Massimo Nava, Corriere della Sera 18/12/2012, 18 dicembre 2012
In Francia, ci fu un tempo in cui i ricchi scappavano all’estero per evitare la furia dei sanculotti e la ghigliottina
In Francia, ci fu un tempo in cui i ricchi scappavano all’estero per evitare la furia dei sanculotti e la ghigliottina. In epoca hollandiana, si fugge dal Fisco, anche se per i fuggitivi si usa la formula più gentile di «esilio fiscale», che evoca una certa compassione dell’anima, come per Napoleone all’Elba. Pur essendo oggettivamente triste lasciare Parigi, è però un diritto, conquistato a colpi di laute consulenze fiscali, da cui poveri e ceti popolari sono esclusi. L’ultimo eccellente «espatriato» è Gérard Depardieu, gloria del cinema nazionale, messo alla berlina dal governo socialista e dall’opinione pubblica. Accusato di scarso patriottismo e ingratitudine, se si considera che deve il suo successo anche a un modello d’industria culturale e cinematografica ampiamente finanziato con denaro pubblico, l’attore si difende ricordando di avere versato allo Stato nei suoi anni di carriera ben 140 milioni di euro, il che non gli impedisce di mettere in vendita la sua residenza parigina per 50 milioni. Al di là del giudizio etico (o del moralismo) la decisione di Depardieu ha riacceso le polemiche sul trattamento che la Francia socialista riserva ai più abbienti e messo allo scoperto il nervosismo del governo, di fronte a conseguenze controproducenti di scelte ideologiche, oltre che politiche. Di fronte a milioni di poveri (otto milioni di francesi sono considerati poveri, con un reddito medio di 964 euro mensili) e disoccupati, la Francia di oggi esalta un dovere di solidarietà fiscale presso le grandi fortune del Paese (che continuano a godere buona salute) e presso imprenditori e top manager i cui stipendi sono sostanzialmente in linea con i più importanti Paesi industriali. I compensi di manager di imprese quotate in Borsa (il Cac 40) sono addirittura cresciuti del 4 per cento, nonostante la crisi, con una media di 4,6 milioni di euro all’anno. Quella del governo è stata dunque una scelta consapevole, che mira a proteggere ceti più deboli e ceti medi, certamente più colpiti in Spagna, Grecia e Italia dalla crisi economica e dalla recrudescenza fiscale. Ma va da sé che le supertassazioni rischiano di favorire le fughe, di contribuenti e capitali, più che l’aumento degli introiti statali e degli investimenti produttivi. Colpire i ricchi per calmare la rabbia dei poveri può essere una seducente promessa elettorale, ma non risolve i problemi di un Paese con oltre tre milioni di disoccupati che anziché esportare prodotti rischia oggi di essere «esportatore» di imprese, capitali e cervelli. La questione delle tasse si somma infatti agli esorbitanti costi del lavoro, alle resistenze dell’apparato pubblico per il «dimagrimento dello Stato», ai costi della politica e ai maldestri propositi di «nazionalizzazione» d’imprese, come nel caso delle acciaierie Mittal. Va detto che il presidente Hollande ha messo in cantiere anche importanti misure per la crescita, riforme per il lavoro e l’impresa, e risanamento della macchina pubblica, ma l’immagine percepita della Francia di oggi è giacobina e giustizialista. Il caso Depardieu, come il caso di Bernard Arnault (il patron di Lvmh), sono soltanto i più clamorosi fra decine (e forse centinaia) di propositi di trasferimento all’estero in corso d’opera. Si calcola che fra i duecentomila francesi residenti in Belgio, duemila lo siano per ragioni fiscali. Basta inoltre osservare l’andamento del mercato immobiliare parigino, con prezzi in calo e molti grandi appartamenti residenziali in vendita. Non fuggono soltanto super ricchi, ma anche manager che contrattano con le imprese multinazionali luogo di lavoro e residenza fiscale. La maggioranza, come Depardieu, sceglie il Belgio, per la vicinanza al confine francese e i collegamenti con Parigi, ma molti si dirigono in Svizzera, in Gran Bretagna, in Marocco e qualcuno persino in Italia, Paese in cui, oltre a qualche vantaggio fiscale rispetto alla Francia, è noto che si può ancora evadere, come dimostrano gli ultimi dati della Guardia di Finanza, nonostante la recrudescenza dei controlli. Al di là delle polemiche, il problema è all’ordine del giorno del governo francese, anche perché alcune misure (come la famosa tassazione del 75 per cento sui redditi oltre il milione) potrebbero saltare per vizio di costituzionalità, apparendo non «fiscali» ma «confiscatorie». Ma la riflessione non riguarda solo la Francia, bensì nel suo complesso l’armonizzazione fiscale dei Paesi europei. Le tasse troppo alte possono essere considerate un’ingiustizia, indipendentemente dal reddito del contribuente. La possibilità per una cerchia di abbienti di scegliere — in Europa — dove pagarne di meno può essere un’ingiustizia più grande. Danneggia il proprio Paese ed è una beffa per chi non può farlo. mnava@corriere.it