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 2012  dicembre 18 Martedì calendario

Un recente rapporto della Pearson sui sistemi educativi certificava quanto il livello dell’istruzione in Italia sia precipitato, se è vero che il nostro Paese si colloca al ventiquattresimo posto tra i cinquanta presi in considerazione

Un recente rapporto della Pearson sui sistemi educativi certificava quanto il livello dell’istruzione in Italia sia precipitato, se è vero che il nostro Paese si colloca al ventiquattresimo posto tra i cinquanta presi in considerazione. Si è già accennato al doppio fenomeno dell’analfabetismo di ritorno e dell’analfabetismo funzionale: pare, secondo i dati Ocse, che quasi il 70 per cento degli italiani non sia in grado di leggere e scrivere se non testi di livello elementare. A scanso di equivoci, è bene sottolineare che non si tratta di persone ai margini sul piano economico-sociale, ma di cittadini che, pur avendo un conto in banca e pur occupando ruoli importanti della società, non sono (più) capaci di comprendere ed elaborare criticamente testi complessi: discorsi, opere teatrali, articoli di giornale, romanzi, saggi (non a caso le classifiche di vendita vedono ormai il primato dei para-libri). È ovvio che tutto ciò dovrebbe preoccupare i nostri governanti, ma la sordità politica a questi temi fondamentali per la qualità della democrazia è una malattia che, alla resa dei conti (cioè al netto dei proclami), tocca l’intero arco parlamentare o quasi. Questi numeri sono stati ripresi e analizzati con efficacia da Arturo Marcello Allega, preside dell’Istituto Tecnico Giovanni XXIII di Roma, che da anni si occupa di modelli educativi. Nel suo libro Analfabetismo: il punto di non ritorno (Herald Editore), Allega offre un contributo ulteriore sull’argomento: egli mostra, attraverso una proiezione matematica, quali potranno essere gli scenari futuri qualora i dati Ocse venissero confermati nei prossimi anni. Se la crescita esponenziale dei cosiddetti «dealfabetizzati» (iniziata dal 2001) continuerà di questo passo anche grazie all’effetto «contagio», gli «istruiti» diventeranno stabilmente meno numerosi dei «non istruiti» (che disporranno comunque di una avanzatissima preparazione tecnico-scientifica): è peraltro una forbice, molto simile a quella precedente la Seconda guerra mondiale, che già dal 2006 si configura come «punto di non ritorno». Con l’aggravante che oggi per lo più l’analfabetismo è vissuto inconsapevolmente. Certo, si dirà che parlare di «non istruiti» è una semplificazione da umanisti ammuffiti (ancora — peggio per loro! — convinti del primato cognitivo della lettura tradizionale, su carta, per esempio), poiché la diffusione delle nuove tecnologie e della comunicazione web in realtà non ha prodotto neoanalfabeti tout court ma «nuovi alfabeti» o «nuovi barbari» che dir si voglia. Sarà, ma la curiosa conseguenza che Allega avverte come devastante è quella sorta di «selezione sociale» per cui i «non istruiti» godranno di notevoli vantaggi rispetto a quelli che possiedono una cultura capace di elaborazione critica. Tutto ciò non può che frustrare anche il più apprezzabile impegno degli educatori, inevitabilmente percepiti come anacronistici e tutto sommato inutili. Bisognerà vedere se per renderli più attraenti basterà una lavagna elettronica o un ebook?