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 2012  dicembre 17 Lunedì calendario

«UNA MILIZIA BEN ORGANIZZATA»

«Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una milizia ben organizzata, non si potrà violare il diritto dei cittadini di possedere e portare armi», ovvero, nell’originale:
«A well regulated Militia, being necessary to the security of a free State, the right of the people to keep and bear Arms, shall not be infringed».
Il secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America, insieme agli altri primi nove emendamenti (il cosiddetto Bill of Rights), entrò in vigore il 15 dicembre 1791.
Era ispirato alla Dichiarazione dei diritti inglese di oltre cento anni prima, che ristabiliva, per i protestanti, il diritto ad avere armi che era stato loro tolto dal filocattolico Giacomo II. E chiaramente prendeva atto e regolamentava una situazione che c’era già: molti americani, per passione o per necessità, avevano un fucile.
Il “padre della Costituzione” James Madison, quarto presidente degli Stati Uniti, avrebbe voluto una formulazione ancora più chiara nel permettere ai cittadini il diritto individuale a possedere armi. Le preoccupazioni del partito antifederalista, che si opponeva a un forte governo centrale, erano soprattutto quelle che si creasse un esercito federale troppo forte, che avesse il monopolio dell’azione militare.

Alla fine del Settecento, negli Stati Uniti che stavano nascendo, gli eserciti stabili erano visti come una cosa da europei oppressori, mentre in aree in cui gli attacchi degli Indiani o dei banditi o perfino di altri stati succedevano con discreta frequenza non si poteva stare ad aspettare l’esercito federale (che venne creato proprio in quel periodo).

Ci volevano milizie locali, gestite dai singoli stati. Molto spesso i soldati delle milizie dovevano comprarsi i fucili da soli: ma nella maggior parte dei casi li avevano già, mentre le pistole non si diffusero fino a dopo che Samuel Colt depositò il brevetto che lo avrebbe reso ricco, nel 1836. Ancora oggi, ogni stato americano ha la sua Guardia nazionale, che discende da quelle milizie.

Pochi giorni fa si è celebrato ufficialmente il 221esimo anniversario del Bill of Rights, secondo emendamento compreso. Negli Stati Uniti ci sono circa 300 milioni di armi da fuoco detenute da privati, per una popolazione di più o meno 315 milioni di abitanti: quasi una a testa, bambini compresi (ma se contiamo anche le armi dell’esercito, il rapporto 1:1 si supera abbondantemente). Circa 106 milioni sono pistole, poco meno sono fucili, 83 milioni sono fucili a canna liscia, di quelli che sono pensati per essere caricati a pallini o a pallettoni e che sono particolarmente diffusi, per esempio, tra i cacciatori.

Si dice spesso che il diritto di portare armi è fissato in modo chiaro e sicuro dalla Costituzione americana: ma è davvero così? Una frase di ventisette parole costituisce realmente il fondamento giuridico indiscutibile perché negli Stati Uniti non sia illegale, in teoria, neppure comprare un mitragliatore?

La risposta a questa domanda è probabilmente no. Ma il perché è complicato, molto più del cartone animato di Michael Moore in Bowling at Columbine. Per cominciare a capirci qualcosa, è venuto il momento di cedere la parola a un certo David Keene: «Se nel 1968 qualcuno avesse chiesto se nel 2012 avremmo avuto il diritto di fare con le armi quello che possiamo fare oggi, nessuno, da una parte e dall’altra [del dibattito di allora sulle armi] ci avrebbe creduto». David Keene, 67 anni, è stato per ventisette anni (fino al 2011) il presidente della National Rifle Association, la lobby americana delle armi.

Sparatoria all’OK Corral
Che cos’è successo tra il 1791 e il 1968, allora? Dal punto di vista delle armi, in un certo senso, è una storia noiosa. La necessità di milizie armate e pronte all’azione cominciò a diventare meno sentita; l’esercito degli Stati Uniti prese lentamente il monopolio della forza e per circa duecento anni del Secondo emendamento, semplicemente, non si parlò, non si litigò e non si discusse per niente.

In parecchi stati si cominciò a vietare di portare con sé armi da fuoco in pubblico, se nascoste. Saltiamo per un momento in avanti: oggi solo l’Illinois vieta il cosiddetto concealed carry (portare armi “di nascosto”, appunto), mentre in tutti gli altri è possibile, con vari permessi, e in quattro senza nessun permesso. Ma ai primi dell’Ottocento lo si cominciò a vietare, perfino nelle città e nei paesini del selvaggio West.

La più celebre sparatoria della storia americana, quella all’OK Corral, cominciò nel primo pomeriggio del 26 ottobre 1881 perché Tom McLaury non aveva depositato la pistola nell’ufficio dello sceriffo di Tombstone, in Arizona, e i fratelli Earp, che avevano già motivo di antipatia con lui e i suoi, ebbero così una buona occasione per sparare. I regolamenti del tempo dicevano quasi dappertutto che all’arrivo in città bisognasse lasciare le armi alle autorità, in cambio di regolare ricevuta. E quindi, lo spirito dei pionieri? Pionieri sì, ma disarmati, o almeno meno armati di oggi.

Qui entra in gioco il cattivo della nostra storia, la National Rifle Association, forse la più famosa lobby del mondo. La NRA fu fondata nel 1871 a New York da un avvocato e da un ex giornalista del New York Times. Anche in questo caso, la nostra storia rischia di restare impigliata nella noia: per gran parte della sua esistenza, la NRA non fu altro che un’associazione sportiva e venatoria. Sosteneva qualche battaglia politica, ma un ottimo articolo di Jill Lepore sul New Yorker di qualche mese fa – a cui la parte storica di questo pezzo è molto debitrice – elenca una lunga serie di dichiarazioni di responsabili dell’NRA che sono di straordinario buon senso, fino agli anni Sessanta.

L’NRA appoggiò il National Firearms Act del 1934, uno dei provvedimenti più importanti nella storia del controllo delle armi negli Stati Uniti, e poi anche il Federal Firearms Act del 1938, che imponevano una serie di licenze necessarie per i venditori di armi e di tasse molto costose per i possessori. Quella principale richiedeva il pagamento di 200 dollari (l’equivalente di qualche migliaia di dollari oggi) per molti tipi di arma, tra cui mitragliatori e fucili a canne mozze. La morte di sette persone nel massacro di San Valentino, quando la banda di Al Capone si scontrò contro i rivali irlandesi di Bugs Moran a Chicago, aveva fatto molta impressione. Secondo alcuni, ebbe il suo peso anche la fine del Proibizionismo nel 1933 e la necessità di dar da lavorare agli agenti dell’agenzia investigativa federale di J. Edgar Hoover, che da lì a poco sarebbe diventata l’FBI.

Contro il National Firearms Act ci fu un ricorso davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti e per la prima volta il tribunale fu chiamato ad esprimersi sul Secondo emendamento. Il ricorrente del celebre caso U.S. vs Miller era un rapinatore di banca, Jack Miller, che era stato trovato con un complice mentre portava armi dall’Oklahoma all’Arkansas e si era appellato alla Costituzione.

La posizione del governo era che il Secondo emendamento non garantisse l’innocenza di Miller, dato che era «limitato al possesso e al porto d’armi da parte del popolo inteso nella sua collettività, per la sua difesa e sicurezza comune», parlando esplicitamente di un utilizzo esclusivo delle armi nella milizia «o in altre organizzazioni militari» controllate dallo stato. Nel maggio del 1939 la Corte dette ragione al governo all’unanimità e stabilì che, «in assenza di qualsiasi prova» in senso contrario, il fucile a canne mozze che era stato trovato con Miller non aveva niente a che fare con la milizia di cui parlava la Costituzione.

Miller avrebbe potuto portare le prove e sarebbe stato certamente un seguito interessante; ma per rendere questo caso notevole ancora più notevole, era stato trovato morto nell’aprile del 1939, ucciso con diversi colpi di arma da fuoco e accanto alla propria arma.

Passarono molti anni e si arrivò a un altro fatto violento: l’uccisione del presidente John Fitzgerald Kennedy, nel 1963. L’assassino, Lee Harvey Oswald, aveva comprato per corrispondenza l’arma del delitto, un residuato bellico italiano (costava 19 dollari e 99). Cinque giorni dopo, venne approvata una legge che limitava la vendita per corrispondenza di armi. Il vicepresidente dell’NRA testimoniò davanti al Congresso e disse: «Non pensiamo che nessun americano sano di mente, che chiami se stesso americano, possa obiettare all’inserimento in questa legge dello strumento che ha ucciso il presidente degli Stati Uniti». Per fare un altro breve salto in avanti, la politica ufficiale dell’NRA è di non fare dichiarazioni pubbliche su nessuna sparatoria.

Poi venne il movimento per i diritti civili degli anni Sessanta, diritti spesso difesi in tribunale, e le cose cominciarono a cambiare. Nel lessico del movimento per la liberazione dei neri iniziò a farsi strada la volontà di chiedere il diritto di portare armi per motivi di autodifesa: «L’articolo numero due degli emendamenti costituzionali dà a me e a te il diritto di possedere un fucile», disse Malcolm X in un discorso del 1964.

Ma ci furono altri omicidi che cambiarono la storia americana e le leggi vennero ancora ristrette, anche per arginare quello che era percepito come un problema di crescente tendenza alla violenza da parte della comunità nera. Nel 1968 vennero uccisi Robert Kennedy e Martin Luther King. Il Gun Control Act di quell’anno colpì principalmente il trasporto di armi da uno stato all’altro, proibì l’acquisto di armi per posta e lo limitò per chi aveva precedenti penali gravi. Anche l’NRA – associazione che, per usare un eufemismo, non era molto vicina alla causa dei neri – appoggiò le nuove norme, che nonostante i punti critici «sembrano essere tra quelle con cui gli sportivi d’America possono convivere», diceva uno dei responsabili dell’epoca.

Pochi anni dopo, la lobby cambiò opinione e sembrò aver sottoscritto la frase di Malcolm X di qualche anno prima: ne fece una questione di diritti, all’interno di una campagna più ampia di difesa contro il ruolo troppo ampio del governo. In pochi anni si passò a parlare di difesa della Costituzione (uno degli slogan che oggi è più usato dall’NRA, oltre che dall’estrema destra statunitense), diritto all’autodifesa, libertà dell’individuo.

Il motivo principale per cui l’NRA decise di adottare quella retorica e quegli slogan era soprattutto politico. Nel 1975 l’NRA creò un istituto con l’obiettivo preciso di influenzare le decisioni dell’amministrazione, l’Institute for Legislative Action che anche oggi è vivo e attivo. Alla fine degli anni Settanta, sulla sede del palazzo della NRA c’era un nuovo motto: “Non si potrà violare il diritto dei cittadini di possedere e portare armi”. Quello davanti alla sede precedente, scelto nel 1957, era decisamente meno bellicoso: “Educazione alla sicurezza, allenamento alla precisione, tiro per svago”.

Ronald Reagan fu il primo presidente ad essere eletto col sostegno dell’NRA e durante i suoi due mandati ci fu la vera e propria svolta, dal punto di vista delle leggi sulle armi (e del partito repubblicano, tra l’altro). Nel 1982 un rapporto commissionato dalla sottocommissione sulla Costituzione ripercorse la storia del Secondo emendamento e “riscoprì” che il testo garantiva il diritto “individuale” del cittadino americano di portare armi per proteggere “sé stesso, la propria famiglia e le proprie libertà”. Il lungo rapporto aveva un titolo eloquente e faceva capire subito dove era stato messo l’accento: “Il diritto di possedere e portare armi”. Sulla base di quella “riscoperta” venne approvato nel 1986 il Firearms Owners Protection Act.

Rileggiamo il testo dell’emendamento:

«Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una milizia ben organizzata, non si potrà violare il diritto dei cittadini di possedere e portare armi»

Il dibattito intorno al Secondo emendamento si è sviluppato intorno alla seguente questione di interpretazione, ora risolta in un senso, ora risolta nell’altro: l’emendamento intende dire che il diritto a portare armi è dato ai cittadini con il fine di creare una milizia, oppure le milizie sono state create come conseguenza del fatto che il popolo americano ha il diritto di portare armi?

Veniamo agli anni recenti, quando ci sono stati sviluppi molto importanti, anche se poco promettenti agli occhi di noi europei. Due sentenze della Corte suprema negli ultimi quattro anni hanno stabilito che l’interpretazione dei conservatori è quella giusta.

Nel 2008, nella sentenza District of Columbia vs Heller, i giudici del tribunale hanno deciso con una stretta maggioranza di 5 a 4 che il regolamento sul controllo delle armi del District of Columbia era incostituzionale, dato che, come dice la sentenza, «il Secondo emendamento protegge il diritto individuale del possesso di un’arma da fuoco, non connesso al servizio in una milizia». E quindi il regolamento del distretto federale non poteva imporre, per esempio, che le armi fossero custodite a casa, sotto chiave e parzialmente smontate. Due anni dopo, con un’altra sentenza per 5-4 (McDonald vs Chicago) l’interpretazione è stata estesa ai cinquanta stati americani, obbligando le legislazioni statali ad adeguarsi.

La storia americana insegna che le sentenze della Corte suprema non sono un verdetto che rimane scolpito nella pietra, in eterno. Ma le ultime due decisioni della corte in materia di armi sono inequivocabili.
Le leggi
Dal 1980 a oggi, negli anni della pesante attività di lobbying dell’NRA, 44 stati hanno approvato leggi che permettono di circolare in pubblico con un’arma nascosta, mentre prima di allora solo cinque ne avevano una.

Nel 2005 c’è stata una nuova invenzione nel campo del diritto a portare armi e, in questo caso, proprio a sparare. Quell’anno, la Florida ha approvato la cosiddetta legge “Stand Your Ground”, in realtà un’estensione del principio della difesa della propria abitazione. La legge prevede che non si possa iniziare un’azione penale nei confronti di chi utilizza un’arma contro qualcuno che lo attacca, anche se ha la possibilità di fuggire dall’assalitore. Ha effetto in qualunque luogo una persona si trovi e non solo nella propria abitazione. Ventiquattro stati hanno approvato una legislazione simile.

Questo per quanto riguarda il diritto di usarle: ma il problema sta anche nel diritto di comprarle. Infatti, l’85 per cento delle oltre sessanta stragi effettuate con armi da fuoco negli ultimi trent’anni è stata fatta con armi che erano state acquistate regolarmente dal killer. Non da parenti o prestanome, ma dall’uomo che ha premuto il grilletto. Qui si viene a trattare di un altro luogo comune sugli Stati Uniti, quello del “entro al supermercato, esco con un fucile”: che, almeno in parte, non è vero.

Nella maggior parte degli stati per comprare un’arma è necessario un permesso, che richiede anche di aver completato un corso di addestramento sulla sicurezza delle armi da fuoco. In concreto, i corsi costano poche decine di dollari e nei centri autorizzati possono essere completati in un giorno. C’è però un problema grosso come una casa: le armi possono essere comprate non solo dai rivenditori autorizzati ma anche nelle fiere specializzate, i gun show, oppure attraverso un rapporto diretto venditore-compratore.

È il cosiddetto gun-show loophole, la “scappatoia” delle fiere, che produce un metodo per fare acquisti senza nessun controllo o quasi. Negli Stati Uniti ci sono circa cinquemila fiere delle armi ogni anno e circa il 40 per cento di tutti gli acquisti di fucili e pistole passa da questo canale.

Detto questo, le legislazioni dei singoli stati americani sono molto varie e molto complicate, sia sul tipo di armi che sul modo del loro utilizzo. Queste per esempio sono quelle del Connecticut, per farsi un’idea: un labirinto di commi e definizioni, mentre una visualizzazione più schematica complessiva è qui. A volte le leggi si fanno anche a livello cittadino. Ad ogni modo, pistole e fucili a canna liscia sono legali quasi dappertutto. In diversi stati i fucili d’assalto sono illegali (come in California, Hawaii, New Jersey, Massachusetts e New York): ma le difficoltà di definizione sono così grandi che quasi ovunque si procede a elencare i singoli modelli fuori legge. Questo genera comprensibilmente problemi e in diversi casi armi equivalenti ma di diversi produttori sono a volte legali e a volte no, perché alcune sono finite nelle liste e altre sono sfuggite.

E cambia anche come si possono usare, le armi. In alcuni stati, come in Florida, non è necessario registrarsi per possedere una pistola, mentre in altri bisogna farlo. In alcuni stati è vietato portare una pistola carica; in altri ancora si può fare con un permesso; in Kentucky, per esempio, è perfettamente legale portare un’arma anche all’aperto, se è ben visibile (ma luoghi di lavoro e negozi possono vietare l’ingresso a chi lo fa).

Ma è chiaro per tutti che nessuno dei cinquanta stati americani può vietare completamente di possedere armi e che le limitazioni devono fare i conti con le sentenze della Corte suprema.

E la Svizzera?
È possibile che un paese pieno di armi abbia in realtà un basso tasso di omicidi? Nel caso ve lo stiate chiedendo, la risposta alla domanda è no. Nei paesi che hanno più armi, mostrano tutte le ricerche (alcune qui) c’è un maggior numero di omicidi, in percentuale, rispetto ai paesi che ne hanno meno.

L’esempio della Svizzera vale solo fino a un certo punto: è vero che nel paese c’è una solida cultura delle armi (la Svizzera, notoriamente, non ha un esercito stabile) e che dopo il servizio militare e il periodo in cui rimangono a disposizione come riservisti (fino a 30 anni) i cittadini possono tenere l’arma d’ordinanza, se ne fanno richiesta e pagando l’equivalente qualche decina di euro. Ma le armi non possono essere automatiche e devono essere tenute – parzialmente smontate – all’interno della casa, con poche eccezioni. C’è una crescente tendenza a custodirle in depositi autorizzati gratuiti e dal 2007 non è più possibile tenere in casa le munizioni militari, neppure per i riservisti.

Intanto che ci siamo, un altro fatto apparentemente ovvio e in effetti vero è questo: leggi meno restrittive sull’acquisto di armi portano in effetti a un maggior numero di armi in circolazione e quindi a più omicidi, oltre a più morti accidentali causate da armi da fuoco.

La verità fondamentale e banale è questa: se ci sono armi in giro, la gente è portata a usarle. In Israele, ai soldati in congedo per il fine settimana veniva permesso fino a pochi anni fa di portarsi dietro le armi, ma i regolamenti sono stati cambiati perché si era osservato un aumento del 60 per cento dei suicidi dei soldati nel weekend rispetto al resto della popolazione. Per tornare all’esempio della Svizzera, la percentuale di suicidi è molto più numerosa rispetto a tutti i paesi confinanti che non permettono di custodire a casa le armi dell’esercito.

Le stragi
Poi ci sono i casi che riaprono il dibattito, come quello di Newtown (o di Aurora, o di Tucson, o di Columbine). Dal 1982 in America ci sono stati almeno 61 stragi compiute con armi da fuoco, in 30 stati diversi dal Massachusetts alle Hawaii. Sono casi eccezionali, anche se hanno la maggior attenzione da parte dell’opinione pubblica, e in fondo sono anche il motivo per cui ne parliamo qui. Quindi, prima di concludere, bisogna dire alcune cose per completare il quadro.

Una parola che è realmente cruciale, in tutti i discorsi su questi episodi, è “semiautomatico”: un aggettivo che richiama pesanti armi da guerra e potenza di fuoco. Il significato, in realtà, è meno impegnativo. Le armi automatiche sono quelle in cui si preme il grilletto e l’arma continua a sparare finché il grilletto non viene rilasciato. Le mitragliatrici, per intenderci.

Le armi semiautomatiche, invece, sono quelle in cui bisogna premere il grilletto ogni volta che si spara un colpo: sono normalmente semiautomatiche tutte le pistole e i fucili in circolazione. In pratica, tutte le armi che vengono attualmente prodotte e vendute nel mercato non militare. Dire che un’arma è “semiautomatica” è nel 99 per cento dei casi un’inutile ripetizione, come dire che è un auto con le ruote.
Una delle armi utilizzate nella strage di Newtown è stata probabilmente un fucile d’assalto AR-15 della Bushmaster, che è un’arma semiautomatica. L’AR-15 (AR sta per Assault Rifle) è un tipo particolare di fucile d’assalto e uno dei più venduti negli Stati Uniti, secondo il New York Times. Il calibro dell’arma usata a Newtown sembra essere il .223, che è simile per dimensioni (ma non per materiali) a uno dei più diffusi calibri delle armi degli eserciti NATO.

Anche l’autore della strage di Aurora, cinque mesi fa, aveva un AR-15 (della Smith & Wesson). L’AK-47, il famoso Kalashnikov, è un fucile d’assalto; anche l’M-16, l’arma di base della fanteria USA, è un fucile d’assalto ed è proprio un adattamento dell’AR-15, prodotto principalmente dalla Colt.

I fucili d’assalto sono armi pensate e progettate per l’uso militare. Quello che distingue le versioni civili dei fucili d’assalto e dell’AR-15 da quelle da guerra è in primo luogo l’essere semiautomatiche e non automatiche. Ci sono una sessantina di produttori diversi di questo tipo di arma, che costa in media tra i 600 e i 1200 dollari, e probabilmente intorno ai tre milioni di esemplari in circolazione negli Stati Uniti.

I fucili d’assalto sono responsabili di una piccola frazione dell’altissimo numero di omicidi che succedono ogni anno negli Stati Uniti. Su 12.664 morti per omicidio negli Stati Uniti nel 2011 (non solo per arma da fuoco) 323 sono stati uccisi con un fucile di qualsiasi tipo. Circa metà di chi possiede un AR-15 dice di tenerlo per motivi sportivi; un terzo per difesa personale e il resto per la caccia.

E le armi automatiche? Le armi automatiche non sono illegali negli Stati Uniti. Sono però regolamentate molto strettamente a livello federale, oltre a essere molto costose (anche decine di migliaia di dollari): richiedono un’autorizzazione federale e diversi controlli, e attualmente non possono essere possedute legalmente se sono state fabbricate dopo il 1986.

C’è un’ultima precisazione da fare, che conferma che nel dibattito le differenze politiche contano, eccome: nel 1994, dopo i dodici anni di governo di Reagan e Bush padre, Bill Clinton approvò una legge che vietava per dieci anni la produzione e il commercio di fucili d’assalto, oltre ai caricatori con più di dieci proiettili (la capienza dei caricatori è un altro aspetto essenziale e al centro di proposte di regolamentazione). Gli Stati Uniti ne erano già pieni e dieci anni dopo, nel 2004, il presidente era Bush figlio. Il periodo di divieto venne lasciato scadere.

In conclusione
Da tempo si sente dire che il presidente Obama dovrebbe agire e prendere qualche iniziativa, anche perché se è vero che una percentuale bassissima di americani è disposta ad accettare una proibizione totale delle armi (e casi come Newtown non influiscono significativamente sull’opinione pubblica, vedi i punti 11 e 12 qui) quasi tutti sono favorevoli a maggiori controlli di qualche genere, membri dell’NRA inclusi. Forse c’è una forza che potrebbe aiutare il campo di chi spinge per una maggiore regolamentazione: il tempo (e qui non si parla della famosa massima di Keynes sul nostro destino nel lungo periodo).

Se si guarda a come è cambiata la diffusione delle armi negli ultimi decenni, si scoprono diverse cose interessanti. Oggi la maggior parte degli americani non possiede armi: nonostante i 300 milioni di armi da fuoco, queste sono “concentrate”, perché tre quarti di chi le ha ne possiede due o più di due (ci sono più armi tra i bianchi che tra i neri, più tra gli anziani che tra i giovani, più nelle aree rurali che nelle città). Non solo, ma una lenta tendenza va verso un minor numero di persone che le possiedono: agli inizi degli anni Settanta c’era almeno un’arma ogni due case circa, mentre nel 2010 il numero era sceso a una ogni tre.

Ancora: nel 1980 un americano su tre aveva un’arma; nel 2010 era uno su cinque. Se si guarda alla distinzione di genere, circa una donna su dieci è armata, percentuale che curiosamente non è calata negli ultimi 30 anni. Riassumendo e semplificando, negli ultimi anni le leggi sono diventate sempre più permissive, mentre lentamente gli americani hanno iniziato a comprare meno armi.

Un ricercatore ha scritto di recente che “la tendenza di lungo periodo suggerisce che stiamo attualmente osservando una cultura delle armi e della violenza che va scomparendo” negli Stati Uniti: il che, tutto sommato, suona ancora come un’esagerazione.