Massimo Galli, ItaliaOggi 15/12/2012, 15 dicembre 2012
PROCESSATA PER L’ATTENTATO CHE NON È MAI AVVENUTO
Da 14 anni una donna turca è perseguitata dalla giustizia del suo paese. Un’odissea che le è costata e le sta ancora costando molto in termini di salute fisica e di benessere psicologico. Pinar Selek, 41 anni, che oggi vive a Strasburgo dove si sta laureando in sociologia, nell’estate del 1998 venne suo malgrado coinvolta in un episodio di sospetto terrorismo.
Vi fu una forte esplosione nel bazar egiziano a Istanbul, che provocò sette morti.
Due giorni dopo la donna venne arrestata e torturata: la polizia voleva sapere da lei chi fossero i militanti della guerriglia curda che ella aveva interpellato nel corso delle sue ricerche sociologiche. Un uomo fermato dalle forze dell’ordine, sospettato di essere un militante del Pkk, il movimento nazionalista dei curdi, confessò di avere fabbricato insieme alla Selek una bomba, lasciata poi nel ristorante del mercato. In seguito l’uomo ritrattò, precisando di aver parlato sotto tortura. Venne assolto e le perizie conclusero che non si era trattato di una bomba ma di una fuga di gas.
Era naturale che anche Selek fosse scagionata. Invece i giudici turchi si accanirono contro di lei. Inutile: nel 2008 e nel 2011 vennero pronunciate due sentenze assolutorie. Eppure nemmeno questo è bastato. La dodicesima corte penale di Istanbul ha annullato queste decisioni e ha deliberato la ripresa del processo per terrorismo. Una beffa.
Pinar Selek ha confidato di aver passato 14 anni della sua vita, un periodo troppo lungo, a lottare, e di non essersi mai ripresa dalle conseguenze delle torture subite. Quando viveva nella capitale turca, si era dedicata a difendere le minoranze oppresse dallo Stato. In molti ritengono che questo le sia costato caro. Secondo il politologo Samim Akgonul, docente all’università di Strasburgo, la giustizia turca continua imperterrita a non proteggere i cittadini perché essa privilegia lo Stato, considerato sacro. Gli individui sono visti come una minaccia per la stabilità. Così la Turchia è la nazione con il maggior numero di condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo.
In Francia si sono presi a cuore la sorte della donna turca. La parlamentare Ue Catherine Trautmann ha inviato una lettera al premier Recep Tayyip Erdogan. Il presidente dell’ateneo di Strasburgo, Alain Beretz, si domanda quante persone, spesso sconosciute, si trovino in una situazione simile, magari rinchiuse ingiustamente in carcere.