Sergio Rizzo, Corriere della Sera 16/12/2012, 16 dicembre 2012
L’ENI, I MISTERI RUSSI E IL BIBLIOTECARIO DE CARO
Si chiama take or pay. È la clausola presente in molti contratti internazionali di fornitura di gas che obbliga l’acquirente a pagare l’intero ammontare pattuito anche se non ritira fisicamente tutti i metri cubi. Chi vende, incassa di sicuro; chi compra, ha un quantitativo certo. Ma se il prezzo è troppo alto il vantaggio è solo del primo. Secondo Report di Milena Gabanelli stasera in onda su Raitre, succede all’Eni, società al 30% di proprietà del Tesoro. Proprio a causa del gas acquistato «take or pay» dalla Russia di Vladimir Putin, il capo di Stato più amato da Silvio Berlusconi.
L’inchiesta con la quale Paolo Mondani ha ricostruito storia, rapporti e segreti dell’impero di Paolo Scaroni, messo a capo del gruppo nel 2005 dal Cavaliere, è durata quattro mesi. E pone una lunga serie di domande guardando a Mosca. Per esempio, che ci fa nella security dell’Eni una signorina russa che l’ex responsabile della compagnia a Mosca Mario Reali non aveva ingaggiato intuendo legami con i servizi russi? È Ludmyla Spornik: l’ha piazzata, dice Report, Alfonso Papa, il deputato del Pdl sotto processo per la P4, attraverso il suo coimputato Luigi Bisignani, già collettore della tangente Enimont. Proprio lui, che al telefono con Scaroni si interessa degli affari dell’Eni in Africa e che lo stesso amministratore delegato descrive ai giudici come «mio amico». La risposta alla domanda è probabilmente nei rapporti d’affari pubblici, ma forse anche privati, sempre più stretti con Putin. La svolta avviene quando il predecessore di Scaroni, Vittorio Mincato, tratta lo sbarco della Gazprom nel mercato italiano. «A un certo punto», racconta Reali, «il russo che era con noi al tavolo tira fuori un bigliettino e dice: "bisogna dare due miliardi a questo qui"» Una richiesta alla quale Mincato avrebbe poi reagito in privato così: «Col c... che gli do il gas a questo. E chi è?» È Bruno Mentasti, azionista dell’acqua San Pellegrino già socio del Cavaliere in Telepiù. Dunque Mincato non firma, ma fa firmare un suo dirigente. Lo sgarbo gli costa il posto e arriva Scaroni. Appena prima che l’Antitrust bocci l’intesa.
«L’entrata di Gazprom in Italia», dice Mondani, «è solo rimandata al 2007 quando Eni ed Enel la trattano insieme all’acquisizione della Yukos, compagnia del principale avversario politico di Putin, Mikhail Khodorkovsky, da nove anni in carcere». Yukos viene comprata nel 2007 e rivenduta a Gazprom nel 2009. Grigorij Berezkin, uno dei magnati russi del petrolio, fa da intermediario. «La sua prestazione costa 45 milioni di dollari. Perché Eni e Gazprom hanno avuto bisogno di un consulente quando potevano chiudere l’accordo tra loro?», domanda Mondani. In quel 2007 succede anche un’altra cosa: Scaroni rivede i contratti take or pay con il fornitore Gazprom, prolungandoli. Il che non evita agli italiani di continuare a pagare il gas molto più della media europea. Si chiede Milena Gabanelli: «Qualcuno si è avvantaggiato di questo favore fatto a Gazprom?» Certo è che sul prezzo del gas russo c’è sempre stato un velo impenetrabile di mistero. Così come su certe operazioni che avvengono in Kazakistan. L’Eni fa parte di un consorzio che estrae gas a Karachaganak. Il metano, sporco, è spedito in Russia, dove viene ripulito e venduto in Europa, assicura un anonimo ex dipendente, a un prezzo anche 37 volte superiore a quello d’acquisto. Un altro favore a Gazprom? Chissà. È però un fatto che Berlusconi abbia sponsorizzato il gasdotto Southstream, che passa in Russia e dà a Gazprom il potere di stabilire il prezzo, anziché il gasdotto europeo Nabucco, che l’avrebbe evitato.
Dall’inchiesta di «Report» emergono poi altri dettagli. Inquietanti. Come una società petrolifera, la Zhaikmunai, che macina milioni, la cui proprietà anonima rimbalza nei paradisi fiscali. A chi fa capo? Forse a politici kazaki e magari anche italiani? Il muro è impenetrabile. Le vicende kazake sono dense di misteri. «Tra il Kazakistan e l’Italia», rammenta Mondani, «il pm Fabio De Pasquale ha scoperto un giro di tangenti Eni». I soldi sarebbero serviti a corrompere Timor Kulibaev, genero del presidente Nazarbaev. «L’Eni», precisa il servizio di Report, «si è dichiarata parte lesa, ma è indagata con l’accusa di corruzione internazionale. La tangente kazaka ammonta a 20 milioni di dollari. Tutti finiti a Kulibaev?».
Poi ci sono le mosse di alcuni privati italiani. Di volta in volta, come interessati agli affari nel gas, si fanno i nomi di Ubaldo Livolsi e Marcello Dell’Utri. E qui salta fuori un’altra storia. Così la racconta Mondani: «Nel 2008 Dell’Utri viene intercettato con Aldo Miccicchè, emissario del clan calabrese dei Piromalli in Venezuela, intento a intermediare un accordo fra la azienda di Stato venezuelana Pedevesa e la società Avelar che voleva comprare gas per portarlo in Europa. La Avelar fa parte del Gruppo Renova diretto dal magnate russo Viktor Vekselberg, buon amico di Putin. Nella Avelar stanno due italiani: Massimo De Caro, già socio del figlio di Dell’Utri, e Roberto De Santis, imprenditore in buoni rapporti con Massimo D’Alema e Paolo Scaroni». Per inciso, De Caro è lo stesso ex direttore della biblioteca dei Girolamini, arrestato con l’accusa del furto di migliaia di libri antichi. E la Avelar fa parte dello stesso gruppo cui il 2 agosto 2012 i ministri Corrado Passera e Corrado Clini danno il permesso di stoccare gas in Basilicata. Dove l’Eni, guarda caso, ha appena avuto l’autorizzazione ad aumentare le estrazioni di greggio.
Misteri reali e misteri apparenti. Come la retribuzione di Scaroni, raddoppiata dai 2,3 milioni del 2006 ai quasi 4,9 milioni del 2011, nonostante il calo delle quotazioni di Borsa. La spiegazione? La sostituzione delle stock option assegnategli nel 2005 con un «piano di incentivazione legato all’Euribor». Senza che l’autorità che vigila sui mercati abbia avuto qualcosa da ridire, sottolinea Milena Gabanelli. Che aggiunge: «Il primo settembre 2011 la Consob ha assunto la figlia, senza concorso, Clementina Scaroni, avvocato. E creato per lei a Milano l’ufficio contenzioso intermediari e mercati. Con un unico dipendente: Clementina Scaroni, appunto».
Sergio Rizzo