Laura Anello, La Stampa 17/12/2012, 17 dicembre 2012
IL PRINCIPE E LO SCHIAVO COMPAGNI DI ODISSEA
[Origini opposte, stessa sorte E ora l’assistenza non ha più soldi] –
Uno era l’erede al trono del Camerun, l’altro uno schiavo in Ghana. Entrambi travolti dalla Storia, entrambi approdati in Libia, entrambi adesso ospiti della cooperativa «Il Biscione» di Genova, una di quelle che rischiano di chiudere, senza più un soldo da parte dello Stato. Ad avere raccolto le loro voci è l’avvocato Alessandra Ballerini, impegnata in prima linea per i diritti dei profughi, e adesso alle prese con quello che definisce «un paradosso sulla pelle dei migranti e a spese dei contribuenti».
«Per anni i richiedenti asilo hanno fatto avanti e indietro tra questure e commissioni – racconta – hanno fatto ricorso quando la loro domanda è stata rigettata, hanno avuto proroghe di sei mesi senza poter investire in alcun modo sul proprio futuro, e adesso arriva il contrordine: permesso di soggiorno a tutti per motivi umanitari. Uno spreco pazzesco. Per non parlare dei minorenni, alcuni trattati come maggiorenni, io sola ne ho trovati tre, nel silenzio assoluto dell’opinione pubblica. Solo Sandra Zampa, del Pd, ha fatto un’interrogazione parlamentare».
Tra i disperati approdati a Lampedusa l’anno scorso ci sono anche l’erede al trono e lo schiavo, che l’avvocato chiama con i nomi di Felix e Richard. Il primo, nipote del re del Camerun, perseguitato dagli zii che ambiscono alla successione, fuggito con la moglie in Libia a fare il garzone di bottega, a dispetto delle cinque lingue che parla perfettamente. «E spesso, a fine mese, piuttosto che lo stipendio, arrivavano botte e frustate – ha raccontato – Poi, quando scoppia la rivolta contro Gheddafi, per tre volte i militari entrano in casa mia, mi derubano, tentano di stuprare mia moglie, si mette in mezzo il mio bambino, urla così forte che quelli scappano».
Da lì un mese nell’orrore di un campo di detenzione e poi al porto di Zawara: il piano del dittatore è di spedire tutti i neri in Italia. Arrivano a Lampedusa dopo due giorni su una carretta carica di 280 passeggeri, scampata miracolosamente al naufragio. Quella che c’è dietro, con altri 320 uomini, donne e bambini, finisce inghiottita dal mare. Adesso Felix tira a campare con una borsa lavoro della Provincia, e si chiede come potrà cavarsela quando, tra quindici giorni, rischierà di non avere più un tetto sotto cui dormire. Accanto a lui, ospite della cooperativa, c’è Richard. «Secondo la tradizione locale – dice l’avvocato - il monarca deve essere seppellito insieme con sette dei suoi schiavi affinché lo servano oltre la morte. Lui perciò viene portato con altri sei in una sala per la cerimonia funebre: al settimo giorno dovrà essere decapitato e la sua testa bruciata con quella del re». Ma Richard, che si è convertito al cattolicesimo e rifiuta riti pagani, riesce a scappare nella vicina Costa d’Avorio e quindi in Libia. «I combattimenti – racconta la Ballerini – cominciano pochi mesi dopo la nascita del loro primo figlio. I militari di Gheddafi entrano anche in casa sua. Finché vengono trascinati su camion, stipati e poi scaricati in un campo vicino al porto, tra le urla e lo sporco di altri 1.500 prigionieri. Lunghe settimane con le armi puntate, a dormire al freddo, col bimbo che piange». Da lì a Lampedusa, e poi a Genova. Lui parla solo un dialetto africano e si vergogna delle sue origini. L’erede al trono lo aiuta e gli fa da interprete. «Molti di coloro che hanno una storia così – continua l’avvocato – adesso non si accontentano del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Se hanno avuto un primo no alla concessione dello status, vanno avanti nel ricorso. Abbiamo diritto a una protezione più forte – dicono – è un nostro diritto».