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 2012  dicembre 16 Domenica calendario

AUSTERITÀ E MENO VINCOLI ALLA CRESCITA, ECCO LA STRADA


«L a via è una sola», dice il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. È una via stretta che passa per il mantenimento dell’austerità di bilancio e «una riduzione dei vincoli per agevolare chi fa impresa». Ed è una via obbligata anche per il governo che succederà all’esecutivo Monti. Anzi, «un governo politico» ha «la possibilità e anche la responsabilità» di agire in questo senso. In via Nazionale, nella sala della Madonnella, Visco affronta anche altri temi importanti: la ripresa economica che dovrebbe arrivare nella seconda metà del prossimo anno, la vigilanza bancaria europea che ci porta verso un sistema «unico» che aiuterà a calmare ulteriormente i mercati. E sul 4,5% di Generali che Banca d’Italia dovrà cedere a giorni, il Governatore rassicura gli inquieti soci privati del Leone sulle conseguenze per il governo della società.

Governatore, la ripresa sarà nel 2013, o dovremo aspettare il 2014 come sostiene Confindustria?

«La recessione, sia per l’Italia, sia per la zona euro, proseguirà nel 2013. È inevitabile, entriamo in un anno con un ciclo economico molto negativo, che si protrarrà. È difficile in un contesto come questo, con segnali molto contrastanti - la situazione globale peggiora, ma nello stesso tempo le tensioni finanziarie si attenuano - individuare il punto di svolta. Però, nostre analisi suggeriscono che c’è una probabilità di oltre il 50% che la svolta arrivi nel terzo o quarto trimestre del 2013».

Nel recente Rapporto sulla stabilità finanziaria la Banca d’Italia sostiene che i fondamentali dell’Italia giustificherebbero uno spread, un differenziale tra rendimenti dei titoli sovrani a 10 anni con quelli tedeschi, di circa 200 punti, ma l’Italia continua a pagarne circa 300-350. Perché?

«Questo differenziale ha due componenti. Una è legata al rischio Paese, l’altra a quello di una disgregazione dell’euro. Le due componenti non sono facili da distinguere né da calcolare, ma l’annuncio dell’Omt (lo scudo anti-spread, ndr) da parte della Bce ha dato certezza sul fatto che si interverrà qualora emergessero tensioni gravi. È importante, quindi, agire sui due fronti, quello europeo e quello nazionale. Comunque l’allentamento delle tensioni negli ultimi mesi è stato rilevante: oltre alla notevole riduzione dello spread, in estate ancora intorno ai 500 punti, lo dimostrano la capacità di accesso al mercato a lungo termine da parte del Tesoro, la ripresa di acquisti di titoli pubblici da parte di investitori esteri e il ritorno delle banche italiane sul mercato obbligazionario dopo un periodo di notevole difficoltà».

L’Unione bancaria appena approvata può aiutare ad alleviare ancorala tensione?

«L’Unione bancaria non nasce per fini congiunturali ma serve anche a questo. È un ulteriore passo verso la convergenza europea».

Ma non pensa che l’incertezza politica in Italia possa mettere a rischio queste conquiste?

«L’incertezza economica e politica pesa. Come dice il presidente della Bce Mario Draghi è importante non disperdere i frutti dell’austerità, ma al contempo si deve percepire che i vincoli alla crescita vengono effettivamente rimossi».

Una strada stretta...

«La via è una sola, da perseguire avendo attenzione a ridurre gli effetti negativi che le riforme possono avere in alcuni settori e in alcuni momenti. Non si debbono vanificare gli sforzi compiuti. Ma dobbiamo ricercare con decisione una maggiore efficienza e ridurre i vincoli su chi fa impresa».

La politica di austerità attuata del governo Monti è conciliabile con la crescita che oggi manca?

«Si può lavorare sulla composizione delle entrate e delle spese e cercare di ridurre queste ultime nei settori dove incidono meno sulla crescita. È certo che misure di correzione così forti sui conti pubblici hanno un riflesso negativo sulla domanda: noi l’abbiamo quantificato in un 1 punto percentuale del Pil, ma la domanda è caduta anche di più per effetto della crisi finanziaria (e sarebbe caduta ulteriormente se la crisi finanziaria non fosse stata attenuata, anche grazie alle misure di bilancio). È fondamentale mantenere grande attenzione ai vincoli di bilancio e contemporaneamente proseguire con riforme che rimuovano gli ostacoli alla capacità di competere. Ma le riforme strutturali hanno bisogno di tempo per sortire i loro effetti».

Il governo che uscirà dalle urne potrà permettersi di cambiare strada rispetto al governo Monti?

«Credo che un governo politico che duri a lungo abbia tutte le possibilità – oltre che la responsabilità - di adottare misure che nel medio periodo conducano verso un sistema produttivo più competitivo, più efficiente e nel quale non ci sia spazio per la corruzione, si combatta la criminalità, anche quella economica, e si riduca decisamente il peso dell’inefficienza di alcuni servizi pubblici sull’attività produttiva».

Avremmo già dovuto chiedere lo scudo anti spread della Bce? Oppure ce n’è bisogno adesso?

«L’Omt è uno strumento pensato per far fronte a difficoltà finanziarie gravi. Il nostro Paese le ha sofferte alla fine dello scorso anno, ma ha reagito, non solo senza mai perdere l’accesso ai mercati ma rientrando dalle condizioni di maggiore tensione grazie alle politiche perseguite nel Paese e alle decisioni prese in sede europea. Comunque le tensioni riemerse nell’estate, si sono allentate anche per il semplice annuncio dell’Omt».

Dunque l’Omt non è necessario?

«Non ho detto questo. Dico che le condizioni attuali sono di minore tensione e quello strumento serve per evitare tensioni particolarmente acute, tali da spingere i tassi sul debito sovrano ben oltre quanto può essere giustificato dai fondamentali di un Paese».

Le aziende lamentano una drastica riduzione del credito. Cosa risponde?

«La contrazione del credito è stata contenuta grazie agli interventi della Bce. Attualmente è la domanda di credito a essere debole, anche se persistono chiare tensioni nell’offerta dovute soprattutto all’aumento dei crediti deteriorati. Le banche devono basarsi su valutazioni attente del merito di credito, premiando le aziende con capacità di crescita e non quelle che questa capacità non l’hanno più. E per quel che riguarda i crediti deteriorati, devono attrezzarsi per farvi fronte con accantonamenti adeguati ai rischi. In prospettiva, le imprese dovranno andare di più sui mercati finanziari e contare meno sul credito bancario».

L’accordo sulla vigilanza bancaria appena approvato dal Consiglio europeo introduce una supervisione affidata alla Bce su 150-200 banche su 6.000, ma anche la possibilità di intervenire su singole banche più piccole.

«Questa riforma dà effettivamente il via a un sistema unico di vigilanza a livello europeo, anche se è ovvio che la Bce non può vigilare da sola su tutte le 6.000 banche con caratteristiche diverse tra loro e insediate in diversi Paesi. Essa sarà direttamente responsabile della vigilanza sulle banche sistemiche, con il fondamentale intervento operativo delle autorità di vigilanza nazionali. Avrà inoltre competenza, in virtù dei criteri stabiliti, anche su banche non necessariamente sistemiche e in caso di necessità la Bce, del cui Consiglio direttivo fanno parte i Governatori delle Banche centrali nazionali, avrà la possibilità di intervenire su singoli intermediari non compresi tra quelli sottoposti alla sua diretta supervisione».

Che cosa manca per completare la riforma?

«Ci vorranno ancora una “legge bancaria europea”, un sistema condiviso per la gestione delle crisi bancarie, un’assicurazione dei depositi bancari europea, non nazionale. Sono componenti essenziali dell’unione bancaria, a sua volta tappa fondamentale del percorso di convergenza, anche attraverso l’unione dei bilanci pubblici verso l’unione politica. Per tutto questo bisogna rinsaldare la fiducia reciproca, mettendo in comune ciò che di positivo vi è in ciascun Paese membro».

Lei pensa che la fiducia stia tornando?

«Sì, grazie a tre azioni: in primo luogo gli interventi nazionali di correzione dei conti pubblici, dolorosi e in alcuni casi drammatici, come in Grecia, ma il cui esito è percepito come positivo. Secondo, le misure europee – il fiscal compact, il fondo salva-Stati Esm, l’unione bancaria. Terzo, l’azione della Bce».

Con l’ingresso nell’euro Banca d’Italia non ha più la facoltà da sola di determinare la politica monetaria e ora si delega anche una parte della vigilanza sulle banche alla Bce. Rischiate di perdere un’altra funzione fondamentale?

«Delega è la parola sbagliata. È una partecipazione convinta alla costruzione comune della vigilanza europea. Si mettono in comune le responsabilità, e quindi le decisioni. Per la Banca d’Italia non comporterà minore lavoro, ma maggiore lavoro. Anche noi dovremo conoscere meglio come vanno le banche in altri Paesi e lo stesso avverrà per le altre autorità di vigilanza. È chiaro che dovremo adattare le nostre organizzazioni al mutamento delle nostre responsabilità».

Nell’intervista di venerdì scorso al FinancialTimes Draghirivendicalafamosa frase del 26 luglio, quando disse che la Bce avrebbe fatto «qualsiasi cosa» per preservare l’euro. Poi è arrivato anche l’Omt. Col senno di poi, pensa che la Bundesbank abbia sbagliato?

«All’interno di un organo collegiale come il Consiglio direttivo è normale avere una dialettica tra i diversi componenti. Ciò che conta è partecipare con impegno, correttezza e lealtà all’attuazione delle decisioni comuni. Questa linea di condotta è stata seguita, in ogni occasione, da tutti i membri del Consiglio e da tutte le Banche centrali nazionali dell’Eurosistema. È anche per questo che siamo riusciti a preservare la stabilità dei prezzi mantenendo, in condizioni assai difficili, la stabilità finanziaria».

C’è stata anche una discussione sull’opportunità di rendere note le minute, le discussioni del consiglio della Bce, come fa la Fed. Lei che ne pensa?

«Io sono favorevole alla trasparenza».

La pubblicazione delle discussioni in seno al consiglio, non rischia di creare ulteriori divisioni per singoli Paesi nella Bce?

«Non vedo questo rischio»
Con Weidmann è stato spesso così: si è identificata la sua visione con quella tedesca.

«Non è una visione tedesca, è la sua visione di cosa è bene per l’area dell’euro. È molto importante il dialogo e la stima reciproca che si riesce a conquistare in seno al consiglio».

Da gennaio la Banca d’Italia estenderà la sua attività di vigilanza al settore assicurativo. Che cosa avverrà in concreto?

«Il funzionamento dell’Ivass, alla cui presidenza è preposto il Direttore generale della Banca d’Italia, sarà analogo a quello della vigilanza bancaria, nel senso che le attività di ispezione, le valutazione della situazione degli intermediari e le proposte di intervento saranno responsabilità degli organi tecnici; le decisioni di rilevanza esterna più importanti saranno prese da un organo collegiale formato dal Direttorio della Banca d’Italia, integrato dai due consiglieri dell’Ivass».

Questo ruolo ampliato però porta a un problema. Voi avete il 4,5% del capitale delle Generali che dovrete cedere per evitare conflitti d’interessi...

«Proprio per eliminare questo potenziale conflitto abbiamo esaminato in un arco di tempo ridottissimo diversi tipi di intervento».

La soluzione che si prospetta, a quel che pare, comporta la cessione della vostra quota al Fondo Strategico italiano, controllato dalla Cassa Depositi e Prestiti. Conferma o smentisce questa soluzione? E cosa replica a chi teme uno sconvolgimento degli equilibri nelle Generali?

«Non posso rivelare dettagli che dovranno esser prima presentati al Consiglio superiore della Banca, che si riunirà martedì prossimo anche per deliberare su questo tema. Le linee guida che ci siamo dati sono di non alterare la dinamica di mercato e garantire che le modalità di gestione della partecipazione in Generali non deviino da quelle seguite dalla Banca d’Italia negli anni. Le modalità specifiche con cui pensiamo di conseguire quest’obiettivo saranno presto rese pubbliche».

Dunque chi avrà quel 4,5% della principale compagnia italiana manterrà l’atteggiamento di azionista «neutrale» adottato da Banca d’Italia. Eppure i grandi soci sono in fibrillazione, dicono di temere un ingresso della politica nel capitale...

«Si sono lette diverse cose, talora poco informate. Si sono espressi timori da parte di azionisti privati e di commentatori indipendenti, spesso senza le necessarie informazioni. Il punto di fondo è che nessuno ha mai pensato di “statalizzare” alcunché. Siamo di fronte a un complesso esercizio di definizione di un chiaro conflitto d’interessi con rischi elevati in caso di interventi non ben meditati. Ma altrettanto chiara è la nostra decisione di ottenere le migliori garanzie perché il trasferimento di questa quota non dia luogo a interferenze sulla gestione della società e non alteri le prassi di mercato. Vedrete che non ci sarà alcun problema né per le Autorità pubbliche né per i soggetti privati coinvolti...».