Alessandra Longo, la Repubblica 14/12/2012, 14 dicembre 2012
MANIFESTO, L’ADDIO DI PARLATO ROSSANDA HA RAGIONE NON È PIÙ UN GIORNALE-PARTITO
Diciassette righe in prima pagina nell’edizione di ieri, 13 dicembre 2012. Dopo l’addio di Rossana Rossanda, anche Valentino Parlato, 81 anni, si «chiama fuori» dal manifesto, quotidiano comunista al tramonto. Un congedo amaro ma non tombale (com’è nel carattere rotondo e di combattente di Valentino): «La crisi non è solo di soldi ma anche di soldati e di linea...
Mi spiace, un abbraccio». Lo separano dalla direzione di Norma Rangeri - che gli risponde a fianco - valutazioni diverse sulla residua possibilità del quotidiano, ora in regime di liquidazione, di rimanere in vita. Il 17 dicembre scadonoi termini per fare offerte. Ci sarà una nuova cooperativa (che non avrà posto per tutti) come auspica obtorto collo la Rangerio il manifesto chiuderà per poi provare a rinascere diverso? Un fondatore non vuol veder morire la sua creatura. Sono ore tristi.
Il congedo è sempre un evento amaro. Quanto ti sono costate quelle poche righe? «Le ho scritte con autentica sofferenza. Il manifesto è tanta parte della mia vita. Ma non vado né in campagna né in esilio. Rimango comunque un lettore del manifesto e continuerò la mia battaglia. E’ un addio polemico».
Nulla di emotivo, critiche precise. «Sì, il manifesto è un giornale decaduto, ha perso fisionomia. Doveva rimanere un giornale partito e invece quel ruolo si è dissolto. E’ un giornale come gli altri, per giunta in difficoltà economiche. Generico e povero. Ed è mancato un dibattito forte per rinnovarlo».
Rossanda sa della tua decisione? «Le ho telefonato. Mi pento di non essermi associato prima alla sua posizione».
Entrambi parlate di «separazione» non di divorzio dal prodotto che avete contribuito a creare. Entrambi sembrate avere un rapporto molto tormentato con la direzione Rangeri.
«Per carità Norma, poveretta, ha lavorato tantissimo. Non è facile far uscire il giornale ogni giorno in queste condizioni. Lei e i suoi collaboratori hanno avuto coraggio e gliene va dato atto. Ma il loro è stato coraggio e lavoro per la pura sopravvivenza che porta dritta alla morte. Il demerito è proprio questo: non essere riusciti a ridiscutere il prodotto. Sia io che Rossana chiediamo che si cambi rotta».
Voi fondatori siete stati accusati di andarvene proprio mentre la nave del manifesto affonda.
«Io abbandono la nave non perché affonda ma perché, così com’è, affonda».
C’è ancora spazio per raddrizzare la rotta? «Sono convinto di sì a patto di aprire una vera discussione, con l’intervento dei Circoli dei lettori, che ci hanno sempre sostenuto. Bisogna restituire fisionomia, identità, qualità, al giornale».
C’è l’ipotesi che si possa avviare una nuova cooperativa sulle ceneri dell’attuale, anche con sacrifici occupazionali. Rangeri dice: prima cerchiamo di evitare la chiusura del giornale e poi, superato lo scoglio, iniziamo un’altra storia...
«In ogni caso bisogna definire subito che cosa deve e vuol essere il manifesto. Anche se dovesse chiudere ci dovremmo porre il problema di come riaprirlo».
C’è ancora molta passione in quel che dici.
«Io ho vissuto tutta la storia di questo giornale e per quel che posso fare con le mie forze fisiche attuali non abbandonerò certo il mio mondo. La lettera di congedo che ho affidato ai lettori è una lettera di combattimento».
Se guardi all’indietro cosa vedi di bello? «Le nostre riunioni di redazione, con Rossana, Lucio (Magri), Luciana (Castellina) e Luigi (Pintor). Tra noi c’era vero dibattito, anche con delle belle e salutari litigate. C’era un clima in via Tomacelli di dialogo, amicizia, sentimento. Non era una redazione di giornale, con tutto il rispetto per le redazioni di giornale. Era una famiglia».
Nella tua stanza in redazione non ci vai più?
«Per il momento no».
Senza i fondatori, senza Rossana e Valentino, il manifesto vale meno anche in termini di cinico mercato.
«Sì, vale meno. Forse».
Se potessi chiamare chi vuoi per una futura direzione a chi ti rivolgeresti?
«Ci sono tanti compagni che si sono allontanati, giornalisti del manifesto che hanno ritirato le firme perché non condividono il percorso intrapreso. E ci sono i pensionati che sono la storia del manifesto. Solo ricostruendo la storia si può proseguire, andare avanti verso un nuovo progetto».
Il motto del momento?
«Spes contra spem».