorgio Napolitano ha stigmatizzato che «importanti istanze di cambiamento e di riforma» rischiano di restare sulla carta. Ha esplicitato il suo rammarico che ci siano «opposizioni e ripensamenti tali da mettere in forse la legge già approvata alla Camera per l’introduzione di pene alternative alla detenzione in carcere». E non ha fatto mancare il suo monito, rivolto innanzitutto a quelle forze politiche come Lega Nord, Idv e parti del Pdl, che frenano: «Sta per scadere il tempo utile per approvarla al Senato. Ma con quale senso di responsabilità, di umanità e di civiltà costituzionale ci si può sottrarre a un serio, minimo sforzo per alleggerire la vergognosa realtà carceraria che marchia l’Italia?».
Che le carceri siano una vergogna, nessuno lo nega. Il sovraffollamento produce effetti mostruosi. I suicidi, ad esempio. Crescono a dismisura: negli ultimi 5 anni, sono 306 i detenuti che si sono tolti la vita. E ogni anno gli agenti di Polizia Penitenziaria (ed anche i compagni di cella) salvano oltre 1000 detenuti da morte certa, quasi sempre per impiccagione.
Depressione, angoscia, senso di abbandono, claustrofobia. I motivi che spingono una persona a farla finita sono tanti. Ovvio che una quotidianità da reclusi, aggravata da un eccesso di coabitazione, influisce negativamente. Angoscianti i numeri anche dei suicidi tra gli agenti della polizia penitenziaria: sono già 10 quelli che si sono uccisi dall’inizio dell’anno.
«La frequenza dei suicidi in carcere è venti volte superiore rispetto alla norma. Tra gli agenti penitenziari è il triplo rispetto alle medie dei cittadini normali e risulta anche la più elevata tra tutte le forze di polizia»: sono i dati di un Osservatorio permanente sulle morti in carcere, a cui aderiscono i Radicali Italiani, le associazioni «Il Detenuto Ignoto», «Antigone», «Buon Diritto», le redazioni di «Radiocarcere» e di «Ristretti Orizzonti».
Il tentativo della Severino è disperato, però, perché i tempi sono strettissimi. Oggi la commissione Giustizia del Senato comincerà l’esame del ddl e il suo presidente, Filippo Berselli, pur con tutta la comprensione, ritiene «difficilissimo» che si possa portare un testo in Aula prima della pausa natalizia.
Dopo, poi, sarà del tutto inutile perché lo scioglimento del Parlamento è ormai dietro l’angolo.
Eppure la Severino ci prova. Ieri, sentite le parole del Capo dello Stato, è subito ripartita alla carica: «Non posso che sottolineare l’importanza di questo messaggio». Se approvata, la legge sarebbe una mezza rivoluzione, perché afferma il principio che il carcere è solo l’extrema ratio della pena e prima vengono la detenzione domiciliare e l’affidamento in prova.
Ma i Radicali non ci credono e chiedono l’amnistia tout court. Dice polemicamente Rita Bernardini: «Credo che al ministero della Giustizia servirebbe qualcuno che sappia far di conto. Il provvedimento sulle pene alternative riguarda lo 0,3% dei detenuti, 254 persone. Ma di che stiamo parlando? Se ci vogliamo prendere in giro...».