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 2012  dicembre 17 Lunedì calendario

SOCIAL. L’UOMO CHE FA SOLDI CON I TWEET - I

numeri ci sono, tutti a sei zeri. Dal lancio nel 2006 ad oggi Twitter ha raggiunto quota 500 milioni di utenti, dei quali 140 milioni sono attivi e ogni giorno si scambiano qualcosa come 400 milioni di tweet. A sei zeri, oltre ai risultati sul web, sono anche le previsioni del mercato: il social network da 140 caratteri quest’anno dovrebbe raggiungere i 288 milioni di dollari in guadagni pubblicitari, segnando un aumento del 107% rispetto al 2011 secondo la società di ricerche di mercato eMarketer. Ma se consideriamo la valutazione, siamo ben oltre i sei zeri: Twitter ora, secondo le stime, varrebbe più di 8 miliardi di dollari.
Un bel salto dal 2010, quando — mentre Facebook stava già scaldando i motori per lo sbarco in Borsa — il sito di microblogging veniva valutato 3,7 miliardi di dollari. Meno della metà del valore attuale. Anche i guadagni erano inferiori: due anni fa, Twitter aveva portato a casa 45 milioni di dollari in pubblicità, un sesto di quello che incasserà entro la fine del 2012.
Cambio
La moda, stavolta, non c’entra. Dietro il successo economico del social, più che gli iscritti in continuo aumento, c’è un cambio di strategia. E un volto: quello di Adam Bain, dal 2010 a capo della sezione global revenue del social. Anche questa una novità: al momento del lancio, Twitter non aveva un business model e anzi, i suoi fondatori Jack Dorsey, Evan Williams e Biz Stone avevano ammesso di non averci neppure pensato. Bain, 39 anni, è stato reclutato proprio per rimpiazzare la nebulosa del «e poi si vedrà» con una strategia ben precisa. La sua carriera comincia nel mondo dei media, con un’esperienza nella testata Cleveland.com, e prosegue con un impiego di due anni come web producer al Los Angeles Times. Nel 1999 arriva a News Corp, dove finisce per diventare presidente del Fox Audience Network, la divisione che include uno dei più ampi network per la pubblicità. Qui, Bain è incaricato di trovare il modo di «far soldi» con le proprietà del gruppo. Soprattutto, deve trovare il modo di trasformare in denaro il successo di MySpace, il social musicale che Murdoch ha comprato nel 2005 al prezzo record di 580 milioni di dollari. MySpace non ha funzionato: News Corp l’ha rivenduto, sei anni dopo, a un sedicesimo del prezzo pagato per acquistarlo. Nel frattempo Bain era già stato reclutato da Dick Costolo, dal 2010 Ceo di Twitter.
Storia
Si poteva davvero costruire un piano di marketing su una piattaforma nata libera? Due anni dopo, e in barba a tutti gli scettici, i numeri sembrano dar ragione a Bain. Merito dei promoted: anziché inserire nel social banner pubblicitari, Bain ha lanciato la possibilità di finire in cima ai risultati delle ricerche grazie a tweet, trend e account sponsorizzati. A pagamento, certo. Ma segnalati come tali tramite una freccina arancione. Secondo un’indagine condotta dal 10 al 13 novembre 2010 da TWTRCON (ora The Realtime Report), all’indomani del lancio dei prodotti sponsorizzati il 37% dei 109 utenti di Twitter intervistati ha cliccato su uno dei promoted trend per saperne di più. Mentre, fra i 101 utenti che hanno un’azienda uno su cinque ha definito i prodotti di questo tipo come «il futuro della pubblicità».
A distanza di due anni, si è rivelata una previsione corretta. Ma ormai la pubblicità, su Twitter, va oltre: basti pensare che nel 2011 il tweet più ritwittato è stato quello con cui Wendy’s, la catena americana di fast food, ha lanciato una campagna di beneficenza. Per non parlare del successo degli hashtag, le parole-chiave evidenziate nei tweet tramite l’utilizzo di un cancelletto. Un esempio? Durante la campagna elettorale per le presidenziali Usa, il vicepresidente Joe Biden definì i commenti sulla politica estera del rivale Paul Ryan a bunch of malarkey (in italiano, un mucchio di sciocchezze): rilanciato come hashtag, #malarkey prima ha spopolato su Twitter e poi è diventato un boom commerciale, con tanto di magliette ed adesivi ad hoc.
L’ultimo successo di Bain e del team da 250 persone che dirige è il servizio di advertising su mobile: lanciato a febbraio, ha già superato in guadagni quello tradizionale legato ai pc. Ma la squadra è già al lavoro su uno strumento self-service destinato alle pmi. L’obiettivo più ambizioso, però, è un altro: lo sbarco in Borsa, non prima del 2014. Sarà questa la prossima svolta di Twitter? O farà la fine di Facebook che ancora oggi tratta dieci dollari sotto l’(esagerato) prezzo di collocamento?
Greta Sclaunich