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 2012  dicembre 17 Lunedì calendario

CALTAGIRONE «CEMENTIR: IL BUSINESS E’ OLTREFRONTIERA»

Quando Francesco Gaetano Caltagirone decise di diversificare, guardò ai settori vicini. Passò dai condomini (prodotto finito) al cemento (materia prima), in una ideale integrazione verticale della propria industria. Comperò all’asta dall’Iri le Cementerie del Tirreno, Cementir, per 480 miliardi di lire (circa 247 milioni di euro). Era il 1992, la prima privatizzazione di Stato, all’epoca di Franco Nobili.
Timing
Quattro anni dopo mise a capo dell’impresa il figlio omonimo e dopo qualche tempo fece un passo indietro dalla Cementir e dai suoi quattro stabilimenti italiani (Taranto, Maddaloni, Spoleto, Arquata Scrivia). Francesco Caltagirone, il figlio, aveva 28 anni e per cinque anni, fino al 2001, guardò i bilanci e studiò la teoria. Quando decise di muoversi, indovinando la necessità di internazionalizzare il business, scelse senza saperlo il momento sbagliato: il 10 settembre 2001 acquistò Cimentas, gruppo turco quotato in Borsa. Il giorno dopo passò alla storia e bloccò mercati ed economie. «Dopo l’11 settembre vivemmo tre anni veramente molto difficili — ricorda oggi Francesco Caltagirone, presidente e ceo di Cementir holding — ma che al contempo rivelarono la validità della scelta. L’Italia è un mercato maturo: il business del cemento, che è strettamente legato a fattori demografici, è in grave difficoltà, solo i mercati esteri sono in grado di offrire crescita e sviluppo». Dalle parole ai fatti. Vent’anni fa Cementir era tutta in quei quattro stabilimenti che ancora continuano a funzionare: il 100 per cento del fatturato maturava lì. Oggi, l’Italia vale circa il 13 per cento del giro d’affari del gruppo, il restante 87 per cento matura lontano dai confini nazionali a causa della recessione e della consueta mancanza di visione industriale. Il caso è Taranto, dove Cementir si dice pronta a investire nel rifacimento ex novo dello stabilimento che, adiacente all’Ilva, utilizza la loppa, uno scarto delle acciaierie per produrre un cemento speciale, ideale per porti e dighe, che viene realizzato da un solo altro stabilimento in Europa.
«Ma non abbiamo visibilità sul medio-lungo periodo, non sappiamo cosa sarà dell’Ilva dalla quale anche noi dipendiamo, in questo caso — dice Caltagirone —. L’Italia oggi è una tassa, perché porta perdite al gruppo e impone delle considerazioni a noi amministratori, dato che risulta difficile ipotizzare significativi recuperi di redditività nei prossimi 5-10 anni. Se altri settori produttivi si lamentano per essere tornati ai livelli di cinque anni fa, il nostro settore con questa crisi è tornato indietro di 50 anni, la domanda di cemento in Italia è oggi ai livelli del 1964… Se fossimo focalizzati sul solo mercato domestico, la situazione sarebbe insostenibile. Cinque anni fa il mercato italiano valeva circa 47 milioni di tonnellate di cemento. Oggi siamo, con una capacità produttiva di 60 milioni di tonnellate a una richiesta per 23 milioni di tonnellate. Mi attendo un rimbalzo, ma credo anche debba cambiare il lay-out produttivo…».
Ossigeno estero
Molte ipotesi sono allo studio. L’Italia soffre, l’ossigeno arriva da lontano. Non solo dalla turca Cimentas, perché dal 2001 le acquisizioni si sono susseguite: Aalborg e Unicon nel 2004 in Danimarca; 4K-Beton, sempre in Danimarca ma nel 2005; ancora in Turchia nel 2006, dove acquista Elazig Cimento, fino alle recente operazione in Australia. Sono queste le zone che tirano e che lasciano prevedere un 2013 in ulteriore crescita.
La Scandinavia è diventato il primo mercato per Cementir, mentre l’Italia, dopo il -22 per cento dell’anno in corso è attesa da un ulteriore -10 per cento nel 2013. Resistono altre aree e segmenti di nicchia. «Gli stabilimenti in Danimarca, nel Sinai e in Cina — spiega Francesco Caltagirone — ci hanno permesso di diventare leader, a livello mondiale, nel segmento del cemento bianco. È un prodotto particolare, che richiede calcare puro non facilmente reperibile in tutte le parti del mondo ed è utilizzato soprattutto con fini architettonici e per realizzare prodotti pre-miscelati. I volumi non sono paragonabili a quelli del cemento grigio, ma ha margini ben superiori e noi controlliamo circa un quarto del mercato mondiale».
L’ultima mossa si chiama diversificazione, stavolta nel waste management, il trattamento dei rifiuti, anche in questo caso rigorosamente lontano dall’Italia. «Abbiamo trovato ancora una volta in Turchia — conclude Caltagirone — le potenzialità per mettere a fuoco il nostro know-how e abbiamo siglato un contratto con la municipalità di Istanbul per trattare 700 mila tonnellate di rifiuti l’anno, una quantità pari alla metà dell’immondizia prodotta a Roma, per i prossimi vent’anni. Siamo i primi privati a lavorare a Istanbul in questo settore e a fianco di questa iniziativa siamo presenti sempre nel waste management a Manchester. L’Italia? È in ritardo rispetto alla scadenza Ue che vieta dal 2016 l’apertura di nuove discariche per i rifiuti urbani». Non solo in quello.
Stefano Righi