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 2012  dicembre 18 Martedì calendario

L’URLO DISPERATO DI PANNELLA PER GLI ULTIMI

Pochi di noi sono scampati al sospetto che gli scioperi della fame e della sete di Marco Pannella servano al dimostrante per mettersi al centro delle sue stesse dimostrazioni. Ancora di meno sono scampati alla sensazione che le periodiche, reiterate e accavallate proteste siano soprattutto stucchevoli e lagnose, elencate quotidianamente con implacabile costanza dalla Radio radicale; che riguardino il leader o i suoi, in solitaria o a staffetta.
Sono sospetti e sensazioni che andrebbero messi alla prova - almeno oggi - delle disastrose condizioni di salute di Pannella, dopo sette giorni di astensione totale dal cibo e dall’acqua. Inoltre sono sospetti e sensazioni che avrebbero un senso se si parlasse di rimpiazzo dei giudici costituzionali o di riforma delle legge elettorale, ma non ne hanno alcuno poiché si parla cristianamente e laicamente dei diritti degli ultimi, i carcerati.
Anche in questo caso sembra prevalere nella discussione il «chi» o il «come» piuttosto che il «che cosa». Un erroraccio. Le questioni sono tali, e hanno una dignità o un rilievo indipendentemente da chi o come le sollevi. E se non fosse per Pannella, per il suo coraggio o cocciutaggine o persino vanità, chiamatela come volete, ci avvieremmo verso Natale a fauci spalancate, con la preoccupazione residua dello smaltimento del cotechino a fine feste. In quello stomaco così accogliente, invece e per fortuna, ci arriva il cazzotto di Pannella, a dieci anni esatti dalla visita di Giovanni Paolo II al Parlamento italiano a domandare agli eletti un gesto di carità verso i detenuti. Dieci anni dopo siamo alle solite. Il Libro Verde sull’applicazione della normativa Ue sulla giustizia penale elenca i dati vergognosi. La popolazione carceraria oggi è di circa settantamila detenuti; di questi, il 43/44 per cento sono in attesa di giudizio. Significa che oggi abbiamo in galera trentamila persone tecnicamente innocenti. Pare poco? La media europea è del 28 per cento. Quella tedesca - Paese con una certa tradizione di severità - è del 15 per cento. Ci si può divertire anche coi numeri sul sovraffollamento. In Italia, la densità penitenziaria in rapporto con la capacità ufficiale è del 153 per cento; traduzione: ogni due carcerati ce n’è uno di troppo. Peggio di noi, in Europa, c’è soltanto la Bulgaria col 155 per cento, mentre la media continentale è del 107 per cento e in Germania dell’89. Coltivare la pretesa costituzionale (a proposito della Costituzione più bella del mondo) della rieducazione del reo in celle dove ci si mette i piedi in testa, dove si dorme uno sopra l’altro, si va al bagno en plein air, è effettivamente un bella pretesa.
Alla disperata richiesta pannelliana dell’amnistia si replica ancora oggi che sarebbe meglio costruire nuove prigioni, sebbene non le si costruiscano da mai: quelle vecchie si inzeppano sempre più, fino al primo abborracciato provvedimento di clemenza e la storia va avanti da decenni, in condizioni che si definiscono disumane ormai in automatico, che si fa fatica a iscrivere alla voce che gli compete, la voce «tortura». Il nostro Grande Capo radicale ci ha ricordato l’obbrobrio, ed è un risultato pagato caro ma raggiunto. Almeno qualcuno ne parla. E sarebbe davvero ora - che bella speranza natalizia - di ragionare seriamente sui reati, se tutti debbano davvero comportare la detenzione in carcere, se qualcuno non sia espiabile ai domiciliari, su quali pene alternative vogliano introdurre, su quali depenalizzazioni siano percorribili. Un Paese che si pretende civile non ha il diritto di essere fuorilegge e tantomeno di eludere una questione soltanto perché è poco popolare. Che ci abbia obbligato a scriverlo, è un merito di Pannella scolpito nel marmo.