Alberto Mattioli, la Stampa 16/12/2012, 16 dicembre 2012
VENITE AL CASTELLO VI RACCONTIAMO LA STORIA DEL NATALE
Voglia di camini enormi dove ardono ciocchi king size, di alberi carichi di palle colorate, di presepi monumentali, di carole e di regali. Natale è bene, al castello è meglio. In quello di Amboise hanno addobbato saloni e cappelle con i grandi classici della tradizione natalizia. Il percorso «Noël au fil des siècles», Natale nel corso dei secoli, cerca di spiegare a comitive di turisti prima perplessi e poi entusiasti perché si fa il presepe o l’albero. Cominciando dall’inizio, dalla festa pagana del solstizio d’inverno che diventa quella cristiana della Natività, gettonatissima per il suo contenuto simbolico da Re e Imperatori: Clodoveo sceglie il giorno di Natale per farsi battezzare, Carlomagno per farsi incoronare.
Il castello di Amboise si presta alla festa. E’ uno dei più belli della Valle della Loira, dove per più di un secolo, fra Quattro e Cinquecento, visse una corte di Francia ancora itinerante come nel Medioevo. A Parigi c’era una popolazione turbolenta dalla rivolta facile e non ci si poteva cacciare. Meglio la dolce Loira, con il suo clima mite e i suoi castelli fatati. Ci si spostava dall’uno all’altro, inseguendo la selvaggina insieme ai soliti italiani da esportazione del Rinascimento, artisti, cuochi, i nv e n t o r i , poeti, prelati e intriganti. Leonardo da Vinci morì nel 1519 proprio ad Amboise, nella dépendance del Clos-Lucé. Dice la leggenda (ma è troppo bella per essere vera) nelle braccia di Francesco I, per intenderci quello di Marignano, Pavia e «tutto è perduto fuorché l’onore». «Amboise - spiega il direttore del complesso, Jean-Louis Sureau - era considerato particolarmente sicuro e salubre, quindi ideale per i bambini. Infatti gli enfants de
France crescevano qui. Francesco I, che ad Amboise era nato, faceva ogni anno il possibile per passarci il Natale». Chissà se maman, Luisa di Savoia, da brava piemontese gli preparava gli agnolotti del plìn...
Omaggio a questa voga italiana è il monumentale presepe nella sala del Consiglio. Napoletano, ovviamente, e griffato Ferrigno, celebre figurinista dal 1836: ogni anno Sureau va a comprare nuovi pastori a San Gregorio Armeno da aggiungere al capolavoro. La crèche, il presepe, non è una tradizione francese. Ma la nobiltà italianizzata lo conosceva: Sureau racconta che la sorella di Carlo VIII (sempre per interderci: quello di Pier Capponi e «se voi suonerete le vostre trombe, noi suoneremo le nostre campane»), rimasta vedova, per prima cosa fondò un ordine monastico e ordinò un presepe in Italia.
Nella sala del Coppiere una tavola carica di frutta candita evoca le grandi sbafate delle Feste. Anche qui c’entrano gli italiani, che dirozzarono la nobiltà francese introducendo, ad esempio, quel curioso strumento che permette di non mangiare con le mani. La vedete questa? E’ una four-chet-te, una forchetta, brave bestie. Per la verità, pochi mesi fa, in un altro dei castelli della zona, quello di Blois, una mostra e un convegno hanno smentito l’idea, tuttora molto diffusa, che la grande cucina francese nasca da quella italiana importata da Caterina de’ Medici, moglie di un Re di Francia e mamma di altri tre. Sureau smentisce la smentita: sì, l’influenza borgognona è stata altrettanto forte, però di certo la pasticceria italiana faceva impazzire tutti, e del resto che il dolce più amato dai francesi si chiami «macaron» la dice lunga.
Poi, ovviamente, c’è l’albero di Natale. Qui bisogna fare un salto in avanti di diversi secoli e infatti è allestito negli appartamenti di Luigi Filippo, Re dal 1830 al ‘48. La Regina Amelia era una Borbone di Napoli, quindi faceva il presepe. Ma la moglie del primo degli otto figli, Elena di Meclemburgo-Schwerin, era tedesca, quindi da albero. Fu lei, nel 1837, ad addobbare alle Tuileries il primo abete, battendo sul tempo Buckingham Palace, dove l’albero arrivò solo tre anni dopo per merito del Principe Alberto, tedeschissimo anche lui. Peraltro l’usanza era in origine quella di appenderci delle mele rosse. Nel rigido inverno del 1858 il raccolto di mele gelò e così sugli alberi di Natale debuttarono le palle di vetro.
Affascinante. Fuori cade una pioggia gelata, dentro i giapponesi si scongelano davanti al camino. Le arance candite del pasticcere del villaggio sono squisite. Anche chi detesta il Natale, sotto sotto, lo ama.