Marisa Fumagalli, Corriere della Sera 16/12/2012, 16 dicembre 2012
IL BAR DI HEMINGWAY COMMISSARIATO PER EVITARE IL CRAC
Gli americani (ma non solo loro) facevano la fila davanti alla porta a vetri smerigliati dell’Harry’s Bar, il mitico locale di calle Vallaresso. Sempre strapieno di bella gente (da Hemingway in su negli anni favolosi del ’900), appollaiata sui trespoli del bancone per il canonico Bellini, o seduta ai tavoli rotondi della sala al piano terra, che, all’occorrenza, si allargavano con un piccolo trucco per aumentare il numero dei coperti. Ciò accadeva, ed è accaduto per moltissimo tempo, prima della grande crisi del nostro secolo. «Bei tempi», ammette il patron Arrigo Cipriani, inossidabile ottantenne, commentando i bilanci in rosso («ormai da tre anni») che hanno via via aggravato la situazione finanziaria portando, di fatto, al commissariamento del ristorante veneziano.
All’Harry’s si volta pagina per non rimanere schiacciati dai debiti. D’ora in poi saranno Salvatore Cerchione e Gianluca D’Avanzo, manager della Blue Skye Investment, la società che controlla il gruppo, con la famiglia Cipriani, attraverso la lussemburghese C Management, ad approntare un duro piano di riduzione dei costi. Intendiamoci, Arrigo Cipriani rimane amministratore delegato della holding italiana Cipriani spa, continua a godere della fiducia dei due istituti di credito che lo sostengono (la Banca Popolare di Vicenza e il Banco popolare), ma tenendosi fuori dalla gestione del personale: 75 dipendenti. Molti. D’altronde, in un locale di rango il servizio è fondamentale. E il patron ci tiene. Egli stesso fa gli onori di casa, conversa con gli ospiti, mostra di conoscere le loro preferenze. Con discrezione fa in modo che le persone giuste si accomodino al «tavolo dei senatori», nell’angolo a sinistra. Anche questo è valore aggiunto.
Fino a quando le mance correvano laute, i rapporti tra Cipriani e il personale filavano lisci. A un certo punto i conti cominciano a non tornare. «Dal 2008 ad oggi — avverte Arrigo — abbiamo registrato un calo del 20-30% di clientela. Oggi a Venezia arrivano tantissimi pendolari, non i turisti di qualità. Se non c’è lavoro dobbiamo per forza diminuire le spese». È il marzo di quest’anno e Cipriani tenta di convincere il personale, chiedendo sacrifici per evitare i licenziamenti. Affronta i dipendenti che non vogliono rinunciare alle percentuali pattuite. Si arriva allo sciopero. Il patron non si perde d’animo; tra gli applausi dei clienti, serve il carpaccio, il riso primavera e la torta al cioccolato. Poi, la protesta rientra, con un accordo fino al 2015. Ma i debiti aumentano, l’esposizione del gruppo ammonta a quasi 6 milioni; oltre metà delle uscite è destinata agli stipendi. «In questi mesi non si è risolto nulla, quindi la Blue Skye ha chiesto ai lavoratori di rinunciare alla percentuale del fatturato. Dal 13 all’8 per cento», ha spiegato al Corriere del Veneto un sindacalista della Cisl. I giochi sono ancora aperti, l’intesa pare possibile. I dipendenti sarebbero disposti ad accettare il 10,5 per cento. «Io non sono riuscito a fare accordi, purtroppo — osserva Cipriani —. Ora i camerieri tratteranno con i manager».
Mentre l’Harry’s Bar di Venezia è in crisi («i nuovi ricchi russi e cinesi non compensano gli americani che garantivano la frequentazione per tutto l’anno»), l’impero Cipriani si è espanso nel mondo, aprendo locali a New York, Hong Kong, Mosca, Abu Dhabi, Montecarlo. Ma l’Harry’s è l’Harry’s, con le sue glorie e suoi personaggi. E, di sicuro, sono in molti a fare il tifo perché riprenda smalto. È un pezzo di storia di Venezia da non perdere.
Marisa Fumagalli