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 2012  dicembre 16 Domenica calendario

LO STATO DEI BUROCRATI SPAZZATO DALLA RETE

Vi sentite in colpa perché dentro di voi arde il desiderio di non votare? Non perdeteci il sonno — consiglia Douglas Carswell. Piuttosto, capovolgete la prospettiva. In Occidente, sempre meno cittadini votano alle elezioni politiche non perché siano diventati qualunquisti. Ma perché «la democrazia è stata erosa» e dunque sanno di non decidere niente. «Per questo non votano: perché darsi la pena di farlo se è inutile?». Carswell è un ribelle della politica britannica. Parlamentare Tory, ha rifiutato di fare il ministro perché vuole condurre liberamente le sue battaglie di principio: critica il Labour e la sinistra, ma non risparmia i conservatori. «È che abbiamo permesso a élite non democratiche, non elette, ai mandarini delle burocrazie di conquistare il potere, comandano loro», dice. Per questo i Paesi occidentali sono messi così male.
Niente paura, aggiunge però Carswell: tempi migliori, se non gloriosi, stanno per arrivare. Per i funzionari in servizio permanente, che non rispondono mai del loro operato e che hanno fatto disastri, la festa non durerà ancora molto: la rivoluzione digitale sta scardinando la politica così come l’abbiamo conosciuta. Sta nascendo una iDemocracy che «disintermedierà» — cioè metterà fuori gioco — burocrati, alti funzionari dei ministeri fino a oggi intoccabili, agenzie dello Stato, istituzioni che rispondono solo a se stesse. Sarà «una democrazia su misura di ognuno, nella quale il cittadino-consumatore potrà scegliere e decidere». Su questi temi — il fallimento della politica tradizionale e il futuro della democrazia nell’era di Internet — il libertario Carswell ha appena pubblicato un libro, The End of Politics and the Birth of iDemocracy (Biteback Publishing), «La fine della politica e la nascita della iDemocracy». Più convincente sull’analisi del presente che sulle previsioni del futuro. Ma in questa intervista, nel suo ufficio alla Camera dei Comuni, difende i punti della sua analisi e della sua visione: vale la pena di considerarli, perché sono punti forti e sistematizzano il dibattito in corso sulla rivoluzione digitale in politica.

Il problema lo inquadra in modo semplice. «Io sono nato nel 1971 — dice — e constato che, da allora, sono stati fatti passi avanti straordinari: si vola con poca spesa e più frequenza; le automobili sono più sicure e meno inquinanti; ci sono supermercati aperti la notte; i telefoni, le comunicazioni, la Rete funzionano in modo fantastico e sono ormai ovunque. E via dicendo. Dove però non sono stati fatti passi avanti, anzi si è tornati indietro, è nella qualità dei servizi forniti dallo Stato. Nonostante, in Occidente, lo Stato stesso abbia assunto dimensioni gigantesche, arrivi ovunque e assorba una quota sempre maggiore del reddito prodotto dai cittadini». Tutto inizia cent’anni fa. Fino a quel momento, le famiglie europee e americane versavano al fisco tra il 5 e il 15 per cento del loro reddito. E fino alla Grande Crisi del 1929, la spesa pubblica, per esempio negli Stati Uniti, non ha mai superato il 12 per cento del prodotto lordo. Dal 1933 è esplosa: oggi è sopra al 40 per cento in America e sopra al 50 per cento in gran parte dei Paesi europei. La dimensione dello Stato è via via dunque cresciuta fino a creare il «Big Government» di oggi.
«È lo Stato occidentale che è vissuto al di sopra delle proprie possibilità — dice Carswell —, non i cittadini. Il primo passo, quasi un secolo fa, fu l’introduzione della tassazione progressiva: un modo per fare accettare a larghe maggioranze, allora povere, tasse elevate per pochi. Da allora sono sempre aumentate. Poi, è seguita la manipolazione valutaria: con la fine del legame tra moneta e oro, si è iniziato a svalutare deliberatamente la moneta, un modo per trasferire ricchezza dai cittadini allo Stato che la emette. Infine, i governi hanno iniziato a indebitarsi smodatamente: e i debiti pubblici sono tasse differite, qualcuno, cioè i cittadini, dovrà pagarli».
In questo processo di espansione dello Stato, le strutture tecnocratiche e le burocrazie avrebbero via via preso il sopravvento. «In Gran Bretagna, George Osborne, il cancelliere dello Scacchiere, non decide dell’inflazione: è un comitato di non eletti a farlo — sostiene Carswell —. Dall’inizio della crisi, la Banca d’Inghilterra ha immesso liquidità per 350 miliardi di sterline, creati dal niente e in buona parte dati alle banche. E in misura maggiore lo stesso è successo in America e nell’Eurozona. È scioccante che in Italia il governo tecnico sia stato indotto da un intervento della Banca centrale europea. Ma il potere di queste élite non elette arriva a tutti i livelli: nella mia circoscrizione elettorale nell’Essex, per dire, come raccogliere i rifiuti non è stabilito dai cittadini, ma da un comitato di burocrati a Londra. Per non parlare di Bruxelles, dell’Unione Europea e dell’Assemblea dell’Onu».

Secondo Carswell, questo «Big Government» è però destinato a saltare grazie al potere che la Rete dà a ogni cittadino. Non solo nell’organizzazione della raccolta dei rifiuti. «Sta succedendo alla politica — spiega — quello che è successo all’editoria con l’arrivo di Amazon. Perde quote di mercato. Internet cambia tutto. Oggi i partiti e lo Stato sono come Microsoft: chiusi e in declino irrimediabile. Dovranno diventare come Linux: sistemi aperti nei quali sono i cittadini a decidere». Il deputato libertario non prevede una iDemocracy «nella quale si mettano i voti in una Big Cloud, non è quello». È che tutto, a suo avviso, verrà travolto. Non è un caso, per esempio, che i partiti debbano sempre più spesso ricorrere a primarie per indicare i loro candidati. «Oggi — dice — un eletto risponde ai boss del partito, non agli elettori: basti pensare che in sette collegi britannici su dieci non c’è possibilità di ricambio alle elezioni, tutto è deciso dai vertici. Serviranno primarie e la revocabilità del mandato parlamentare per restituire potere ai cittadini, che lo pretendono». Più che al voto continuo, Carswell pensa alla possibilità di creare, partendo da consultazioni in Rete, l’agenda dei lavori parlamentari, «perché non è vero che è la società a volere uno Stato enorme e pesante, sono le élite che lo hanno creato e che cercano di alimentarlo, come dimostro nel mio libro».
Ma di più. Il mondo digitale cambia la natura della ricchezza, che diventa mobile, e il modo di tassarla. «Un tempo le tasse le raccoglievano le grandi fabbriche e le passavano allo Stato — dice —, oggi i governi sono disperati perché non riescono più a controllare i redditi e dunque fanno una guerra ai mulini a vento nei paradisi fiscali. Non riescono a tassare la proprietà intellettuale». Cambia la stessa idea di denaro: grazie a Internet, si può decidere di effettuare transazioni in diverse valute, non più controllate da una banca centrale. «Io sono per la difesa della sterlina — dice Carswell — e perché il Regno Unito non entri nell’euro, che prima o poi finirà. Ma ancora di più sono per valute in concorrenza tra loro, in modo che gli Stati siano costretti a non fare perdere loro valore». È insomma ai cambiamenti «indotti dalla banda larga che occorrerà adattarsi, come nel XX secolo ci si adattò alla ferrovia».
Secondo Carswell — che è anche un blogger su TalkCarswell.com — il cambiamento in atto provoca «una crisi esistenziale nella sinistra, elimina lo Stato come pianificatore e vanifica l’idea che chi è al governo la sappia più lunga dei cittadini. Se saranno gli individui a scegliere in fatto di scuola o di sanità, cosa resta alla sinistra?». Anche la destra, però, dovrà adattarsi se non vorrà lasciarci la pelle. Ma non crede che il futuro sia del Piraten Partei tedesco, dei 5 Stelle italiani, dei Tea Party americani, tutti molto digitali. «Questi sono prodotti della frustrazione — dice —. Il futuro della democrazia appartiene a chi non avrà la presunzione di presentarsi con grandi piani ma lascerà la parola agli individui». Un vero bagno di ottimismo. Anche per chi non vuole votare.
Danilo Taino