Alessandro Penati, la Repubblica 15/12/2012, 15 dicembre 2012
LA LEZIONE DEGLI USA E I TREMONTI BOND
IL TESORO americano ha appena concluso la ristrutturazione di AIG, vendendo le ultime azioni rinvenienti dall’iniezione di 68 miliardi per salvare il gruppo assicurativo nel 2008. In tutto, lo Stato ha impegnato 182 miliardi nel salvataggio: realizzandone 23 di profitto. Un risultato sorprendente, ma non unico. I 75 miliardi impegnati dalla Fed per l’acquisto di titoli tossici sono già stati quasi tutti rimborsati, con un utile di 18 miliardi. Secondo l’ultimo rapporto del
CBO,
dei 431 miliardi concessi dal
Troubled Asset Relief Program
a banche, Aig e industria dell’auto, ne rimangono impegnati solo 79, con una perdita complessiva stimata oggi in 24 miliardi. Una stima per eccesso: il Tesoro detiene ancora warrant in società risanate, che potranno essere convertiti con profitto. In quattro
anni, dunque, gli Stati Uniti hanno completato la più grande ristrutturazione della storia, con un costo per il cittadino pari ad appena 0,1% del Pil.
Come? Lo Stato è intervenuto, sostituendosi al privato, ma adottando comportamenti e regole di mercato. Da noi, quando lo Stato interviene, sostituisce le proprie logiche a quelle del mercato.
Il governo Usa non è mai entrato nella gestione delle aziende, ma ha posto come condizione la rimozione dei vertici, stabilito vincoli ai compensi, azzerato gli azionisti, diluendoli, imposto pulizia dei bilanci e vendite di attività sul mercato, senza paura di “svendere” o smembrare gruppi, e senza guardare alla nazionalità del compratore o preoccuparsi della struttura proprietaria. In caso di eccesso di capacità produttiva, come per l’auto o le banche, ha facilitato chiusure e licenziamenti, invece di opporsi. E ha rivenduto rapidamente tutto, al miglior offerente, con profitto.
Da noi, invece, il governo usa le obbligazioni (Tremonti bond) per sostenere il valore delle banche, e plaude all’intervento delle Fondazioni,
come surrogato dello Stato, per ridurre la necessità di ricorrere al mercato e preservare la struttura proprietaria. Per le stesse ragioni si rallentano le pulizie dei bilanci, le vendite di attività, e le drastiche ristrutturazioni. E i Governi benedicono le operazioni di sistema (Alitalia, Telco, Fondiaria); o l’intervento della Cassa Depositi e Prestiti, F2i, Fondo Strategico, che ormai si sono sostituite al mercato dei capitali, con il plauso unanime di tecnici, politici, imprenditori, media e salotti buoni. Invece di facilitare la riduzione della capacità in eccesso (acciaio, auto, trasporti pubblici, banche, telecomunicazioni), i governi fanno di tutto per preservarla, anche se è anti-economico. Da noi l’imperativo è conservare.
Nel terzo trimestre il Pil degli Stati Uniti (a prezzi costanti) ha superato dell’1,7%
il precedente massimo (giugno 2008): in quattro anni la crisi è alle spalle. Da noi, invece, l’attività economica è ancora 7% sotto i livelli precrisi (vedi grafico); come pure tutta l’Eurozona (-2,3%). Fa eccezione la Germania (+1,7% sul massimo precedente), ma il dato è ingannevole, perché non tiene conto dei ritardi accumulati dall’economia tedesca negli anni precedenti: da inizio 1999, infatti la crescita in Germania è di 7 punti inferiore agli Usa.
Saranno anche fonte di crisi (dot. com, mattone, derivati), ma gli Usa imparano rapidamente dagli errori. E lo Stato interviene, ristruttura, vende e si riparte, ma sempre sfruttando le potenzialità dell’economia di mercato. Da noi, il modello sociale europeo è un vanto: visti i risultati, dovremmo cominciare a pensare a quanto ci costa. Si dice sia il prezzo di una maggiore equità, ma a giudicare dai dati, ci siamo persi anche quella.
Per far capire agli italiani di quale riforme il paese abbia veramente bisogno, forse sarebbe più utile far vedere questo grafico invece di quello dello spread.