Pietro Scibetta, La Stampa 17/12/2012, 17 dicembre 2012
BELINELLI:“IO, STELLA NELLA CASA DI JORDAN”
[La guardia italiana protagonista nei Bulls, la squadra che dominò l’Nba negli Anni 90 “Chi massaggiava Michael ora cura i miei muscoli: fa effetto, ti senti importante”] –
Dei tre italiani nella Nba, Marco Belinelli è stato assai meno reclamizzato di Bargnani e Gallinari. È alla sua 6ª stagione nella Lega professionistica più importante del mondo dopo due campionati in chiaroscuro ai Golden State Warriors (che lo scelsero nel 2007, con la chiamata n. 18), uno da dimenticare ai Toronto Raptors e due ottime stagioni con i New Orleans Hornets (la 1ª impreziosita dai playoff accanto a Chris Paul). Proprio agli Hornets, Belinelli deve molto: lo avevano cercato in uscita dai Raptors, quando il suo appeal era ai minimi storici, e ne hanno fatto un solido giocatore da quintetto. Per l’azzurro sono arrivate parole importanti da parte del coach Monty Williams (che lo definì «un mostro» per la sua etica lavorativa) e dello stesso Paul, che lo avrebbe voluto anche ai Los Angeles Clippers.
«Io e CP3 (il soprannome di Paul, ndr) abbiamo un ottimo rapporto - sottolinea Belinelli -. Mi ha fatto crescere, non posso che ringraziarlo». Nell’estate 2011, Marco decise di rimanere agli Hornets anche per riconoscenza nonostante la partenza di Paul e il ridimensionamento della squadra. E disse no anche a un team che lottava per il titolo: i Chicago Bulls. Una franchigia che credeva nell’azzurro, tanto da ribussare alla sua porta l’estate scorsa. E stavolta Beli ha accettato. «Sono stato contentissimo quando sono tornati a cercarmi. E ho preferito scegliere una squadra forte, al di là dei soldi che mi offriva». Anche per i Bulls, dunque, ha prevalso il senso di riconoscenza da parte della guardia che oggi veste il numero 8. «L’impatto con la realtà dei Bulls è stato molto forte: giochiamo nello stesso palazzo e ci alleniamo nella stessa palestra in cui ha fatto la storia Michael Jordan. Entrare in campo con quella stessa musichetta non può che far tornare in mente tutti quegli anni magici». Quella musichetta è Sirius degli Alan Parsons Project: ogni appassionato di basket sa che quelle note erano il preludio dell’ingresso in campo dei Bulls che vinsero sei titoli dal 1991 al 1998. «E oggi siamo noi a entrare in campo con Sirius. Così come molte delle persone che lavorano all’interno dell’organizzazione sono le stesse di allora: sapere che chi massaggia me e Joakim Noah è la stessa persona che metteva le mani su superstar come Jordan, Scottie Pippen, Toni Kukoc o Dennis Rodman fa un certo effetto, ti fa sentire parte di qualcosa di importante. Kukoc e Pippen si vedono ancora oggi in palestra (Pippen oggi fa parte del team come advisor del presidente Michael Reinsdorf, ndr)».
La parabola di Belinelli con i Bulls assomiglia un po’ al resto della sua carriera. Inizialmente il minutaggio non è stato alto (14,7 minuti di media nelle prime 14 gare giocate), con il veterano Richard Hamilton a sbarrargli la strada. La squadra faticava, senza il suo faro Derrick Rose (per il grave infortunio patito alla fine della scorsa stagione): solo 8 vittorie nelle prime 15 gare, dopo che nelle due precedenti stagioni la percentuale di vittorie era stata attorno al 76% nella prima fase. «All’inizio facevo un po’ fatica, ero poco utilizzatoe avevo perso fiducia, ma non ho smesso di fare quello che ho sempre fatto per tutti questi anni: allenarmi, tanto, per farmi trovare pronto quando fosse arrivata l’occasione». Il momento giusto per Marco è arrivato nel 3º quarto della gara tra i Bulls e i Philadelphia 76ers: Hamilton si è infortunato alla caviglia sinistra e coach Tom Thibodeau (allenatore dell’anno nel 2011 e campione Nba da assistente con i Boston Celtics nel 2008) ha dovuto scegliere un nuovo titolare tra Belinelli e Jimmy Butler. L’italiano aveva un vantaggio non da poco: 148 gare in quintetto nella sua carriera, mentre il compagno non ne vantava nessuna. Così Thibodeau ha privilegiato l’esperienza ed è stato ripagato alla grande. Dopo soli 6 punti con 2/5 al tiro contro Indiana nel suo esordio da titolare lo scorso 4 dicembre, Belinelli è salito subito a 23 punti in casa dei Cavaliers, miglior prestazione stagionale. E non si è più fermato fino all’altra notte, quando con 19 punti e il canestro decisivo ha trascinato Chicago alla vittoria in volata (82-81) contro i Brooklyn Nets. Così i suoi numeri sono diventati eccellenti: 17,1 punti in 37’ di media, col 41,7% da fuori, 3,3 rimbalzi, 2,1 assist e 1,4 recuperi. Ma soprattutto 5 vittorie contro 2 sconfitte per i Bulls e un 3 su 3 nelle partite fuori casa, a Cleveland, Detroit e Filadelfia.
«Segnare tanto è una cosa naturale per me, ma cerco di essere il giocatore più completo possibile e sempre molto aggressivo, perché a Chicago sta in campo prima di tutti chi difende». Il viaggio di Marco Belinelli nella Nba finora è stato lungo 7.816 km, da San Francisco a Toronto, poi New Orleans e infine Chicago. «Mi sono innamorato di questa città, ho già trovato i miei posti preferiti e ci sto benissimo. Non vedo l’ora di giocare insieme a Derrick Rose, che sta lavorando durissimo per tornare presto in squadra. È uno dei più forti della Nba, atleticamente in pochi sono come lui, è veloce, creativo, fortissimo sul pick and roll. Spero di restare qui a lungo, ma il mio contratto è per una sola stagione. Dovrò lavorare tanto per meritarmi una conferma».