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 2012  dicembre 16 Domenica calendario

Ecco le città italiane «senza Stato» - Tutti noi siamo abituati a pensare che l’orga­nizzazione degli ag­glomerati urbani non possa prescindere dalla regola­mentazione pubblica: sia essa dettata dal Comune, da altri enti locali o anche dallo Stato, nel­l’opinione comune l’operatore pubblico è necessario per garan­tire l’esistenza stessa di una civi­le convivenza nei borghi e nelle città

Ecco le città italiane «senza Stato» - Tutti noi siamo abituati a pensare che l’orga­nizzazione degli ag­glomerati urbani non possa prescindere dalla regola­mentazione pubblica: sia essa dettata dal Comune, da altri enti locali o anche dallo Stato, nel­l’opinione comune l’operatore pubblico è necessario per garan­tire l’esistenza stessa di una civi­le convivenza nei borghi e nelle città. Al contrario, ciò non è un re­quisito essenziale: possono esi­stere città «senza Stato», cioè rag­grup­pamenti di edifici e di perso­ne che sono retti da regole ( urba­nistiche, di convivenza civile, condominiali) non dettate da au­torità pubbliche, ma formate pri­vatisticamente, attraverso il con­senso che si esprime in atti giuri­dici privati, tendenzialmente in «contratti». Negli Usa, in particolare, 57 mi­lioni di persone vivono in città, borghi e territori non ricompresi in comuni. Non hanno un sinda­co, non hanno un consiglio co­munale, nondimeno vivono in modo civile, retti da regole che scelgono privatisticamente. Il si­stema normativo americano, in verità, permette ciò che in Italia è impossibile: in USA un territorio deve necessariamente es­sere parte di una Con­tea e di uno Stato, ma non di un Co­mune. In Italia, invece, ai sensi dell’art.114 del­la Costituzione ogni territorio de­ve essere parte di un Comune, di una Provincia e di una Re­gione, senza eccezioni. Ad ogni modo, questi 57 milioni di pazzi libertari risiedono in realtà riconducibili a due forme giuridi­che rient­ranti nella sfera dell’au­tonomia privata. In un primo mo­dello gli abitanti sono «inquili­ni »: gli immobili sono di proprie­tà di un soggetto unico (un’asso­ciazione, una società di cui gli abi­tanti sono titolari di una quota o una fondazione) e sono concessi in uso/abitazione/locazione. Nel secondo modello, invece, gli abitanti sono proprietari degli immobili in cui vivono e sono comproprietari dei beni comuni (strade, aiuole, ma anche centri ricreativi…): di fatto si tratta di enormi condomini, che, però, non sono vincolati ad una nor­mativa preconfezionata dalla legge (com’è in Italia per i condo­mini, appunto) e possiedono re­golamenti che ne delineano spes­so forme organizzative molto complesse, più assimilabili a grandi società o associazioni. Le dimensioni non contano. Vi so­no piccoli borghi, ma anche città di medie dimensioni (50-60mila abitanti): ciò che li accomuna è essere disciplinati da regole di na­tura privatistica ( pur dovendo co­munque sottostare alle norme dettate dalle Contee dagli Stati e dall’Unione). Si tratta, alla fine dei conti, di «costituzioni priva­te » da cui promanano «leggi pri­vate ». In quanto enti privati non possono andare impunemente in rosso: in questi ordinamenti la spesa pubblica insostenibile non esiste. E, formalmente, non è nemmeno pubblica, ma collet­tiva. Può sembrare incredibile, ma qualche interessante esempio di città privata esiste anche in Italia, nonostante il territorio nazionale debba essere necessariamente suddiviso in Comuni e un mare di norme (pubbliche: statali, regio­nali, provinciali e comunali) urba­nistiche vincoli ogni pietra. Il primo caso meritevole di es­sere menzionato è San Felice, cioè un agglomerato urbano (un quartiere?) suddiviso sul territo­rio di tre comuni lombardi (Se­grate, Pioltello e Peschiera Borro­meo), sorto a partire dai primissi­mi anni Settanta del XX secolo. Giuridicamente si tratta di un condominio, o, per essere più precisi secondo la giurispruden­za ormai consolidata, un «super­condominio », cioè un condomi­nio a propria volta formato da condominî, avente ad oggetto le strade, le piazze, le aiuole, i par­chi, nonché un impianto termi­co centralizzato. Essendo situa­to in Italia ed essendo un condo­minio, San Felice è collegato al modello del condominio sanci­to dal codice civile, così come si deve ricordare che anche il terri­torio di questo «quartiere» è ri­compreso nei piani urbanistici dei tre comuni cui afferisce: la particolarità non sta nel modello organizzativo (vi è comunque un amministratore e un consi­glio di amministrazione, ma, lo­gicamente, in una realtà di que­ste dimensioni, le elezioni del consiglio di amministrazione so­no percepite quasi alla stregua di elezioni del consiglio comuna­le), quanto nell’entità cui il mo­dello condominiale giunge con­cretamente. I beni ricompresi in condominio non sono solo le sca­le o le canne fumarie, e neanche solo le strade e le piazze, ma un’intera centrale termica e un servizio di guardie private. Ciò di­mostra come anche in un qua­dro giuridico fortemente limitati­vo, in cui i privati non hanno la fa­coltà di decidere le regole che più preferiscono, ma sono costretti ad adottare solo limitatissime va­riazioni sul tema unico dettato dal codice civile, il modello del condominio possa essere utiliz­zato ­come forma sostanzialmen­te alternativa rispetto al modello dell’ente pubblico locale. Il secondo esempio italiano di città volontaria dimostra come l’inventiva priva­ta vada sempre ol­tr­e i limiti e gli argi­ni fissati dal dirit­to pubblico: si tratta del caso della frazione di Partigliano, sita nel comune di Bor­go a Mozzano, in provincia di Lucca. Qui, formalmente, non esi­ste una struttura associativa- con­dominiale, né alcuna forma di contratto/costituzione privata. Partigliano è una frazione di un comune: vi risiedono circa 250 abitanti. Ciò che fa di questa realtà un’eccezione e un modello sui ge­neri­s di città volontaria è la meto­dologia di gestione dei servizi: di fatto, a Partigliano i servizi pubbli­ci sono forniti dai privati attraver­so il modulo associativo. Tutto scaturisce dall’interazione di cir­ca una decina di associazioni: si va dall’associazione dei donatori di sangue, che collabora per orga­ni­zzare le analisi del sangue a do­micilio, sino alla società di mu­tuo soccorso, che organizza l’assi­stenza dei soci in ospedale; dalla pulizia delle strade e la spalatura della neve sino alle gestione del campo da bocce e di un edificio multifunzionale, di cui si è incari­cato il circolo ricreativo. Ma la prospettiva in cui si muove la rete di servizi offerta dalle associazio­ni partiglianine è ancor più am­pia: da qualche tempo nel borgo si medita di trasformare l’ex cano­nica (di proprietà della diocesi) in una casa di riposo per gli anzia­ni del paese, gestita da alcune as­sociazioni in collaborazione tra loro. Non solo servizi «urbani», quindi, ma anche servizi sociali, quelli per cui lo Stato, nella vulga­ta socialdemocratica, sarebbe as­solutamente necessario; ciò, a sua volta, significa anche occupa­zione, quella che, sempre nella vulgata socialdemocratica, do­vrebbe essere creata e sostenuta dalla spesa pubblica.